Mercoledì, 11 Gennaio 2023 12:39

È ancora lontana l’inclusione lavorativa delle persone disabili

di 

Pubblichiamo un interessante articolo di approfondimento di Openpolis sul tema dell'inclusione lavorativa delle persone disabili all'interno dell'Unione europea. Nell'articolo vengono analizzati i dati relativi al tasso di disoccupazione delle persone con disabilità nei vari paesi membri dell'UE e questo dato viene confrontato con il tasso di disoccupazione delle persone senza disabilità. Il quadro che ne viene fuori racconta di una discriminazione ancora in atto in tutta l'Unione nonostante le tante battaglie per migliorare la situazione. Inoltre ci si accorge che tale discriminazione trova il luogo più fertile in cui prolificare proprio nel mondo del lavoro.

Fra tutti gli stati l'Italia ne è esce molto meglio di altri ma resta il fatto che dinanzi ai diritti non ci si può accontentare di non essere i peggiori, la conquista dei diritti è una necessaria corsa in cui non ci si puà fermare mai.

Di seguito l'approfondimento:

Le persone con disabilità continuano a costituire un gruppo particolarmente vulnerabile nelle nostre società. Troppe ancora sono esposte alla marginalizzazione. Questo risulta particolarmente evidente sul piano socio-economico. Come abbiamo raccontato in un recente approfondimento, nei paesi dell’Unione europea il 21% risulta esposto a povertà o esclusione sociale, contro il 14,8% delle persone senza disabilità.

Un altro indicatore importante per misurare la loro inclusione è il livello di inserimento nel mondo del lavoro. In questo senso è interessante analizzare il tasso di disoccupazione, esso misura lo scompenso tra la domanda e l’offerta di lavoro. Mentre infatti gli inattivi, che pure non svolgono alcuna attività lavorativa, sono al di fuori della forza lavoro, i disoccupati sono coloro che vorrebbero lavorare e infatti cercano attivamente o desiderano un impiego, ma per una serie di ragioni non riescono a trovarlo. Una di queste ragioni, in un regime poco inclusivo, può essere proprio la disabilità.

Precisiamo che con la parola “disoccupati” si intende coloro che hanno un’età compresa tra 15 e 64 anni e sono in cerca di un lavoro nelle quattro settimane che precedono quella di riferimento e sarebbero disponibili a lavorare entro le due successive.

Da diversi anni l’Unione europea è impegnata su questo fronte al fine di tutelare i diritti delle persone con disabilità (il diritto all’autonomia, alle pari opportunità, al movimento), facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro e promuoverne la partecipazione civile; una serie di obiettivi recentemente sistematizzati nella strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030. Si tratta di tematiche fondamentali, tanto più in quanto, come rileva il consiglio dell’Unione europea, il numero di persone con una qualche forma di disabilità – la sensazione riportata di incontrare limiti permanenti nel tempo nello svolgere attività frequenti, a causa di problemi di salute – ammonta a circa un quarto di tutti i cittadini dell’Unione. 87 milioni le persone con qualche forma di disabilità nell’Ue nel 2022.

Certamente alcune persone non con disabilità non possono proprio lavorare, ma è fondamentale garantire l’autonomia per tutti coloro che vogliono farlo. Da un punto di vista prettamente lavorativo, è utile anche fare riferimento al concetto di “lavoro degno”, elaborato dall’organizzazione internazionale del lavoro (Oil). In tale contesto, è definito degno un lavoro caratterizzato da:

-presenza di opportunità

-libera scelta dell’impiego

-salario adeguato

-nessun tipo di discriminazione

-sicurezza sul posto di lavoro

-trattamento rispettoso

Sei dimensioni che valgono per tutti ma soprattutto per i gruppi più vulnerabili.

Per quanto riguarda le opportunità lavorative e la libera scelta di un impiego, è infatti evidente che le persone con disabilità vengono ancora discriminate. In tutti i paesi membri il tasso di disoccupazione risulta infatti più elevato tra le persone con disabilità rispetto a quelle che non ne hanno. Grazie ai dati dell’Oil, che divide il tasso di disoccupazione tra “media della popolazione generale”, “disabili” e “non disabili”, possiamo ricostruire la situazione dell’Unione.

Innanzitutto, vedendo il tasso di disoccupazione delle persone con disabilità ci si accorge che per quanto ovunque sia elevato, ci sono significative differenze da paese a paese. Con oltre un quarto delle persone con disabilità in condizioni di disoccupazione, la Lituania è il primo paese in Europa, seguita dalla Grecia (24%). Dati inferiori al 10% vengono riportati soltanto da Ungheria, Bulgaria e Polonia. Il nostro paese, con l’11%, è il settimo in Ue a riportare il dato più basso.

Bisogna tuttavia evidenziare che i vari paesi ricorrono a metodologie differenti per definire la disabilità e che in molti casi la stessa Oil reputa i dati poco affidabili. Considera affidabili i dati di soltanto 13 stati membri (Grecia, Spagna, Slovacchia, Lettonia, Germania, Croazia, Belgio, Estonia, Francia, Italia, Portogallo, Bulgaria e Polonia) e solo in 3 casi (Estonia, Francia e Bulgaria) la definizione utilizzata non viene riportata come “non standard”. Per questa ragione inoltre non si può ottenere una media europea.

Ma è importante anche misurare il divario con le persone senza disabilità, per rendere conto del fatto che in alcuni paesi i dati elevati possono riguardare i disabili in maniera particolare oppure possono essere caratteristici di tutta la popolazione. La Lituania registra un divario di 17 punti percentuali tra il tasso di disoccupazione delle persone con e senza disabilità. Seguono Repubblica Ceca, Lussemburgo, Slovacchia, Danimarca e Germania, tutti con differenze oltre i 10 punti. Ultimi invece Bulgaria, Italia e Portogallo con meno di due punti.

I vari stati dell’Unione si differenziano tra loro non soltanto per la quota di persone disabili disoccupate e per il divario con i non disabili, ma anche per quanto questo divario si è o meno appianato nel tempo.

Il Portogallo ad esempio ha registrato una riduzione, tra il 2010 e il 2020, di quasi 12 punti percentuali. Il che significa che se nel 2010 lo scarto era di oltre 13 punti (il secondo dato più elevato d’Europa dopo quello lituano), nel 2020 si è ridotto a meno di 2 punti. Anche Ungheria, Italia, Grecia e Paesi Bassi hanno riportato simili trend positivi, anche se di entità più ridotta. In 11 stati membri invece la situazione ha subito un peggioramento. In particolare in Danimarca, dove il divario è aumentato di 6 punti percentuali in questo stesso lasso di tempo, passando da circa 5 a 11 punti. Anche Cipro (+5 punti) e Belgio (+4) hanno registrato cambiamenti analoghi.

Ultima modifica il Mercoledì, 11 Gennaio 2023 12:59

Articoli correlati (da tag)

Chiudi