In dieci anni, dal 2007 al 2017, in Abruzzo sono andati in fumo, a causa degli incendi, circa 20 mila ettari di territorio, gran parte dei quali boscati. La “Regione verde d’Europa”, in due lustri, ha perso il 3,5% dei propri boschi.
Il dato, allarmante, è dato da Italia Nostra, che, in una lunga nota, fa un’attenta disamina dell’”estate di fuoco” che ha sconvolto l’Abruzzo, sottolineando, al di là delle responsabilità penali che dovranno essere accertate, le criticità, i ritardi, la mancanza di interventi e le inadempienze della politica e degli organi statali, centrali e periferici, nella prevenzione degli incendi e nella tutela del territorio.
La nota
Gli incendi boschivi nella regione Abruzzo. Il disastro ambientale dell’estate 2017
Dopo giorni e giorni di lavoro a terra e in aria ancora non sono stati spenti tutti i focolai ma è d’obbligo cominciare a fare alcune considerazioni.
E’ stata un’estate drammatica, la peggiore dopo quella del 2007.
Gli incendi hanno interessato finora 3500 ettari di superficie boscata e 2500 di superficie non boscata (dati non definitivi forniti dalla Regione) e se alle superfici boscate percorse dal fuoco quest’anno aggiungiamo gli incendi dal 2007 al 2016, in dieci anni sono andati in fumo più di 15.000 ettari di territorio, cioè il 3,5% dei boschi della regione Verde d’Europa. Un disastro.
Quest’anno 1/3 delle superfici incendiate era in aree protette, in zone di particolare pregio ambientale, nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, sul Morrone, nel Parco Nazionale della Majella, e nel Parco Regionale del Sirente-Velino.
I danni sono enormi, a quelli alla vegetazione e paesaggistici vanno aggiunti quelli ambientali (la morte di migliaia di animali e milioni d’insetti) con la distruzione della formidabile biodiversità in aree delicatissime.
Tutti i danni non sono ancora valutabili e ci vorranno decine e decine di anni e di lavoro della natura per tornare allo stato pre incendi.
Alla magistratura toccherà ora il compito di verificare se ci sono delle fattispecie riconducibili al disastro ambientale (art. 452 quater C.P.) doloso, per i piromani e i loro eventuali mandanti, e colposo per le inadempienze e inefficienze degli Enti preposti, prima fra tutte la Regione ma anche gli Enti Parco.
A noi il dovere di considerazioni legate alla gestione degli eventi calamitosi.
La regione Abruzzo ha un patrimonio forestale stimato di 438.590 ettari pari al 40,6 % della superficie(http://www3.istat.it/istat/eventi/2007/forestali/inventario_foreste_serbatoi_carbonio.pdf), in percentuale più del Piemonte e della Toscana.
Di questo patrimonio circa l’80% è di proprietà collettiva (Comuni, Amministrazioni Separate degli Usi civici). La materia forestale è di competenza regionale ed è normata dalla L.R. n. 3/2014 che dedica tutto il capo III alla difesa dei boschi dagli incendi.
L’estate di quest’anno è stata sicuramente anomala, con prolungata assenza di precipitazioni e con giornate che hanno fatto registrare temperature elevate, sicuramente superiori alla media del periodo. Ma questo era stato abbondantemente previsto e segnalato dagli esperti e dalla Protezione civile nazionale. Quindi i dati di partenza erano noti ed il rischio incendi più alto degli anni passati.
Va precisato che, di norma, in Protezione civile, una volta definito il rischio (in questo caso rischio incendi boschivi) per diminuirlo vanno individuate le azioni di prevenzione e previsione da mettere in atto e per il rischio residuo si procede alla sua pianificazione. Naturalmente previsione e prevenzione hanno respiro poliennale e per i boschi sono rappresentate dalla corretta conduzione e manutenzione.
La citata legge regionale n. 3/2014 prevede che i soggetti pubblici (Comuni ed Amministrazioni separate degli Usi civici) debbano redigere il Piano di gestione silvo-pastorale.
Un piano regolatore dei boschi, primo elemento di prevenzione degli incendi, che ne prevede l’utilizzo, la manutenzione e la sicurezza attraverso la realizzazione, ad esempio, di fasce tagliafuoco.
Orbene, sebbene finanziati, a tre anni e mezzo dalla promulgazione della legge un solo Comune ha concluso l’iter ed ha il piano operativo.
Questo è un fatto grave e la responsabilità va alle amministrazioni inadempienti ed alla Regione che non le ha messe in mora nominando eventualmente un commissario.
Va detto che anche la Regione ha ritardi inspiegabili ed ancora oggi non si è dotata del Piano regionale delle foreste. E si dice che siamo la Regione Verde d’Europa.
Bisogna ribadire che anche sugli aspetti legati alla prevenzione, e alla prevenzione di interesse diretto regionale, ci sono delle assurdità che è difficile tollerare.
Una lettura del PSR (Piano di Sviluppo Rurale) 2014 – 2020 (https://www.regione.abruzzo.it/system/files/pagina-base-psr/schedaSintesi.pdf) conferma quanto poco sia tenuto in conto il valore economico e paesaggistico-ambientale delle aree boscate.
Rispetto ad un impegno di spesa totale di 432 milioni e 795 mila euro solo 3 milioni di euro (lo 0,7% ) è dedicato alla misura 8.3.1 – (Investimenti a protezione delle superfici forestali).
In queste condizioni e con questi presupposti si può tranquillamente affermare che la Regione Abruzzo non vuole mettere in atto politiche adeguate per la prevenzione e previsione degli incendi boschivi.
Il disinteresse verso questo importante settore è ulteriormente dimostrata dalla recente riorganizzazione degli uffici con lo smembramento delle delicate attività di autorizzazione ai tagli boschivi trasferite sul territorio a chi fino ad ora si occupava di agricoltura e non ha competenze e preparazione in materia forestale. Anche la materia degli usi civici (tutti pascoli e foreste) è stata divisa dal settore forestale.
Come detto, anche dopo prevenzione e previsione (quando queste sono efficaci ed efficienti) rimane sempre scoperto un rischio residuo che va pianificato.
Al contrario di altri rischi naturali il rischio incendio è modellabile. Conoscendo il carico d’incendio di una zona, dato dal tipo e dalla densità forestale, conoscendo la direzione e la velocità dl vento è possibile costruire molteplici modelli utili in caso di emergenza.
In Abruzzo l’emergenza è normata dall’art. 52, comma1, della L.R. 3/2014 (la Regione, per il tramite della Direzione regionale competente in materia di Protezione civile, programma le attività di previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi secondo quanto previsto dal Piano regionale di settore).
E il successivo art. 53, comma 1, recita: “La Direzione regionale competente in materia di Protezione Civile provvede annualmente all'aggiornamento del Piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi …”.
Tralasciando le altre incombenze e concentrandoci sul primo comma di questi due articoli possiamo dire che la Regione si è dotata di un piano rischio incendi boschivi (AIB) dal 2011.
L’ultimo aggiornamento è quello approvato, con gravissimo ritardo e praticamente già a campagna iniziata, il 14 luglio 2017 con delibera n. 381.
La prima osservazione è che la legge obbliga all’aggiornamento annuale del piano, non fatto per il 2016, specialmente a seguito dell’abolizione del Corpo Forestale dello Stato.
La lettura delle schede allegate alla delibera del 2015 ed a quella del 2017 chiariscono la notevole riduzione del personale e mezzi messi in campo.
Mancano all’appello ben mille persone qualificate ed addestrate.
Va fatta una riflessione anche sugli impegni di spesa: in 9 anni dal 2007 al 2015 si è passati da 2 milioni 450 mila euro a 1 milione di euro. Ed ecco spiegata un’altra causa della superficialità ed approssimazione con cui è stata gestita l’emergenza. Per sopperire in parte a questa contingenza sono dovuti intervenire centinaia di cittadini armati di buona volontà e qualche attrezzo, senza protezioni ignifughe e senza preparazione.
La “flotta” aerea regionale
La Regione Abruzzo, pur in presenza di un rischio elevato e al contrario di altre regioni italiane si è dotata di una flotta area (flotta è un eufemismo) del tutto inadeguata.
Un unico elicottero con secchione di stanza a Pescara ed eventualmente un altro in appoggio. Fino a due anni fa, in estate, era di stanza all’aeroporto di Preturo dell’Aquila, luogo sicuramente più baricentrico, un Erickson S64F con una portata fino a 10.000 litri di acqua più liquido ritardante: mezzo ben più efficace degli elicotteri con secchione che, al massimo, arrivano a 1000 litri.
Non bastano le giustificazioni che non c’erano soldi, è stata una scelta politica che oggi paghiamo tutti duramente!
Lo scioglimento del Corpo Forestale dello Stato
Lo scioglimento del Corpo Forestale dello Stato con il decreto Madia (D. Lgs. 19 agosto 2016, n. 177) ha influito anch’esso negativamente nella gestione delle emergenze incendi in questa regione, come in tutta Italia. E’ legittimo per il Governo voler riformare qualsiasi cosa ma altrettanto legittimo è per la collettività pretendere alla fine che le prestazioni ed i servizi siano almeno pari a prima della stessa riforma. Questo non è avvenuto.
Sono state trasferite (art. 9) le competenze per lo spegnimento incendi boschivi al Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco senza trasferire uomini e mezzi in misura adeguata: vi sono confluite solo 361 unità degli oltre 7 mila ex forestali (sono 390 quelli previsti nella tabella allegata al citato decreto).
Nella regione Abruzzo si sono avute circa 600 persone esperte in meno sul fronte del fuoco ed alcuni mezzi antincendio, già della Forestale, sono rimasti nelle autorimesse.
Va sottolineato che il soppresso Corpo Forestale dello Stato aveva, tra i vari difetti, pure notevoli pregi nel campo della salvaguardia, ricerca e valorizzazione della flora e della fauna oltre a svolgere un capillare controllo del territorio montano.
Questi aspetti non secondari sono andati perduti ed oggi, per un accordo dell’ultim’ora tra Protezione civile e comando dell’Arma dei Carabinieri, personale esperto sul fronte del fuoco si ritrova a fare opera di bonifica. Veramente grottesco.
I Parchi nazionali
In tutta questa storia i Parchi del Gran Sasso e Monti della Laga, della Maiella e del Sirente Velino sono stati assenti ingiustificati e colpevoli.
Per quanto riguarda il Parco del Gran Sasso Laga vale ricordare che al contrario degli altri anni, a Fonte Vetica per la manifestazione denominata “58a Rassegna degli ovini” non era presente alcun mezzo AIB Anti Incendio Boschivo di pronto intervento (l’ex CTA del Parco aveva in dotazione un’autobotte Mercedes Benz da ben 8.000 litri).
Inoltre la manifestazione è stata autorizzata all’interno della zona B del Piano del Parco, recentemente approvato, che prevede che in queste zone “siano conservate le caratteristiche naturali nello stato più indisturbato possibile dalla azione umana”: 30.000 visitatori, migliaia di autoveicoli, centinaia di bancarelle non rientrano certo nello spirito della norma.
L’inquinamento atmosferico
Secondo alcune fonti di stampa la quantità totale di CO2 immessa in atmosfera dai soli incendi del Gran Sasso e del Morrone potrebbe essere di circa 420.000 tonnellate, pari a quella di 60 motori diesel vecchio tipo che percorrono 1.000 Km.
Servirebbero subito almeno settemila ettari di bosco, gestito in modo sostenibile, per compensare l’emissione degli incendi.
A questo va aggiunto l’allarme dei medici della Valle Peligna, preoccupati per la presenza di monossido di carbonio e di particolato e a lungo termine per il benzene e le polveri fini. Insomma un disastro che poteva, almeno in gran parte, essere evitato con più accortezza e meno superficialità.
Certo l’immagine della regione non ne esce proprio bene e se ci aggiungiamo la figura fatta con l’emergenza neve, la tragedia della valanga sull’albergo di Rigopiano e la più grande discarica di veleni d’Europa (Bussi) bisognerà lavorare parecchio e per parecchi anni. Altro che Masterplan!
Paesaggio e beni comuni
Il boschi dovrebbero rappresentare un elemento centrale della politica regionale, essi fanno parte del nostro paesaggio identitario, sono per lo più beni collettivi e beni comuni, sono nella quasi totalità ricompresi nella zona A (conservazione integrale) del Piano paesistico regionale. E sono un enorme serbatoio di biodiversità che dobbiamo conservare per le future generazioni.
Per questo ci sentiamo in dovere di chiedere alla Regione Abruzzo di porre al centro dell’agenda politica questo problema, ma non certo con i rimboschimenti!
Che cosa chiediamo di fare
1) La ristrutturazione dei servizi forestali regionali con implementazione adeguata dell’organico considerato anche che è venuto a mancare l’apporto fondamentale del CFS con cui la Regione stipulava convenzioni per soddisfare a tutte quelle esigenze dovute alla materia delegata che non riusciva ad espletare. Riportare entro un'unica struttura foreste, usi civici e tratturi.
2) La collocazione dei servizi forestale, usi civici e tratturi nell’area tematica ambientale con la considerazione che i boschi sono un bene ambientale e paesaggistico, un bene comune e serbatoio di biodiversità.
3) Piena attuazione della legge 3 del 2014 in particolare per la parte relativa alla redazione del piano forestale regionale e dei piani di gestione silvo-pastorale e da subito un piano poliennale dotato di apporti finanziari certi, per opere di previsione e prevenzione.
4) La ricostruzione del sistema vivaistico regionale oggi in abbandono ed a prevalenza di essenze autoctone.
5) Un piano AIB (Anti Incendi Boschivi) aggiornato e credibile che quantifichi le risorse necessarie in termini di mezzi e uomini, che modelli il rischio nelle varie zone della regione; identica richiesta per i Comuni e gli Enti Parco.
6) Una flotta aerea di pronto intervento degna di questo nome, una convenzione per avere l’elicottero Erickson S64F di stanza nelle aree interne nei mesi estivi, come succedeva fino a due anni fa, realizzazione e ristrutturazione di punti d’acqua vicino alle aree boscate (come qualche Comune già sta studiando), un sistema di avvitamento incendi mutuando le soluzioni messe in campo da altri ( es. Grecia e/o alcune regioni del nord) con l’ausilio delle numerose associazioni di volontariato presenti e ben finanziate dalla Regione.
7) Sospensione della caccia in tutto il territorio regionale almeno per due anni.
8) Un programma pluriennale per la sostituzione progressiva delle pinete degradate e più a rischio con essenze autoctone.
9) Aggiornamento o redazione da parte dei Comuni del Catasto delle aree percorse dal fuoco, così come previsto dalle leggi vigenti, commissariando i Comuni inadempienti.
10) Finanziamenti agli allevatori ed agricoltori di montagna per la cura del sottobosco.
Che cosa chiediamo di non fare
1) No ai rimboschimenti in aree percorse dal fuoco.
2) No ad opere di ingegneria naturalistica nelle medesime aree.
3) No ad interventi spot.
Ricordiamo che ai sensi dell’art.10, comma 1 della Legge 353/2000 “Sono vietate per cinque anni, sui predetti soprassuoli, le attività di rimboschimento e di ingegneria ambientale sostenute con risorse finanziarie pubbliche, salvo specifica autorizzazione concessa dal Ministro dell’ambiente, per le aree naturali protette statali, o dalla Regione competente, negli altri casi, per documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici. Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia”.
Le specifiche autorizzazioni del Ministero dell’Ambiente o della Regione per eventuali situazioni di dissesto idrogeologico debbono riguardare casi censiti e studiati e non risolte con rimboschimenti affrettati che avrebbero eventualmente effetto tra venti-trenta anni.
In poche parole lasciare che la natura faccia il suo corso e aiutarla ove necessario con micro interventi mirati e calibrati.
Ricordiamo inoltre che le norme vietano l’esercizio del pascolo e della caccia e degli altri usi nelle aree percorse dal fuoco.