Partiamo dai fatti: ad oggi, stante il decreto Lorenzin l’Abruzzo non potrebbe avere Dea di secondo livello; nessun ospedale della Regione, infatti, sta dentro i paletti imposti dalla riforma del 2013: a farla breve, non ci sono ospedali in grado di garantire il percorso cardiochirurgico, del trauma e dell’ictus; per avere un hub ad alta specializzazione, bisognerebbe trasferire alcune unità operative complesse da un nosocomio ad un altro. Ma c’è di più: i Dea di secondo livello, per legge, devono avere un bacino di utenza tra 600mila e 1 milione e 200mila abitanti ed un numero di accessi annui superiore a 70mila.
Ecco il motivo per cui è difficilissimo applicare la riforma Lorenzin realizzando, in Abruzzo, ospedali ad alta specializzazione.
In un primo momento, l’allora giunta di centrosinistra guidata da Luciano D’Alfonso aveva ipotizzato di realizzare un ospedale tutto nuovo, dotato delle unità operative complesse adeguate per rispondere alle imposizioni di legge, tra Chieti e Pescara, così da soddisfare anche il bacino d’utenza richiesto. Tuttavia, l’ipotesi è stata accantonata, un po’ per motivi economici, un po’ per le difficoltà a trovare una quadra tra gli interessi, confliggenti, delle aziende sanitarie provinciali e un po’ per il grido di protesta che si è sollevato da L’Aquila e da Teramo, a denunciare con forza che, così facendo, gli equilibri regionali si sarebbero spostati ancor più lungo la fascia costiera, con ennesimo danno alle aree interne.
Dunque, si è individuata un’altra soluzione: il collegamento funzionale tra gli ospedali di Chieti e Pescara e di L’Aquila e Teramo, per realizzare, in questo modo, due Dea di secondo livello, capaci, in sinergia, di offrire le più alte specializzazioni a territori vasti. Una forzatura, sia chiaro; è parsa, comunque, una soluzione accettabile da proporre al tavolo di monitoraggio romano.
La passata amministrazione regionale di centrosinistra, dunque, ha costituito due Commissioni: la prima, quella che ha lavorato alla funzionalizzazione degli ospedali di Chieti e Pescara, si è portata piuttosto avanti col loro; l’altra, che doveva valutare la fattibilità del collegamento tra i nosocomi di L’Aquila e Teramo, di fatto, non si è mai riunita. Un segnale politico piuttosto chiaro.
Con l’insediamento della Giunta di centrodestra, non si è fatto alcun passo avanti; anzi, per ciò che attiene i presidi costieri, il percorso si è complicato per la difficile realizzabilità del collegamento funzionale – una procedura nient’affatto banale – e per le spinte politiche che vengono, in particolare, dagli esponenti politici del pescarese che vorrebbero un ospedale di secondo livello nell’area metropolitana; di contro, il mondo politico chietino si è messo di traverso, forte della presenza, pesante, dell’Università. Una spaccatura che rischia di incrinare gli equilibri in seno alla maggioranza di centrodestra in Regione.
Per ciò che attiene le aree interne, la situazione è ancor più complicata: detto che la Commissione che doveva valutare la fattibilità della funzionalizzazione del San Salvatore e del Mazzini non ha ancora avviato i lavori, è evidente come il teramano si stia giocando la sua partita, puntando a realizzare un ospedale di secondo livello – si è persino ipotizzata una localizzazione, a Piano d’Accio – considerato che al nosocomio teramano mancherebbe soltanto la Tin (la terapia intensiva neonatale) per poter garantire ai pazienti il percorso cardiochirurgico, del trauma e dell’ictus. Tuttavia, gli accessi non sarebbero sufficienti e, d’altra parte, l’Università insiste sul San Salvatore dell’Aquila, e non si tratta affatto di una questione banale.
Sta di fatto che il teramano intende tirare dritto, ed è parso evidente nel corso del Consiglio comunale congiunto che si è tenuto lunedì all’Emiciclo; è piuttosto ipocrita continuare a parlare di “momento storico di confronto” tra le province “a difesa delle aree interne”: in realtà, le posizioni in campo sono diametralmente opposte e il documento approvato dai consiglieri comunali, ne abbiamo già scritto, è un tentativo, mal riuscito, di mettere una pezza ad un Consiglio che ha rappresentato un’occasione persa, incapace di dissolvere confusioni e ambiguità.
La verità è che l’amministrazione comunale di Teramo, a guida centrosinistra, intende puntare con decisione sul Dea di secondo livello, altro che un ospedale ad alta specializzazione per provincia, ma l’ipotesi non potrà in alcun modo essere accolta a Roma.
Dinanzi a posizioni apparentemente inconciliabili, l’assessore Verì avrebbe inviato al tavolo di monitoraggio un piano che, di fatto, rimanda il problema: in attesa di una riorganizzazione della rete ospedaliera legata ad una riqualificazione edilizia e tecnologica delle strutture ospedaliere, verrebbero individuati in via transitoria, e comunque per il prossimo triennio, i presidi ospedalieri di L’Aquila, Chieti, Pescara e Teramo come presidi ospedalieri con funzioni di secondo livello.
Ne sapremo di più in giornata: è stata fissata per oggi, infatti, alle 14.45, una seduta della V Commissione della Regione che, all'ultimo punto all'ordine del giorni, prevede l'audizione dell’assessore sul piano di riorganizzazione degli ospedali. A quanto si è potuto apprendere, però, l’ipotesi su cui si starebbe ragionando è un’altra: la maggioranza di centrodestra starebbe valutando la possibilità di configurare i quattro nosocomi dei capoluoghi di provincia come hub di primo livello, quelli, per intenderci, che il decreto Lorenzin classifica con un bacino di utenza compreso tra 150.000 e 300.000 abitanti; parliamo di strutture che la norma stabilisce siano dotate delle seguenti specialità: Medicina Interna, Chirurgia Generale, Anestesia e Rianimazione, Ortopedia e Traumatologia, Ostetricia e Ginecologia (se prevista per numero di parti/anno), Pediatria, Cardiologia con Unità di Terapia Intensiva Cardiologica (U.T.I.C.), Neurologia, Psichiatria, Oncologia, Oculistica, Otorinolaringoiatria, Urologia, con servizio medico di guardia attiva e/o di reperibilità oppure in rete per le patologie che la prevedono. Devono essere presenti o disponibili in rete h. 24, inoltre, i Servizi di Radiologia almeno con Tomografia assiale computerizzata (T.A.C.) ed Ecografia, Laboratorio, Servizio Immunotrasfusionale. Devono essere dotati, infine, di letti di “Osservazione Breve Intensiva” e di letti per la Terapia Subintensiva (anche a carattere multidisciplinare).
A questo, si aggiungerebbe il potenziamento dei nosocomi territoriali, così detti spoke, capaci di garantire la prima cura e che andrebbero a confluire, come raggi, verso i presidi di primo livello, punti di riferimento a livello provinciale per le cure specialistiche.
Una ipotesi, come detto, che consentirebbe di preservare i nosocomi principali incidendo sulla sanità territoriale, sminando d'altra parte le tensioni politiche che rischiano di complicare tremendamente la riorganizzazione ospedaliera a livello regionale. Staremo a vedere.