"Le testimonianze di coloro che hanno vissuto in prima persona certi fatti della nostra storia nazionale diventano ormai un rito. Valgono un giorno, una lettura, una curiosità, una presenza di mass-media per ricordare giornalisticamente una data. Il giorno dopo è tuto nuovamente sepolto, allontanato dalla mente e dalla coscienza. Soprattutto se il "fatto" cui ci si riferisce è ancora di attualità malgrado gli anni trascorsi e inadempienze e tradimenti lo collocano a simbolo di ciò che siamo: una società che va chiacchierando alla deriva".
Così scriveva sull'Unità la giornalista Tina Merlin il 9 ottobre 1983, in occasione dei venti anni dalla tragedia del Vajont che costò la vita a 1910 persone. Sono passati 55 anni dalla strage del Vajont, nove da quella dell'Aquila, e le parole tratte dall'articolo "Con la rabbia di allora", sono drammaticamente attuali. All'indomani del sisma, tutti erano concordi nell'affermare che L'Aquila -come d'altra parte il Vajont- avrebbe rappresentato un punto di rottura nel comportamento pubblico, un momento per rimettere in discussione in modo definitivo ruoli e metodi. Solo qualche anno dopo il sisma del 2009, un altro terremoto il 24 agosto 2016 ha distrutto Amatrice, causando 294 vittime.
"Storie che si ripetono sotto mentite spoglie perchè alluvioni, terremoti, inquinamento, morti sul lavoro, hanno un comune denominatore che è la mancanza di attenzione alla vita umana per far posto al bisogno di lucrare e di arricchirsi, di costruire dove non si deve, di fare affari. Questo vale per tutti. per noi, per le vittime di Viareggio per quelle della Thyssenkrupp. Anche oggi ci sono stati morti sul lavoro, dall'inizio dell'anno sono stati 156, un numero superiore a quello degli anni precedenti, sintomo che qualcosa non funziona evidentemente. Per questo abbiamo il dovere di ribadire con ancora più forza il nostro no a chi vuole mettere la vita umana in secondo piano. Oggi come 7 anni fa quando abbiamo iniziato questa scommessa, il senso è avere più voce e più forza perchè quello che è accaduto a loro è quello che è accaduto anche a noi. Si può perdere, ma la strada è lunga".
Così Antonietta Centofanti ha spiegato a newstown il senso dell'incontro che si è svolto oggi all'Auditorium. Un invito lanciato dal Comitato familiari vittime della casa dello studente, di cui Antonietta Centofanti è presidente, che ha chiamato raccolta tutte le realtà associative della rete "Noi non dimentichiamo",nata qualche anno fa all'Aquila per unire lotte legate ai fatti più drammatici della recente storia d’Italia: la Thyssenkrupp, il crollo della Scuola a San Giuliano di Puglia a seguito del sisma del 2002, il deragliamento del treno a Viareggio, la Moby Prince, il terremoto dell’Aquila, le morti nella Terra dei Fuochi, la strage di Rigopiano e i terremoti del Centro Italia. All'incontro ha partecipato per la prima volta anche Roberto Padrin, attuale sindaco di Longarone, la città distrutta dall'onda causata dalla frana del monte Toc e diventata simbolo della tragedia del Vajont.
Un incontro, quello di oggi, finalizzato non solo a ricordare, perchè anche la "memoria serve per dare un senso a quanto accaduto - ha precisato Centofanti- E' come sfogliare un libro di storia se non conosci ciò che è accaduto non puoi interpretare il presente nè tantomeno pensare a come si organizzi il futuro. Il terremoto è un pezzo di storia che va condiviso e fatto capire soprattutto alle nuove generazioni, è la memoria che deve avere a che fare con la sicurezza la prevenzione e con la tutela della vita. Questo discorso si deve estendere a tutte le situazioni di cui oggi parliamo, alla sanità, ai luoghi di lavoro, all'ilva, alle mamme della Terra di Fuochi che ti raccontano di figli morti piccolissimi a causa di tumori così rari che hanno preso il nome di quei bambini. E' ora che questa giostra si stoppi, ma questo accade quando una comunità acquista coscienza, quando è sensibile a questi temi".
Quella di oggi è stata soprattutto occasione per interrogarsi su che fine abbiano fatto i buoni propositi in nove anni di verità su cui non è stata fatta luce e di giustizia negata in sede processuale, su cosa è stato fatto e quanto c'è ancora da fare, su come imparare da ciò che è accaduto e costruirci sopra, per il bene comune. E per osservare come, nonostante la colpevole inazione delle istituzioni, il disastro vissuto dalla nostra comunità abbia rappresentato un momento di presa di coscienza collettiva su alcune tematiche.
"Oggi siamo cittadini più consapevoli rispetto a tematiche riguardanti la sicurezza e la prevenzione - ha osservato la rettrice dell'Università dell'Aquila Paola Inverardi, presente all'incontro per la cerimonia di assegnazione del premio “Avus 6 aprile 2009”, riconoscimento dato dall’associazione Vittime Universitarie Sisma alle migliori tesi di laurea di tutta Italia incentrate sul tema della prevenzione sismica- Il nostro compito è far diventare concreto questo ricordo nella nostra prassi quotidiana, cambiare le regole della vita di tutti i giorni sulla base di quanto ci è accaduto".
Messaggio condiviso e ribadito anche da Marianna de Lellis, intervenuta in rappresentanza del Comitato Scuole Sicure, che ha richiamato l'urgenza di "fare cose per quelli che ci sono". Un appello rivolto in primis alle istituzioni locali, affinché provvedano a mettere in sicurezza le scuole perchè , grazie al dibattito che si è innescato relativamente all'indice di vulnerabilità, o sull'operazione di rispristino fatta nel 2009 sulle nostre scuole, "oggi abbiamo acquisito una buona consapevolezza sul rischio, sappiamo quello che è stato fatto e quello che c'è da fare".
"Nel 2008 quando facevo parte del consiglio di circolo della scuola elementare frequentata dai miei figli, ingenuamente chiesi al presidente del circolo quali fossero le scuole antisismiche all'Aquila. Mi rispose nessuna. Oggi - ha osservato amaramente De Lellis- otterrei esattamente la stessa risposta. Chiediamo quindi di provvedere, abbiamo anche i soldi, nel 2009 sono stati stanziati soldi per la progettazione di due istituti superiori, il Cotugno e l'Ipsiasar. Dovrebbero fare progetti ma non ci sono e la provincia non riesce a interloquire con il comune su dove ricostruire le scuole. Abbiamo chiesto una pianificazione, ma ad oggi non c'è. Abbiamo chiesto un piano di protezione civile per il polo scolastico di Colle Sapone dove ci sono 8000 studenti. Se la scossa di magnitudo 4 della scorsa notte fosse accaduta di mattina, saremmo andati con 8000 macchine a riprendere i nostri figli'".
In ultimo, a finire nel mirino della rappresentante del Comitato Scuole sicure è stato il piano di protezione civile del Comune dell'Aquila, che ad oggi non "è dato sapere se sia operativo o meno". Quindi, l'affondo: "Se la tranquillità con cui i nostri amministratori continuano a rimandare le verifiche, dovesse derivare dalla mancata operatività del piano di protezione civile, perchè in questo caso le loro responsabilità, dovesse succedere qualcosa, sarebbero molto più blande, sarebbe un ennesimo schiaffo alla nostra città".
Sulla sicurezza sismica degli edifici scolastici, l'impulso partito dalla lotta dei comitati aquilani, è arrivato fino in Veneto, a Belluno, come ha spiegato a newstown il sindaco di Longarone e presidente della provincia di Belluno, Roberto Padrin. " L'Aquila ha insegnato sulla sismicità degli edifici, e come presidente della provicia di Belluno stiamo facendo un grande lavoro sull'antisismica avviato proprio grazie all'opera di ricerca e informazione portata avanti dai comitati. Nonostante questo - ha amaramente osservato Padrin- le stragi di cui parliamo oggi ci hanno insegnato, evidentemente, troppo poco. Ci troviamo troppo spesso davanti a situazioni causate dalla mancata prevenzione. Non c'è attenzione al territorio, a come viene amministrata la cosa pubblica, e all'individuazione delle responsabilità. Operazione quest'ultima fondamentale per la costruzione di una memoria condivisa necessaria alla presa di coscienza da parte della comunità". Per Padrin, la costruzione di una rete tra tante realtà associative e l'organizzazione di incontri pubblici, è necessaria non solo alla diffusione di una reale cultura della prevenzione. "Questo incontro permette di condividere percorsi e di far sentire voci a chi è chiamato a prendere decisioni di responsabilità e formulare giudizi di responsabilità. A Longarone abbiamo tre associazioni che ricordano la memoria del Vajont e questa è un'occasione per intrecciare rapporti e comunicare all'esterno queste nostre storie".