Di fronte alla retorica pubblica di stampo allarmistico che circonda il fenomeno migratorio sembra sempre più difficile inquadrare nella giusta prospettiva gli eventi che ad esso si ricollegano. Lo sguardo dei media è parziale e la narrazione che ne risulta sensazionalistica e poco attenta alle cause e alle sue innumerevoli implicazioni. Il tema è soggetto alle più diverse forme di strumentalizzazione. In un clima di incertezza e precarietà, i migranti sono diventati capro espiatorio. Se non c'è lavoro, se la sanità pubblica non funziona, se la scuola va a pezzi, la colpa è dei migranti. Poco importa quanto sia illogico e infondato il parallelismo. Se si ferma "l'invasione" tutti ne trarranno benefici. Risultato? Un cortocircuito nel processo di comprensione della realtà da parte collettività, che rifiuta riflessioni e considerazioni di buon senso per accogliere narrazioni intrise di stereotipi, che riducono ogni problema a paura individuale e collettiva.
E' in questo contesto e con queste modalità che il tema dell'immigrazione si è trasformato nella questione centrale per le sorti del Paese, entrando prepontemente in cima all'agenda politica. E, come dimostrato dalle ultime elezioni, è su questo che si giocano le competizioni elettorali, che si spostano voti, che ci si rincorre su posizioni sempre più securitarie.
Un quadro che richiama l'urgenza di squarciare il velo dell'identitarismo e dell'intolleranza su cui si è arroccata l'opinione pubblica. Ma a chi spetta il compito? Chi ha l'onere e il dovere di restituire verità e un'immagine di normalità alla presenza degli stranieri? E di chi la responsabilità di aver definitivamente derubricato un fenomeno strutturale destinato a cambiare i futuri assetti geopolitici a questione di ordine pubblico da affrontare in termini emergenziali? A tali interrogativi ha tentato di dare risposta il professore Luigi Gaffuri, docente di geografia umana e africanista presso il Dipartimento di Scienze Umane dell'Università degli Studi dell'Aquila, nell'ambito della rassegna "I Mercoledì della Cultura".
Per Gaffuri non c'è dubbio che ad essere chiamata in causa sia "la riflessione scientifica" dal momento che "produrre forme di conoscenza equilibrata su un fenomeno che alimenta paure, discussioni, dibattiti e anche politiche discutibili è uno dei compiti istituzionali cui la scienza deve assolvere" - ha dichiarato il docente a newstown - anche se, ha aggiunto, "sono voci che possono cadere nel vuoto perché la riflessione scientifica non ha l'audience che ha il giornalismo o politica". Gaffuri colpevolizza anche l'approccio bipolare della narrazione mediatica che, puntando i riflettori sul momento dello sbarco e sulle tragedie in mare, da un lato getta benzina sul fuoco del "rapporto con il diverso", dall'altro alimenta brevi slanci di commiserazione verso la categoria subalterna dei "meno fortunati".
"Il giornalismo - ha sottolineato - per poter correre dietro la notizia la dà solitamente senza molte riflessioni, ha bisogno di quello che in gergo si chiama lo scoop per poter vendere il suo prodotto e per avere consenso alla propria operazione editoriale. Tuttavia ci sono giornalisti agguerritissimi che stanno facendo non i giornalisti ma i ricercatori".
Ma ruolo fondamentale è svolto dalla politica che "più di ogni altro può incidere organizzativamente, concretamente e realmente su questi flussi". Sono le istituzioni a dover svolgere un lavoro di sintesi che, ha sottolineato Gaffuri, dalla presa in carico delle proposte le traduca non in pratiche di "controllo delle frontiere attraverso l'allontamento e il respingimento", ma in politiche di accoglienza che tengano conto dei drammi che soggiacciono ai numeri. Quando si parla di 300 morti in un giorno nel Mediterraneo - ha osservato il docente - non si può continuare a contarli senza chiedersi il perché. Occorre considerare le cause che spingono una persona a rischiare la vita per arrivare non nel paradiso terrestre, ma in paesi che hanno a loro volta dei problemi".
Il docente ha quindi sottolineato l'urgenza di restituire carattere di "ragionevolezza, cautela e sobrietà" alla narrazione del fenomeno, "lasciando intravedere situazioni complesse dal momento che la televisione, il web, i politici semplificano, invece, il fenomeno migratorio che è questione complicata, un fatto sociale totale - usando le parole di Marcel Mauss - che riguarda tutte le componenti della vita di una comunità e del suo territorio, e non è riducibile alle semplificazioni e ai luoghi comuni che percorrono la nostra società".
E' bastato poco più di un'ora a smontare puntualmente gran parte dei pregiudizi che ruotano attorno al fenomeno migratorio. Gaffuri ha indagato gli schematismi, a volte reali, spesso utili alla propaganda, su cui si basa il dibattito sul fenomeno migratorio, snocciolando dati statistici contestualizzati atti a contrastare non solo i luoghi comuni che alimentano un immaginario collettivo sempre più marcatamente respingente e razzista. A finire nel mirino è stata anche la retorica ufficiale costruita attraverso le parole delle autorità istituzionali e dei media mainstream, l'ipocrisia e inefficacia delle attuali politiche migratorie, il linguaggio finalizzato bollare ed etichettare più che a facilitare la conoscenza e la comprensione.
Le cause delle migrazioni
Tra le cause inaggirabili del movimento delle persone, non solo quello di oggi, ma anche quello di ieri e del futuro, non figurano solo le guerre. E' bene richiamare anche le disuguaglianze economiche tra i paesi e quelle all'interno di una nazione.
Secondo le ultime statistiche di quello che è definito lo stato del mondo l'1% più ricco della popolazione mondiale detiene la metà della ricchezza del pianeta. Nel 2016 il reddito medio pro capite annuale ha visto i suoi estremi nel Qatar (reddito medio pro capite di 130.000 dollari all'anno) e in Burundi (reddito medio pro capite annuo pari a 800 dollari). Di conseguenza, le persone più indigenti si spostano in un altro paese, o all'interno del proprio stato dove ci sono migliori possibilità di guadagno.
Il ruolo dei media e del linguaggio nella descrizione del fenomeno migratorio
Chiamare le cose con il proprio nome, rifiutando il linguaggio sensazionalistico, è presupposto essenziale per lo svolgimento di un buon lavoro di informazione. Parlare di "emergenza", oltre ad essere falso, alimenta una percezione distorta da parte della pubblica opinione. Usare il termine migrante come sinonimo di profugo, clandestino, o rifugiato genera confusione nell'analisi delle innumerevoli sfaccettature del fenomeno. Sulla base di queste premesse, Gaffuri ha quindi richiamato l'attenzione sul significato giuridico dei termini delle migrazioni.
Il concetto "migrante" comprende migranti regolari, rifugiati, sfollati, migranti economici e persone che si spostano per altri motivi, ad esempio il ricongiungimento familiare. Migrante è colui che lascia il proprio paese alla ricerca di condizioni di vita migliori. Si può migrare, ad esempio, per motivi economici, per cercare, cioè, migliori opportunità di guadagno. Diversa è la condizione di rifugiato, definita dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Nell’articolo 1 della convenzione si legge che il rifugiato è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Le persone cui viene riconosciuto lo status di rifugiato, non possono tornare nel loro paese senza diventare vittime di persecuzioni. Lo sfollato è colui che si sposta dal luogo di nascita per vivere altrove ma senza passare i confini della propria nazione. Tra questi si distunguono profughi interni, coloro cioè che lasciano il proprio paese a causa di guerre persecuzioni, invasioni, rivolte o catastrofi naturali ma senza oltrepassare i confini nazionali.
Secondo le statistiche dell'Onu, i migranti nel mondo sono 250 milioni. Nel contesto del Pianeta, rappresentano uno scarso 3%. In altre parole, circa il 97% della popolazione mondiale non è mai uscita dai confini dei propri stati. Tra i migranti, 40 milioni sono profughi interni e 65 milioni rifugiati. In percentuale, questi ultimi sono lo 0,9% degli abitanti del pianeta e una parte infinitesima rispetto a quello che è il movimento migratorio. "Tutte le persone di cui parlano i media, quelli che attraversano un tratto di mare Mediterraneo a bordo di barconi fatiscenti o di gommoni guidati da scafisti senza scrupoli sono uno scarso 0,9% distribuito, non solo in Italia o in Europa, ma nel mondo".
"Questa è la retorica dei dati, che vanno presi con le pinze dal momento che il modo di presentarli serve per convincere le persone".
Paura dell'invasione?
Analizzando la mappa dei paesi del mondo per numero di rifugiati presenti, l'Italia non c'è. Sono i paesi del Sud del mondo, quelli cioè, che confinano con le aree di crisi che generano i più imponenti flussi migratori, che detengono il primato dell'accoglienza. Basti pensare che un quarto di tutti i profughi del mondo resta in Africa. Trovano accoglienza in paesi poverissimi quali l'Uganda, che da sola riesce ad ospitare un milione di profughi per lo più sudanesi, e l'Eritrea.
In assoluto, il primo paese al mondo per presenza di rifugiati politici è la Turchia che ne ospita 3 milioni, per lo più provenienti dal paese confinante, la Siria. Poi ci sono l'Iran, il Pakistan e il Libano, con 1 milione di profughi, paesi che pagano lo scotto delle guerre che si sono verificate a più riprese in Afghanistan e dei conflitti del medio oriente.
In Europa i rifugiati sono circa 3 milioni. In termini assoluti il primo paese per accoglienza è la Germania che ne ospita 1 milione 250.000. Quindi la Francia, con 367.000 prfughi, la Svezia 313.000 e l'Italia che ospita in totale 250.000 rifugiati.
Mettendo in relazione il numero dei profughi con la popolazione residente, lo scarto tra realtà e percezione del fenomeno dei rifugiati risulta ancora più evidente. In Giordania ogni 1000 abitanti, 80 sono rifugiati, in Turchia 40, in Libano ci sono 169 profughi ogni 1000 abitanti. L'Italia, che crede di essere invasa, ne ha soltanto 4 su mille.
"I governi europei - ha osservato Gaffuri - costruiscono barriere fisiche, armano coloro che un tempo erano considerati trafficanti solo per bloccare l'entrata di queste persone nel vecchio continente, considerando insostenibile l'accoglienza dei profughi. Eppure paesi poverissmi come l'Uganda riescono a gestire soli flussi di rifugiati paragonabili a quelli dell'Europa nel suo insieme. Su questo dovremmo riflettere" .
I migranti regolari
I residenti regolari immigrati in Europa, quelli cioè con regolare permesso di soggiorno, sono circa 37 milioni. I paesi che ne ospitano di più sono la Germania, 8,5 milioni, il Regno Unito 5,5 milioni e l'Italia 5 milioni. Nel nostro paese sono distribuiti principalmente in 3 regioni, soprattutto al nord (Piemonte e Lombardia su tutte) e al centro. Restando nel contesto italiano, se si considerano le province, ad avere il primato di popolazione residente straniera è Prato, con il 17% di migranti. A fare notizia, tuttavia, sono soprattutto i comuni roccaforte della Lega nei quali c'è un'alta presenza di stranieri. Ad esempio a Baranzate, provincia di Milano, un abitante su tre è un migrante.
Altro pregiudizio da sfatare è quello legato alla paventata 'invasione da parte di africani e musulmani. In Italia, infatti, la più gran parte dei migranti regolari è europea - provenienti soprattutto dalla Romania, Alabnia, Ucraina- e di religione cristiana.
Il peso della migrazione sull'economia
Contrariamente da quanto sostenuto dalle narrazioni più in voga, le migrazioni mostrano uno stretto legame con lo sviluppo umano e costituiscono un'opportunità per le società e per i territori di origine, per i territori di transito e per quelli di approdo. Tutti e tre questi territori ci guadagnano. Come? Analizzando il contesto italiano, emerge come alcuni settori, ad esempio l'assistenza sanitaria, siano garantiti in larghissima da migranti: gli infermieri per il 20% sono stranieri, le badanti 3 su 4 immigrate.
I migranti non solo producono ricchezza, ma ci danno anche da mangiare. Letteralmente. Un altissimo numero di migranti con regolare permesso di soggiorno è infatti vittima del caporalato. Sono loro i braccianti agricoli stagionali in Italia, i "nuovi schiavi", come sono stati ribattezzati.
"Nel corso dell'anno abbiamo dato la cittadinanza a più di 800.000 migranti - ha affermato Gaffuri - Noi siamo il paese che ha la medaglia d'oro nella regolarizzazione, e questo grazie alla legge Bossi-Fini, cioè la Lega insieme alla fu Alleanza Nazionale che, paradossalmente, ha fatto la regolarizzazione più straordinaria della storia del paese, accordando il permesso di soggiorno a circa 700.000 persone. Li hanno regolarizzati perché questi migranti servono, alimentano l'economia nazionale. Non solo mandano le rimesse nei luoghi di origine mantenendo milioni di persone nei paesi in via di sviluppo. L'immigrazione di massa rende sostenibile l'invecchiamento della popolazione - il nostro, dopo il Giappone, è il secondo paese più vecchio al mondo - e paga le pensioni di alcuni nostri anziani. Tito Boeri ha chiarito che se non avessimo i migranti il nostro sistema pensionistico andrebbe a scatafascio. Ipotizziamo che un giorno tutti i migranti scioperassero, cosa succederebbe al nostro sistema paese?"
"Questa serie di dati e di considerazioni sono utili a ristabilire verità nella percezione che abbiamo del fenomeno migratorio - ha concluso - e a mettere da parte pregiudizi e stereotipi che alimentano odio e intolleranza. Noi lo sappiamo che significa partire e lasciare tutto, la famiglia, la casa, perchè nel corso di un secolo abbiamo esportato nel mondo 30 milioni di persone, anche in questo abbiamo la medaglia d'oro. Se la popolazione italiana è di 60 milioni, vuol dire che metà della popolazione italiana odierna ha lasciato questo paese. Come facciamo a dimenticarlo? L'Abruzzo, terra di emigrati, come fa a dimenticarlo? Possibile che dobbiamo richiamare sempre Marcinelle per ricordare qualcosa?".