Venerdì, 02 Agosto 2013 13:20

2 agosto 1980: alla stazione di Bologna, su un orologio c'è un minuto da 33 anni

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Sono le 10.25 del 2 agosto 1980. Una bomba esplode alla stazione di Bologna, provocando 85 morti e 200 feriti. L’ordigno era dentro una valigia abbandonata nella sala d’aspetto. Il depistaggio inizia qualche minuto dopo: il governo italiano sostiene l’ipotesi dell’incidente. Si scoprirà anni dopo che la bomba fu piazzata da terroristi di estrema destra. La verità, però è ancora negata.

Sono passati 33 anni. E come ogni anno, a Bologna, è il giorno delle celebrazioni. Niente fischi, questa volta, anzi: la presidente della Camera Laura Boldrini, nella piazza davanti alla stazione, è stata coperta di applausi. Ha ricordato che "quella mattina ero a Bologna, giovane studente marchigiana a cercare una casa. Ricordo lo sgomento. Questa è una ferita ancora aperta. Se penso al distacco dei cittadini dalla politica non posso non pensare che una delle ragioni di tale distacco è l'incapacità dei cittadini a dirsi tutto, senza ambiguità o doppiezze. Senza questo come si fa a innamorarsi delle istituzioni?". E poi si indigna sulle ombre che ancora coprono la strage: "Dopo tanti anni ancora chiediamo che sia rimosso ogni velo, anche sui registri, chiediamo la cosa più semplice perché mancano i mandanti, i burattinai, gli strateghi che hanno pensato quella carneficina".

Il presidente dell'Associazione familiari delle vittime, ora deputato Pd, Paolo Bolognesi, ha puntato il dito contro la Procura: «Dopo le condanne definitive del 1995 e 2007, non vi è più stato nessun sussulto da parte della Procura di Bologna, nessun tentativo di leggere il loro disegno politico, pur abbastanza trasparente, se letto nel contesto complessivo di tutto il disegno stragista portato avanti dal 12 dicembre 1969». In particolare, dice Bolognesi, non sono stati mai interrogati Andreotti e Spiazzi.

“Il 2 agosto 1980 è stato un giorno in cui la Repubblica ha rischiato di morire ma la reazione dei bolognesi ha fatto in modo che in realtà quel giorno sia stata la rinascita dei sentimenti della convivenza e della solidarietà”, ha sottolineato il ministro Graziano Del Rio. Ora, “la verità è la nostra ragion di Stato e non è vendetta ma seme di giustizia. Oggi resta grande come una montagna la domanda sui mandanti, la più oscura”, riflette il ministro.

La verità l’ha chiesta anche il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano rinnovando “l’apprezzamento per l'impegno profuso dall'Associazione dei parenti delle vittime nel promuovere e coltivare una riflessione collettiva su quel periodo sofferto della nostra storia e nell'adoperarsi affinché venga fatta piena luce sugli aspetti del feroce atto terroristico, non ancora chiariti nonostante la lunga, ma non ancora conclusa, serie di investigazioni e processi”.

Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ribadito l’impegno “a lottare contro l'oblio e contro il terrorismo e proseguire nella ricerca instancabile della verità storica e processuale. Molti errori sono stati compiuti, troppi depistaggi e ritardi nella ricostruzione dei fatti hanno rischiato di incrinare irreparabilmente il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni. Sono certo che anche il Parlamento saprà dare il suo contributo – ha aggiunto Grasso - utilizzando ogni strumento possibile per fare luce sulle ombre del nostro passato e continuando a lavorare sul piano legislativo per rendere più efficiente il nostro sistema giudiziario”.

Parole di circostanza, evidentemente. La verità, a Bologna, la chiedono da 33 anni e, ogni anno, il 2 di agosto si lanciano appelli affinché si faccia luce su quanto successo quella maledetta mattina. A che punto siamo? Il 23 novembre 1995, dopo anni di processi, condanne in primo grado e assoluzioni, la corte di cassazione ha condannato all’ergastolo come esecutori della strage i neofascisti dei Nuclei armati rivoluzionari, Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.

L’ex capo della loggia massonica P2 Licio Gelli, l’ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali dei servizi segreti Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte sono stati condannati per il depistaggio delle indagini. A causa della lunghezza del processo, e del fatto che molti dettagli non siano stati ancora oggi chiariti, negli anni si sono formate anche ipotesi alternative sui responsabili della strage di Bologna. Francesco Cossiga, che ai tempi era presidente del consiglio, nel 2008 ha dichiarato al Corriere della Sera che la bomba non era opera di estremisti di destra, ma di un gruppo di terroristi palestinesi.

Secondo Ilich Ramírez Sánchez, terrorista venezuelano legato alla resistenza palestinese noto come Carlos, l’ordigno alla stazione è stato piazzato dalla Cia e dal Mossad, per punire il presunto filoarabismo italiano di quegli anni. Il 19 agosto 2011 la procura di Bologna ha aperto una nuova inchiesta sulla strage, e ha iscritto nel registro degli indagati due terroristi tedeschi, Thomas Kram e Christa Margot Frohlich, entrambi legati al gruppo di Carlos. I due erano presenti a Bologna il giorno dell’attentato.

In molti, però, non credono affatto alla pista palestinese. Un depistaggio. Un tentativo di ribaltare l’unica sentenza sulle stragi d’Italia che non ha ancora trovato i mandanti materiali dell'attentato, ma ha avuto il coraggio di colpire il livello occulto che, in quegli anni, fece ricorso alle bombe. La sentenza di Bologna ha condannato il segretario generale della P2, e il “cervello” della Gladio Militare.

P2 e Gladio Militare. “Questo angustiava Cossiga e, non si sa perché, angustia ancora l’amico Rosario Priore che ha indagato a lungo su Ustica, ma anche su Moro, sulla Banda della Magliana, e ben sa di cosa si parla e perché furono condannati in via definitiva, a dieci e otto anni, Gelli e i due alti ufficiali del Sismi”, scriveva all’indomani della riapertura dell’inchiesta la giornalista Rita Di Giovacchino, su Il fatto quotidiano. “Fu proprio la procura di Roma, ad onta della cattiva fama, a scoprire il collegamento tra la strage di Bologna e la tentata strage sul rapido Taranto-Milano dove furono trovati pacchi di tritolo e fucili Mab, avvolti in fasci di giornali che Pazienza aveva distrattamente abbandonato su un tavolo dell’ufficio, riconosciuti purtroppo in una foto scattata quel giorno a Fiumicino. L’informativa del Sismi indicava quattro anarchici tedeschi che avrebbero utilizzato giornali acquistati a New York per avvolgere le loro armi. A svelarlo fu un maresciallo del Sismi che quell’informativa aveva fabbricato. Tutte le strade portano in Germania. Anche l’ombra di Ilich Ramirez Sánchez, il mitico Carlos lo Sciacallo. Pista ben confezionata. Due anni prima, un auto contenente armi, esplosivo e perfino due missili terra-aria fu fermata ad Ascoli Piceno. Alla guida c’era Daniele Pifano, autonomo di via dei Volsci e, sorpresa, anche Abu Saleh Anzeh, del Fronte rivoluzionario palestinese di Arafat. Pifano ed Anzeh furono arrestati, per scagionarli si mosse anche il colonnello Giovannone di stanza in Medio Oriente. In mezzo c’era il Lodo Moro, l’accordo segreto tra il Sismi le organizzazioni palestinesi”.

Carlos, interrogato nel carcere di Parigi dove sta scontando l’ergastolo, disse:Il traffico di armi ed esplosivi attraverso l’Italia era cosa nostra. Col beneplacito dei servizi italiani, i compagni potevano attraversare l’Italia, così come la Grecia, con tutte le armi in arrivo da Saddam Hussein. Mai ci sarebbe potuto sfuggire un carico di T4 grande come quello fatto esplodere a Bologna. Non sarebbe sfuggito a noi e di certo non lo potevano avere in mano i neofascisti. Quel tritolo viene dai militari… Tra i rivoluzionari palestinesi e i servizi segreti italiani i patti erano chiari: in Italia traffico di armi sì, attentati no… E noi abbiamo mantenuto la parola”.

Non che quello che dice Carlos sia vangelo, ma è anche poco chiaro perché l’Ori, la sua organizzazione, doveva compiere un attentato, contro i suoi interessi, per liberare un membro del gruppo avversario. Fu un rapporto di un giovane funzionario dell’Interpol, Gianni De Gennaro, oggi a capo del Dis, a scagionare una ventina di anni fa Kram e la Frolich. I due erano soltanto di passaggio a Bologna, il primo aveva alloggiato in albergo fornendo regolare passaporto.

Il movente della strage di Bologna, come quello di ogni altra strage, è molto complesso. Un mese prima era scomparso un Dc 9 a Ustica, c’era il crack di Sindona alle spalle, quello dell’Ambrosiano alle porte, i soldi della mafia scomparsi e molte inchieste che portavano sulle tracce di Gelli e del ruolo svolto dalla cellula “deviata” del Sismi. Pochi mesi dopo sarebbero state scoperte le liste a Castiglion Fibocchi, un sistema di potere stava per saltare in aria.

Forse nella sentenza di Bologna c’è qualche errore, non ci sono ancora i mandanti. Alcune verità, però, non si possono negare. E’ da lì che bisognerebbe partire se si vuole davvero dare un nome ed un volto ai responsabili della strage di Bologna.

Ultima modifica il Venerdì, 02 Agosto 2013 13:40

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