I dati del rapporto Istat sulle povertà parlano chiaro: l’unico pezzo d’Italia dove crescono in misura significativa le povertà assolute e relative - rispettivamente dal 4,2% al 5,9% e dal 6,5% al 7,8% - è il Centro Italia, mentre il Nord è sostanzialmente stabile e il Sud è addirittura riuscito a migliorare il suo status.
Le statistiche e gli indicatori, d'altra parte, parlano - e da tempo - dell’emergere in Italia di una vera e propria 'questione territoriale', con una marcata polarizzazione tra territori nei quali si concentrano opportunità, risorse, servizi e investimenti e aree in cui si acuiscono l’invecchiamento, la povertà e la desertificazione. Ed in effetti, nel giro di un anno - tra il 2015 e il 2016 - la poverà è raddoppiata nei piccoli comuni del Centro Italia e si è dimezzata, invece, nelle metropoli del Nord.
Insomma, le aree interne soffrono terribilmente e stanno divendendo, con gli anni, sacche di sottosviluppo del Paese; eppure, parliamo della spina dorsale italiana, di un pezzo fondamentale della identità, del tessuto sociale, dell'unicità italiana. Non a caso, il 2017 è l'Anno dei Borghi. "Dopo il 2016 Anno nazionale dei cammini, che ha portato un grande successo, anche di numeri – ha spiegato il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, a febbraio scorso - era naturale che il 2017 fosse l'anno dei borghi, che sono un patrimonio straordinario del nostro Paese".
Il Progetto, sostenuto, oltre che dal Ministero, da 18 Regioni, da Enit e dalle associazione dei borghi, è funzionale a quanto previsto dallo stesso Piano Strategico 2017-22 del turismo che ha tra i propri obiettivi il rinnovamento e l’ampliamento della offerta turistica, la valorizzazione di nuove mete e la creazione di occupazione. "I borghi si spopolano perché non c’é lavoro - ha chiarito Franceschini - ma se si creano occasioni di occupazione, come dimostra la bellissima esperienza degli hotel diffusi, tornano anche le persone e i giovani".
Si pensa immediatamente ai terremoti che, dal 2009 ad oggi, hanno colpito un'area vasta degli appennini. Non si tratta soltanto di questo, però. A leggere il rapporto annuale di Intesa San Paolo dedicata ai distretti, peculiare forma di capitalismo diffuso - giusto per fare un esempio - si evince che i distretti dell'Italia di mezzo, eccetto per i vini fiorentini e senesi, sono lontanissimi dalla top ten; anzi, risultano in coda anche per ciò che attiene ai piani di acquisizione all'estero e di reshoring produttivo, il ritorno delle imprese in patria a dirla semplice.
"Caso di specie, le Marche - scrive Francesco Cancellato su linkiesta - la 'regione più artigiana d’Italia', forse quella che ha pagato il prezzo più duro alla crisi. Tra gennaio e marzo del 2017, a dieci anni dall’inizio della recessione, sono state 4233 le imprese che hanno chiuso i battenti, con un saldo negativo di 1200 unità circa - guarda un po’ - soprattutto nelle calzature, nella meccanica e nel legno arredo, figlio del crollo di ordinativi e investimenti". Così, "non si può far finta di non vedere che quasi tutte le crisi bancarie sono figlie dei territori della Terza Italia dei distretti - aggiunge Cancellato - da Siena ad Arezzo, da Vicenza a Ferrara, da Ancona a Chieti. Senza dimenticare, peraltro, ai faticosi tentativi di rilancio e alle inchieste giudiziarie che coinvolgono gli istituti di credito locale di Rimini, Cesena, Teramo, Pescara. Tutte piccole casseforti di ricchezza locale, fiori all’occhiello di comunità coese e operose, trasformatesi nella loro aberrazione".
Non si tratta soltanto di lavoro; o meglio, la mancanza d'occasioni di occupazione, si intreccia con i tagli dei servizi essenziali, quali scuole, trasporti, sanità: così, vengono meno i fondamentali diritti di cittadinanza col risultato che qualunque iniziativa di rilancio è votata al fallimento. "È su questi nodi che si giocherà la partita del riequilibrio territoriale e del ruolo delle nostre comunità", sottolinea Ermete Realacci nella introduzione al libro di Enrico Borghi, 'Piccole Italia', edito da Donzelli. "L’attuazione di politiche in grado di garantire il diritto di opzione e la libertà di scelta di vita necessita di forme politiche che siano luoghi di rielaborazione del pensiero, luoghi nei quali riformulare le prospettive all’interno di una visione di bene comune. Solo così la questione territoriale diventa questione nazionale, ed è per questo che le 'piccole Italie' possono contribuire in maniera decisiva a salvare la grande Italia".
E' dunque arrivato il momento d'intervenire, e farlo per davvero, partendo, magari, dalla legge sui piccoli comuni che, a breve, approderà in Senato dopo il passaggio alla Camera [leggi qui]. E' questione di importanza vitale anche per l'Abruzzo, che ai territori delle aree interne deve guardare se vuole avere una possibilità di rilancio economico e, diremmo, sociale; non sfugga che, nella nostra Regione, i Comuni sotto i 5mila abitanti sono 249 su 305 (l'81.64%), i comuni montani occupano il 76.4% del territorio ma vi abitano poco meno del 26% degli abruzzesi.