Sabato prossimo, le associazioni ambientaliste manifesteranno a Teramo per chiedere sicurezza per l'acqua del Gran Sasso; la consapevolezza dell'interferenza tra acquifero, autostrada e laboratori di fisica nucleare "deve spingere ad atti concreti per mettere finalmente in sicurezza il sistema", l'appello. D'altra parte, investiti 80 milioni di euro per la gestione commissariale, "centinaia di migliaia di cittadini hanno potuto verificare che la sicurezza, ad oggi, non è affatto garantita", hanno sottolineato i promotori; dunque, "è arrivato il momento di affrontare una volta per tutte il problema e adottare soluzioni efficaci che mettano al primo posto la tutela della salute e dell'ambiente".
In questo senso, venerdì scorso - nella sala Celestino di Palazzo Silone a L'Aquila - si è riunito il tavolo voluto dal vice presidente della Giunta regionale, Giovanni Lolli, proprio per la messa in sicurezza del bacino idrico con le Istituzioni e gli Enti interessati. "Abbiamo dato conto delle interlocuzioni in corso col Governo e con la Presidenza del Consiglio dei Ministri; poi, si è discusso dell'esperimento Sox", ha spiegato Lolli ai microfoni di news-town.
Iniziamo dalla messa in sicurezza dell'acquifero. INFN e Strada dei Parchi - su sollecitazione del tavolo - hanno dato incarico al professor Roberto Guercio, che già aveva predisposto il piano di messa in sicurezza all'epoca del commissariamento, di fornirne un aggiornamento che verrà poi discusso con le strutture delegati dello Stato. "Faremo la nostra parte - ha ribadito il vice presidente della Giunta - ma siamo dinanzi ad un problema nazionale, ed è lo Stato che deve intervenire. Parliamo di un intervento che richiede un investimento importante, oltre a procedure complesse. In questo senso, c'è la piena disponibilità dell'esecutivo: l'8 novembre è fissata una riunione e l'autorità di bacino distrettuale dell'Appennino centrale indicherà la messa in sicurezza del sistema acquifero del Gran Sasso come una priorità nazionale. D'altra parte, in seno all'incarico affidato al professor Guercio, chiederemo una perizia giurata dei danni eventualmente intervenuti sul sistema a seguito dei due terremoti: venissero dimostrati, infatti, potremmo beneficiare dei fondi per la ricostruzione. Contestualmente, comunque, essendo stata indicata la messa in sicurezza come una delle due priorità del centro Italia, il Ministero delle Infrastrutture si è dichiarato disponibile ad intervenire".
Si tratta di un intervento che non è relativo semplicemente alla realizzazione di una nuova captazione dell'acqua a 200 metri dalle attività, come prescrivono le norme, che deve essere poi addotta in un tubo inox collocato a lato del sedime autostradale, e non sotto; "ci vogliamo occupare anche dell'acqua che va in scarico - ha assicurato Lolli a margine del tavolo - che finisce nei fiumi e, dunque, deve essere depurata. Inoltre andranno rafforzate le strutture di raccolta dell'acqua potabile, sul versante teramano - sebbene ci sia il potabilizzatore di Montorio - e sul versante aquilano".
Un'opera che costerà decine di milioni di euro.
"Il sistema di monitoraggio attuale ha dimostrato di essere efficiente e funzionante", ha tenuto a specificare il professor Guercio; "ci consente, infatti, di rilevare qualunque anomalia ben al di sotto della soglia prevista dalla legge. L'attenzione che si è creata nell'ultima circostanza per la presenza di toluene nell'acqua si è verificata per un quantitativo di sostanza che stava ad un 350esimo del livello di soglia. Il fatto che ce ne siamo accorti garantisce la popolazione".
Detto questo, oltre il monitoraggio pur indispensabile, c'è un problema strutturale: "per come sono state realizzate le opere - ha spiegato Guercio ai nostri microfoni - sono più o meno interconnesse tra di loro. Per cui, quando vengono verniciate le strisce delle corsie autostradali il toluene finisce nell'aria, poi nell'acqua e quindi nell'acquedotto; quando avviene uno scarico o, magari, c'è uno sversamento sulla pavimentazione può succedere la stessa identica cosa. L'ipotesi, dunque, è di separare fisicamente i sistemi, e cioé l'acqua di drenaggio della sezione di galleria, l'acqua che eventualmente cade sulla pavimentazione, l'acqua potabile; la separazione fisica deve avvenire nel rispetto delle prescrizioni di legge che prevedono che le captazioni avvengano a 200 metri di distanza da qualsiasi tipo di attività. Così pensata, la separazione garantirà che qualsiasi cosa accada, volontaria o accidentale, non contamini l'acqua potabile. Una soluzione strutturale intrinsecamente sicura".
Ed i tempi per realizzarla? "E' ragionevole pensare che completando ciò che era già stato ipotizzato 10 anni fa, e implementandolo - considerato che le tecnologie sono migliorate, le tecniche d'intervento più efficienti ed efficaci - si possa raggiungere l'obiettivo nell'arco dell'anno prossimo, quando verranno realizzati anche i lavori di messa in sicurezza delle gallerie autostradali in base alla normativa europea".
Al tavolo, come detto, si è parlato anche del discusso esperimento Sox, "del quale non eravamo stati tempestivamente e opportunamente avvisati", ha inteso ribadire Lolli. "Pazienza. Abbiamo chiesto, però, ci venga fornita la documentazione autorizzativa in base alla quale i Laboratori hanno operato, e che viene dall'Ispra e dai Ministeri competenti, e abbiamo fatto presente che operando in un Parco, e tra l'altro in un'area Sic, riteniamo possa essere necessaria una ulteriore procedura autorizzativa, una Vinca o una Via, lo valuteremo. Sulla base della documentazione fornita, il Tavolo avanzerà una proposta; i tempi delle procedure sono fissati dalla legge: chiaro è che daremo assoluta priorità al processo autorizzativo, ci mancherebbe altro".
Lolli ha specificato come si stia operando oltre l'ordinarietà, "e già il tavolo che convochiamo in Regione non è ordinario: fino a quando non metteremo in piena sicurezza il sistema, però, si dovrà operare in via straordinaria, oltre le prescrizioni normative e le leggi nazionali che i Laboratori del Gran Sasso hanno puntamente osservato. Fino alla messa in sicurezza dell'acquifero, chiederemo procedure aggiuntive sulla base di un criterio di precauzione che deve essere enormemente rafforzato in considerazione del fatto che operiamo in una situazione delicata giacché l'acquifero non è completamente isolato dalle attività svolte dai Laboratori e da Strada dei Parchi".
E sul punto, c'è la piena disponibilità dell'Istituto di Fisica nucleare del Gran Sasso. "Pensavamo, e pensiamo ancora, che rivolgendoci ad un Ministero per la procedura autorizzativa - e il Ministero ha acquisito il parere di altri quattro Ministeri - avessimo seguito la procedura corretta", le parole di Fernando Ferroni, presidente Infn. "Tuttavia, considerati i malintesi, e le mancate spiegazioni, crediamo sia arrivato il momento di dare la massima disponibilità per charire a tutti i contorni dell'esperimento, a cominciare dalla Regione e fino all'ultimo cittadino, e ci proponiamo per partecipare ad incontri informativi nei Comuni che volessero approfondire la vicenda. Dunque, forniremo tutta la documentazione possibile; detto questo, crediamo che la Regione converrà sulle nostre ragioni, volesse ulteriormente approfondire, però, ne ha facoltà e diritto".
Ferroni è consapevole che la parola 'nucleare' possa suscitare reazioni istintive negative, "e lo capisco mettendomi nei panni dei cittadini che, sul tema, sono stati sensibilizzati e hanno diritto, dunque, alle spiegazioni del caso. Certo, siamo un Istituto nazionale di fisica nucleare e i nostri esperimenti vengono realizzati attraverso tecnologie comuni agli Istituti simili al nostro nel mondo".
Ma perché è così importante realizzare l'esperimento nel ventro del Gran Sasso? "Paradossalmente, la necessità di farlo nei laboratori del Gran Sasso attiene alla minima radioattività presente e alla minima contaminazione di raggi cosmici che vengono dal cielo e che, sulla terra, renderebbero impossibile realizzarlo. Parliamo di un esperimento delicatissimo: il generatore produce neutrini, soltanto pochi verranno rilevati dall'esperimento Borexino, e quindi deve essere realizzato nelle condizioni ambientali più schermate possibile dalla radioattività. Eccolo, il paradosso: non contamineremmo mai il nostro laboratorio più pulito e privo di radioattività con un esperimento che potesse essere pericoloso".
Tra l'altro, "negli anni '90 è stato eseguito lo stesso tipo d'esperimento con una sorgente di neutrini: parlo di Gallex, fondamentale poiché dimostrò che il sole, apparentemente, produceva meno neutrini di quelli necessari a scaldarci, e questa è una delle evidenze più forti della scoperta successiva delle oscillazioni del neutrino. Insomma, un generatore di questo tipo nei Laboratori del Gran Sasso c'è già stato solo che, a quel tempo, nessuno aveva contezza dei possibili problemi dell'acqua. Noi dobbiamo dimostrare che l'esperimento è sicuro al di là dell'immaginazione più perversa".