Venerdì, 16 Settembre 2016 16:48

La morte di Tiziana Cantone, tra diritto all'oblio negato, velocità e cattiveria del web

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Quello che è successo a Tiziana Cantone, sucidia a 31 anni, ci spinge a riflettere su ambiti che riguardano un complesso intreccio tra l' utilizzo più o meno consapevole delle tecnologie, la richiesta di privacy, il diritto all'oblio e condotte di rilevanza penale e/o moralmemte spregevoli solo parzialmente normate e comunque in maniera non adatta. 

Ciò che accaduto a Tiziana non è, infatti, la prima volta che accade e non sarà nenache l'ultima e costringe tutti a confrontarci con nuove responsabilità a cui neanche il diritto è capace di adeguarsi in tempi efficaci. Troppo veloce il web. 

Quacuno sui mezzi di comunicazione ha provato ad analizzare approfonditamente ciò che è accaduto.

Caterina Malavenda, oggi su Il Corriere della Sera, affronta la complicata questione, della richiesta d'oblio, la rimozione cieca di contenuti da social network tramite un algoritmo e la volontà di sparire dal web.

Domani è un altro giorno, saranno certamente diffusi nuovi video virali e ci saranno altre vittime più o meno consapevoli: spesso, infatti, è chi subisce la gogna ad averla generata, affidando alla rete, con incredibile leggerezza, immagini che non sarà più possibile eliminare dalla realtà virtuale perché, come ha detto con disarmante sincerità il Garante, che pure dovrebbe assicurarla, la tutela di una persona che finisce sul web è praticamente impossibile, per mancanza di strumenti efficaci.
Questo, mentre viene rimossa, con un semplice clic, la foto della «Napalm girl», la bambina vietnamita che corre nuda e piangente, dopo esser stata investita dal napalm, pedopornografica per l'algoritmo — peggio fosse stato un uomo in carne ed ossa! — di Facebook, premiata con il Pulitzer per la sua evidente forza dirompente e ripristinata solo dopo forti ed autorevoli proteste. E mentre, con la stessa agile semplicità, grazie anche a sentenze poco lungimiranti o utilizzate a sproposito, un terrorista conclamato può chiedere ed ottenere, se nessuno se ne accorge, da siti e motori di ricerca la rimozione di tutte le notizie che lo riguardano; un imputato, ancora sotto processo, può esigere la eliminazione degli articoli che si sono occupati di lui; un politico può pretendere che si cancelli il suo passato criminale, così di fatto azzerando la memoria un po' per volta.
Figli e figliastri, dunque,

 

LEGGI QUI IL RESTO DELL'ARTICOLO DI CATERINA MALAVENDA SU IL CORRIERE DELLA SERA

Filippo Facci su IL POST, dopo aver riassunto i fatti relativi alla produzione del video e alla sua condivisione icontrollata sul web, ripercorre molto bene la successiva vicenda giudiziaria

Ormai devastata, si mette nelle mani della civilista Roberta Foglia Manzillo – segnalata, anche qui, dal fidanzato – e nell'aprile scorso chiede una serie di provvedimenti «d'urgenza», i quali, ovviamente, cozzano contro i tempi della giustizia italiana. La denuncia ammette che lei dapprima fu consenziante alla diffusione, ma poi si rivolge sia ai primi diffusori materiali dei video – quelli che hanno oltrepassato un passaggio one-to-one, e che, cioè, li hanno messi sui social network – e sia, in un secondo momento, contro gli stessi social network che ospitavano i video o li avevano ospitati. I soggetti sono infiniti: tra questi Facebook Ireland, Yahoo Italia, Google, Youtube, Citynews, Appideas, Alaimo, Ambrosino.
A giugno c'è una prima udienza. Prosegue l'8 luglio. La sentenza, scritta il 10 agosto, è ufficialmente del 5 settembre: il tribunale di Napoli Nord (di Aversa, cioè) le dà teoricamente ragione un sacco di tempo dopo: e, con un provvedimento «ex articolo 700», si rifa a un po' di giurisprudenza (legge 70 del 2003, Privacy, limiti del diritto di cronaca) e in sintesi contesta a cinque social o siti informativi di non aver rimosso il contenuto al momento opportuno. Ma a complicare le cose – e qui si capisce perché internet è un inferno – c'è che alcuni dei social network non contenevano i video: contenevano solo il loro cascame, il prodotto ormai deformato che avevano originato, cioè titoli tipo «il famoso video che sta facendo parlare l'Italia». A ogni modo, le pagine vengono eliminate, e così i post, i commenti, tutto. I social network pagheranno le spese legali – si legge – ma paradossalmente Tiziana apprende la notizia per vie traverse: l'avvocatessa non l'ha neppure avvisata e ha postato la notizia direttamente su – sì – Facebook. Tiziana, secondo il principio di soccombenza, dovrà pagare 3.645 euro più iva a carico di 5 (su 10) dei social network citati. Google e Yahoo! vengono prosciolte per degli errori degli avvocati nell'indicare le società di appartenenza. Senza farla lunga: Tiziana – dice la sentenza – dovrà pagare 18.225 euro. Più Iva. La richiesta di un risarcimento è giudicata «inammissibile in sede cautelare», posticipando la questione ad altro momento: questo, del resto, prevede l'articolo 700 del codice di procedura civile.
Non è finita. Il diritto all'oblio le è stato negato: «Presupposto fondamentale perché l'interessato possa opporsi al trattamento dei dati personali, adducendo il diritto all'oblio», si legge, «è che tali dati siano relativi a vicende risalenti nel tempo», e nel caso «non si ritiene che sia decorso quel notevole lasso di tempo che fa venir meno l'interesse della collettività». L'interesse. Della collettività. Siamo al paradosso definitivo. Abbiamo i tempi di internet, che in 24 ore possono distruggere una persona. Abbiamo i tempi della giustizia italiana, inadeguati anche con «provvedimento d'urgenza». E abbiamo, in aggiunta, i tempi del diritto all'oblio, secondo i quali un anno e mezzo non basta per non figurare come una zoccola sul web. Perché c'è ancora l'attualità della «notizia».
Non è finita ancora. Mentre i più seriosi quotidiani non hanno riportato la sentenza – neanche quelli che contribuirono allo sputtanamento – il paradosso è che in rete qualcosa è ricircolato, e tutta la storia ha ripreso vigore. Non sapremo mai se il suicidio, di poco successivo, sia collegato a questo. Sicuramente lei era affranta dalla sentenza. E comunque, a proposito di tempi, è a margine di tutto questo che Tiziana è andata giù nello scantinato e si è impiccata con un foulard azzurro appeso a un tubo.

LEGGI QUI L'INTERO ARTICOLO DI FILIPPO FACCI SU IL POST

Ultima modifica il Venerdì, 16 Settembre 2016 19:04
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