Lunedì, 30 Ottobre 2017 04:28

Migranti: un giorno nel centro di accoglienza straordinaria di via Roma, a L'Aquila

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C’è Mohammad, che viene da Mogadiscio - dove faceva il professore - e che è fuggito dalla Somalia travestito da donna per scappare dalle violenze di Al Shabaab, il gruppo fondamentalista islamico che controlla tutto il sud di un Paese, la Somalia, invischiato in una guerra civile che sembra non finire mai e che dura ormai quasi ininterrottamente dal 1991.

C’è Imran, che invece ha dovuto abbandonare il suo villaggio a pochi chilometri da Kabul, in Afghanistan, perché lì i talebani non se ne sono mai andati e la guerra non è mai finita.

Ci sono i ragazzi nigeriani, togolesi, ivoriani che l’altro ieri – e non era la prima volta - hanno preso scope, sacchi e ramazze e hanno ripulito viale Duca degli Abruzzi dalle foglie e dalla sporcizia, perché lì tutto è abbandonato e non passano nemmeno i camion dell’Asm.

migranti puliscono

Sono i volti che popolano il cas (centro straordinario di accoglienza) di via Roma, all’Aquila, finito sotto i riflettori dopo che, un mese fa, un gruppo non meglio precisato di “residenti del centro storico”, capeggiato da Andreina Pellegrini, personaggio aduso a pose da tribuno arringapopolo, aveva chiesto e ottenuto una riunione con il prefetto  - poi sintetizzata in una lettera inviata anche alla stampa - per segnalare “le problematiche conseguenti la collocazione di migranti” vicino a edifici signorili appena ristrutturati e il presunto “degrado” portato nel quartiere da persone che “non rispettaano le nostre regole” e che se ne stanno ammassate in un palazzo divenuto per colpa loro “una specie di favela”.

Un’uscita che non pochi, e a ragione, hanno ritenuto pretestuosa e di chiaro stampo razzista, basata peraltro su affermazioni non suffragate dai fatti. Una sortita che ha contribuito a invelenire ulteriormente un clima da caccia allo straniero che ha portato, qualche giorno fa, Amedeo Esposito, sulle colonne del Messaggero, a parlare di un “vento dell’inaccoglienza” che si è alzato forte sulla città.

Domani del cas di via Roma si parlerà anche nella terza commissione consiliare (politiche sociali)  presieduta da Elisabetta De Blasis.

Attualmente il centro, gestito dalla Fraterna Tau del Movimento celestiniano che fa capo a padre Quirino Salomone, ospita 96 migranti, tutti uomini.

Sono migranti che hanno fatto domanda per vedersi riconosciuto il diritto all’asilo politico nel nostro Paese o una delle altre forme di protezione previste (umanitaria e sussidiaria) e che sono nel centro in attesa della risposta della Commissione territoriale di Ancona.

Chi è fortunato la riceve dopo sei mesi ma possono passare anche anni (dipende dai casi) e il tasso di respingimento è molto alto: su 100 domande presentate ne viene accolta solo una ventina. Chi viene “respinto” ovviamente fa ricorso, perché l’alternativa sarebbe tornare da dove si è fuggiti. Così, però, i tempi si allungano ancora di più e si rimane prigionieri in un limbo dove non si può fare altro che aspettare.

Teoricamente i migranti ospitati nei cas potrebbero anche lavorare ma chi ha provato a cercare un impiego racconta di aver ricevuto solo parolacce, insulti, porte sbattute in faccia o, nel migliore dei casi, proposte per lavoretti in nero, senza garanzie né diritti.

Per chi vive in questa bolla fatta di sospensione e attesa, le giornate non passano mai. Certo, ci sono i corsi di italiano ma le lezioni non si tengono tutti i giorni e comunque non tutti, per questioni di spazi e capienza delle aule, possono frequentarle.

Appena entriamo nel centro, ci avvolge subito un odore di soffritto. Anche se i migranti hanno diritto a tre pasti al giorno preparati da un servizio mensa, c’è comunque chi si diletta con i fornelli e cucina usando quello che riesce a comprare con i soldi del pocket money (due euro al giorno)  passati dallo stato italiano.

Cucinare per sé è anche un modo per riempire il tempo, per preservare le proprie abitudini culinarie e non recidere del tutto i legami con la propria terra e la propria cultura d’appartenenza.

I migranti ospiti del centro vengono quasi tutti dall’Africa Sub Sahariana o dal Corno d’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente.

Muhammad, come detto, viene da Mogadiscio. E’ scappato perché nel paese vige un clima di terrore instaurato dai fondamentalisti di Al Shabaab. E’ un uomo colto, in Somalia faceva il professore. Insieme a lui, nel cas ci sono altri suoi connazionali e sono angosciati per quanto sta accadendo lì giù. In sole due settimane, due attentati terroristici rivendicati da Al Shabab hanno fatto più di 400 morti. La capitale somala è sempre più terra di nessuno, il governo riconosciuto riesce a controllare solo l’aeroporto e alcune zone residenziali. La Somalia è un paese dilaniato da oltre 25 anni di guerra civile. Dopo l’attentanto del 14 ottobre, Muhammad e i suoi amici hanno esposto davanti la sede del Movimento celestiniano degli striscioni per ricordare una mattanza che si sta compiendo nel totale silenzio dei media occidentali.

ragazzi somali

Chi fugge da un altro paese mai pacificato, malgrado le invasioni e le occupazioni straniere, è Imran. 31 anni, afgano, Imran è scappato dalla propria città, un villaggio vicino Kabul, più di dieci anni fa e da allora è transitato, viaggiando a piedi o con mezzi di fortuna, per mezza Europa. Dalla scorsa primavera è in Italia, prima di venire all’Aquila è stato a Gorizia. Gli piacerebbe riprendere gli studi che ha dovuto interrompere in Afghanistan (dove il 90% della popolazione non ha accesso all’istruzione), il suo sogno sarebbe quello di intraprendere medicina. “Chissà, vediamo” dice “è da tanti anni che ho abbandonato gli studi e Medicina è una facoltà difficile”.

Imran

Dall’Africa Sub Sahriana vengono invece i ragazzi che sabato hanno ripulito, con sacchi e scope, un lungo tratto di viale Duca degli Abruzzi, facendo peraltro buna parte del lavoro a mani nude. Un’iniziativa che avevano già intrapreso altre volte, una delle quali qualche giorno dopo il famigerato incontro dei residenti del centro storico con il prefetto. Se non fosse per loro che si prendono cura di quest'angolo dimenticato di città, qui non se ne occuperebbe nessuno.

“Finora, per pulire, abbiamo usato solo qualche scopa” dicono a NewsTown “Ma se ci dessero qualche attrezzo in più potremmo pulire ancora meglio”.

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