Venerdì, 14 Febbraio 2014 11:36

Cyberbullismo: la condanna dei "nativi digitali"? Facciamo chiarezza

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In occasione del Safer Internet Day, la giornata indetta dalla Commissione Europea per la sicurezza del web, Save the Children ha presentato una ricerca sul cyberbullismo.

Se già bullismo, per gli adulti, potrebbe sembrare qualcosa di lontano o poco rilevante, il cyberbullismo è sconosciuto ai più. Eppure dallo studio di Save the Children emerge che l'esperienza il bullismo online sembra avere toccato almeno 4 ragazzi su 10, ed il 5% ne parla addirittura come di una esperienza regolare e consueta.

Le generazioni e il loro rapporto con la tecnologia

Partiamo dal presupposto che chi leggerà quest'articolo non sarà certamente un "nativo digitale". Ogni generazione ha infatti incontrato la tecnologia in fasi diverse della propria vita: quelli nati nella decade dei Settanta hanno dovuto imparare un po' forzatamente a "combattere" con la digitalizzazione sul lavoro, quelli degli Ottanta hanno trascorso più o meno tutti l'adolescenza utilizzando solo il telefono fisso. Le generazioni successive, cioè quelle dei primi anni '90, possono avere solo una minima percezione del rapporto con la tecnologia che vivono oggi gli adolescenti. Dunque, per dei "nativi digitali" vivere con dei genitori "analogici" non deve essere semplice, ma andiamo per ordine.

La digitalizzazione nelle famiglie e tra i ragazzi

Da un altro rapporto, quello dell'Istat del 2011 "Cittadini e Nuove Tecnologie", si evince che la presenza di minori accelera il processo di digitalizzazione delle famiglie: fatto che, deve essere letto in chiave assolutamente positiva. "Demonizzare" la digitalizzazione non è la risposta, e anzi questa per i ragazzi può garantire molteplici opportunità.

Anche lo studio conferma che, per quanto alcune cose restino uguali, come il ruolo primario della famiglia, altre inevitabilmente cambiano nel tempo. "Si intensificano infatti - si legge nel rapporto - le attività nella rete, legate alla tendenza ad essere perennemente connessi grazie a smartphone e tablet e sembra crescere anche la disinvoltura con cui vengono scambiate informazioni e immagini a sfondo sessuale o relative all'esposizione del corpo". Niente di nuovo però, potrebbe infatti essere una conseguenza di una maggiore 'apertura' da parte di genitori e media.

Il bullismo del nuovo millennio: cause, conseguenze e reazioni

Non è nuovo neanche il fenomeno del bullismo, subito in tutte le sue possibili sfumature, anche dalle generazioni più lontane. Tuttavia, ciò che segna un confine con le epoche passate sono i mezzi con cui oggi possono essere veicolate le azioni minatorie, che si aggiungono ai classici 'faccia a faccia'.
"Il bullismo ha radice nella relazione reale (scuola 80%, "piazzetta" 67%) e rinforzo nel virtuale (internet/cellulari 53%)", si legge in maniera esplicita nello studio. Anche i ragazzi hanno consapevolezza di questo "rinforzo virtuale", come di moltissimi altri aspetti connessi al fenomeno. La motivazione è la chiave di volta della questione: la rete connette tutti con tutti in ogni momento, in maniera indistinta ed è sempre raggiungibile. Sono proprio queste poliedriche caratteristiche ad aver connesso il fenomeno del bullismo con il web: "Non ci sono confini temporali, ciclici e lineari".

Inoltre, la rete rende apparentemente anonimi e questo genera ovviamente le sue conseguenze. Torna utile la considerazione fatta in precedenza sull'immagine del corpo diffusa dai media e sul rapporto che i ragazzi hanno con essa. A scatenare le ragioni del bullismo sono infatti tutti fattori connessi con l'esteriorità, l'immagine e l'apparire: caratteristiche fisiche (per il 67% degli intervistati) e il supposto orientamento sessuale (56%), ma anche la mancata adesione ai canoni imperanti di bellezza femminile (59%). Anche la "diversità" viene presa di mira, ma sempre in connessione al concetto di apparenza: lo straniero (43%), la scelta dell'abbigliamento (48%), la bellezza femminile che identifica e fa "spiccare" dal gruppo (42%), persino la disabilità (31%).

Per quanto riguarda le dinamiche del fenomeno, molti ragazzi si rendono conto della "logica del branco" e, almeno da intervistati, dimostrano piena solidarietà alle vittime. Queste ultime, molto spesso, trovano la soluzione negli adulti. Si rivolgono, cioè, ai genitori e agli insegnanti, piuttosto che ai propri coetanei, che dimostrano sovente di non essere adatti. Vista la gravità, i ragazzi si rendono anche perfettamente conto delle conseguenze: l'isolamento e le ripercussioni sullo stato psicologico e comportamentale.

Ma non si pensi che i ragazzi subiscano necessariamente in silenzio. Il più delle volte, infatti, dimostrano una propensione ad agire, in alcuni casi da soli (33%): chiudendo il profilo personale sui social network o sospendendo la scheda SIM, segnalando l'abuso online (25%) o semplicemente cambiando frequentazioni.

Il problema delle soluzioni

Da questo quadro emerge dunque la difficoltà che molti ragazzi sono costretti ad affrontare ogni giorno, ma solo nel 9% dei casi la situazione non si risolve, né si dissolve con il tempo, generando "qualcosa di brutto". Ma allora quali potrebbero essere le soluzioni? Privare gli adolescenti di internet? Un controllo spasmodico da parte dei genitori?

Prima di condannare il web e la tecnologia - atteggiamento sul quale gli "analogici" puntano spesso - c'è forse da riflettere. Anche se in molti hanno sperato, parafrasando una canzone dei Baustelle, che la modernità arrivi "sotterranea", ciò non solo non è possibile ma non è neanche augurabile. Voltare le spalle al nostro tempo, come potrebbe essere negare la connessione ad un adolescente, significa cercare inutilmente di proteggerlo dalla realtà che lo circonda. E gli effetti sarebbero esattamente contrari. Ciò che va "rafforzato" non è il controllo sul digitale, ma la libertà nel reale: di esprimersi per come si è e, di conseguenza, di accettare la diversità.

Per quanto riguarda le soluzioni ad un livello più alto, le contromisure arrivano direttamente dai ragazzi: maggiore informazione, ma anche più possibilità di segnalazioni (a scuola 46%, per telefono o via social alle autorità 36% e 32%) e di vigilanza (i genitori e i gestori delle piattaforme social in primis 41%, ma anche i gestori di telefonia 24%). Il 46% degli intervistati richiede poi pene più severe per i colpevoli. Forse se qualcuno sapesse che l'anonimato non è poi così anonimo e che la polizia può rintracciare, se necessario, un utente, magari in molti sarebbero perlomeno frenati.

Qualcosa già si è mosso: la polizia e il Ministero dell'Istruzione hanno lanciato il workshop "Una vita da social" presso le scuole di 100 capoluoghi di provincia italiani, al fine di sensibilizzare gli studenti all'uso responsabile del web. Si tratta di una campagna educativa che coinvolgerà 60mila ragazzi nella navigazione in piena sicurezza e nella gestione con consapevolezza dei dati condivisi online.

Sarebbe superfluo dire che è ipocrita interessarsi del fenomeno solo sull'onda dei fatti di cronaca ma, d'altra parte, va considerato che difficilmente è possibile accedere al mondo adolescenziale, soprattutto se riguarda un settore "segreto", quale potrebbe rivelarsi la rete.

In questo contesto resta, dunque, inutile puntare il dito in maniera incessante verso i "colpevoli"; piuttosto sarebbe il caso di passare in maniera risoluta alla prevenzione del fenomeno, che deve vedere i giovani protagonisti, in quanto maggiormente consapevoli e, a volte, più maturi di quanto si possa immaginare.

Ultima modifica il Venerdì, 14 Febbraio 2014 16:11

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