Mercoledì, 08 Gennaio 2020 22:03

Gran Sasso, stagione maledetta: non c'è neve, operatori denunciano un crollo delle presenze. Tra cambiamenti climatici e ipotesi di innevamento artificiale, servono risposte concrete

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Non c’è neve sugli Appennini.

Sui pendii del Monte Cimone, che con i suoi 2.165 metri è la vetta più alta dell'Appennino Settentrionale e dell'Emilia-Romagna, il bosco è attraversato dalle strisce bianche della neve sparata dai cannoni, entrati in funzione per aprire le piste da sci. Ma è una battaglia senza fine con le temperature. Se in pianura la nebbia e la presenza di sacche di aria fredda mantengono la colonnina di mercurio su temperature più alte della media ma non eccezionali, su queste vette negli ultimi giorni si stanno registrando valori tipici dei mesi primaverili.

Non c’è neve neanche sul Gran Sasso d’Italia.

Una realtà che va in controtendenza rispetto alla volontà dichiarata, in Abruzzo come altrove, di realizzare altri impianti: in questi giorni è arrivato il sì di Regione Abruzzo al progetto delle nuove seggiovie in Valle delle Lenzuola, sulla Majelletta sono stati stanziati oltre 30 milioni di euro per infrastrutture di risalita, sul Gran Sasso si continua a parlare di impianti a Monte Cristo. E intanto, come ha denunciato Stefano Ardito su Facebook, restano alcuni "orrori di metallo rugginoso e cemento ancora disseminati per l’Appennino, spesso all’interno di aree protette nazionali o regionali”.

Tuttavia, non è il momento di riflettere sulla opportunità di realizzare, o meno, nuovi impianti di risalita. Vanno trovate piuttosto risposte per gli impianti esistenti che, come la stazione di Campo Imperatore, scontano una stagione che, sino a qui, non può che dirsi drammatica. E a pagarne le conseguenze sono anche gli operatori che sulla montagna hanno deciso di investire: i gestori delle strutture ricettive denunciano un calo di presenze del 60-70%.

L’amministratore unico del Centro turistico del Gran Sasso, Dino Pignatelli, ha chiarito che la soluzione è l’innevamento artificiale, come sul Monte Cimone, come a Roccaraso e Campo Felice stando in Abruzzo; sul punto, concordano gli operatori che hanno chiesto all’amministrazione comunale di avviare un tavolo urgente per individuare “misure urgenti”: se la montagna “la strutturi e offri servizi adeguati, funziona” ha ribadito al quotidiano Il Centro Ada Fiordigigli, titolare dell’omonimo albergo alla base della funivia.

E’ davvero questa la soluzione?

Una premessa è d’obbligo: abbiamo tante domande ma poche risposte, e non abbiamo una posizione di chiusura preconcetta all’innevamento artificiale; d’altra parte, la stazione di Campo Imperatore ha bisogno di soluzioni e, così, gli operatori che non possono essere lasciati soli. Tuttavia, vi è necessità di un approccio scientifico che tenga conto delle peculiarità del Gran Sasso, una montagna ‘magnificamente’ diversa dalle altre, e più in generale dei cambiamenti climatici in atto.

Partiamo da alcuni dati: in quota l’effetto serra è due volte più forte che a valle; a causa del caldo, in mezzo secolo la stagione si è ridotta di 38 giorni e l’80% delle piste dipende, oramai, dalla neve artificiale. “Il riscaldamento globale – spiega Enrico Perilli - è frutto dell’impatto antropico sul pianeta; se l’uomo aumenta la sua forza antropica dinanzi ai cambiamenti climatici altro non fa che peggiorare la situazione. Sostituire la neve naturale con quella artificiale è, per l’appunto, un’attività antropica che ha delle inevitabili ripercussioni sull’ambiente”.

L’innevamento artificiale ha costi esorbitanti. “Innanzitutto, c’è il costo dell’approvvigionamento idrico che si ottiene realizzando invasi e scavando pozzi o, come si vorrebbe fare alle Fontari, raccogliendo l’acqua di scorrimento superficiale che passa nel fosso naturale; tuttavia, con i cambiamenti climatici in atto le stagioni saranno sempre più secche e l’acqua disponibile sarà sempre meno: è un aspetto di cui non si può che tenere conto, innanzi ad un intervento che si aggira sui 4 milioni di euro, per la sola realizzazione dell’impianto. Va fatto uno studio scientifico per misurare la portata d’acqua di scorrimento e, eventualmente, valutare la possibilità di realizzare invasi e a quale profondità”.

C’è poi il tema del consumo energetico: per l’innevamento artificiale, ogni anno vengono impiegati 95 milioni di metri cubi d’acqua e 600 gigawattore di energia. Per non parlare delle alterazioni dei terreni: un metro cubo di neve artificiale pesa 500-600 kg, quella naturale 250-300 kg. Inoltre, in taluni casi è previsto l’utilizzo di prodotti chimici, e proprio per fissare al suolo la neve, più che mai necessario con queste temperature.

Ma c’è un dato economico di cui tenere conto: “un metro cubo di neve artificiale costa 3 euro e, a tal proposito, Funivie Campiglio nel 2015 comunicò che aveva speso un milione di euro per produrre 400.000 metri cubi di neve artificiale: chi si accollerebbe i costi, se è vero che il Ctgs naviga in cattivissime acque?”. D’altra parte – aggiunge Perilli – “le condizioni sul Gran Sasso sono estreme: uno dei problemi principali, e lo riconobbe anche il tecnico Marco Cordeschi allorquando presentò la sua ipotesi progettuale, è il vento. C’è il rischio che si accendano i cannoni e, poco dopo, la neve venga portata via dal vento, il che, considerati i costi, sarebbe un danno enorme”.

La sostituzione delle Fontari con un diverso impianto, lo ricorderete, saltò proprio perché non c’era un adeguato studio sui venti: “si intendesse perseguire la strada dell’innevamento artificiale, sarebbe una delle prime cose da fare”. Insomma, non si tratta soltanto di trovare i finanziamenti e realizzare le opere: come detto, vanno approfondite diverse variabili, tenendo in debita considerazione le peculiarità del Gran Sasso.

E dunque?

Si tenga pure in considerazione la possibilità di dotare le piste di Campo Imperatore di cannoni, ma il punto di non ritorno cui siamo arrivati, in realtà, dovrebbe consigliare di avviare, finalmente – e usiamo, di nuovo, le parole di Stefano Ardito – ad “una riflessione sul futuro dello sci di pista a quote così basse e in un clima così variabile come quello delle nostre amate montagne. C'è bisogno di una politica intelligente, che apra le sbarre, segni i sentieri, tolga i divieti di accesso ridicoli, dia spazio agli sport d'avventura”.

Ardito lo aveva messo nero su bianco in una interessantissima riflessione pubblicata sul suo blog all’indomani del riconoscimento dell’alpinismo come bene immateriale dell’umanità dell’Unesco, celebrato, giustamente, anche qui in Abruzzo, e dal sindaco dell’Aquila in particolare: “L’alpinismo, al di là delle imprese di alta difficoltà, è semplicemente la libera e responsabile avventura in montagna. Se L’Aquila e l’Abruzzo celebrano l’ingresso dell’alpinismo nel patrimonio immateriale dell’umanità, dovrebbero verificare in tempi brevi se, nei loro territori, questo tipo di avventura possa essere davvero vissuta come merita. La risposta, finora, è negativa. In questi giorni (era il 17 dicembre scorso, ndr) nonostante un innevamento ridicolo, la Provincia dell’Aquila ha chiuso le strade verso Campo Imperatore, dando ancora una volta un duro colpo al lavoro delle guide alpine, degli accompagnatori di media montagna e soprattutto dei gestori dei rifugi. Quando nevicherà in modo più abbondante, temo che i Comuni abruzzesi (a iniziare dall’Aquila, Roccaraso e Ovindoli) porranno ancora una volta dei limiti ingiusti e severi allo scialpinismo e alle altre attività invernali diverse dallo sci di pista. Sono ingiusti, e cozzano con il riconoscimento concesso dall’Unesco. Se si vuole onorare il riconoscimento deciso a Bogotà, tutto l’Abruzzo (Regione, Comuni, Province, Parchi, altre aree protette…) deve darsi un sistema di regole che consenta a chi pratica la montagna di sentirsi accolto, e non trattato come un nemico o un intruso”.

Sul punto è intervenuto anni fa, sulle pagine di NewsTown, anche l’architetto Marco Morante, che si occupa, tra l’altro, di pianificazione e riconversione territoriale. “Fare in modo che i fuoripista diventino il terreno sicuro del freeride, potrebbe risolvere le due questioni che attanagliano la località sciistica in inverno: l’incapacità di rilanciarsi con le poche piste di cui può disporre e l’alta pericolosità dei suoi fuoripista che, però, ne costituiscono la vera attrattiva in condizioni di buon innevamento”.

Che si intende dire?

E’ arrivato il momento di declinare in altro modo il turismo sul Gran Sasso, investendo, come si sta facendo ancora troppo timidamente, sul freeride, sullo sci alpinismo, e così sul downhill, sulle escursioni, su una rete di sentieri attrattiva, su percorsi di mountain bike e via dicendo. E poi, andrebbe garantita la manutenzione delle strade, che vengono chiuse anche in assenza di neve, andrebbero assicurati i trasporti di base e persino una segnaletica degna di questo nome. Insomma, bisognerebbe ripartire dalle piccole cose che rendono un luogo fruibile.

Certo non significa ‘smantellare’ l’esistente, anzi: tuttavia, “in un’ottica di comprensorio – come la definisce Perilli – si potrebbero curare gli impianti in funzione sul Gran Sasso, con le piste che ci sono, arricchendo però l’offerta con proposte caratterizzanti e peculiari della nostra montagna, stante la possibilità di praticare sci da discesa a Roccaraso o Ovindoli, su un numero di piste maggiore e dotate, appunto, di innevamento artificiale”.

Lo ribadiamo: lasciamo più domande che risposte, senza alcuna volontà di chiudere ad un’ipotesi piuttosto che all’altra; tuttavia, è arrivato il momento che i decisori pubblici assumano l’iniziativa e decidano che strategia perseguire per il rilancio della nostra montagna. Siamo al punto di non ritorno.

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