“Questo virus non ha ancora una diffusione numericamente paragonabile a quella di altre pandemie influenzali ma ha un indice di pericolosità rilevante. Per questo è importante che il numero di casi non aumenti ancora. Il focus ora deve essere il contenimento”.
Ad affermarlo è stato il virologo Giovanni Maga nel corso di un incontro pubblico sul coronavirus svoltosi ieri al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila. Una tavola rotonda alla quale hanno partecipato anche il sindaco Pierluigi Biondi, il rettore Edoardo Alesse e il direttore generale della Asl Roberto Testa.
Maga, direttore del laboratorio di Virologia Molecolare dell'Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, ha osservato come in Italia si stia registrando un fatto abbastanza particolare: “Nel nostro Paese il tasso di letalità (la letalità è il rapporto tra i decessi e gli infetti, ndc) è del 3%, simile a quello delle province cinesi epicentro dell’epidemia. Si tratta di un valore più alto rispetto alle stime fatte inizialmente dall’Organizzazione mondiale della sanità sulla base delle cifre provenienti dalla Cina”.
Secondo Maga, questo fenomeno è attribuibile a due fattori: “Uno è di tipo demografico: l’Italia ha una percentuale di popolazione anziana più alta rispetto a quella delle province cinesi più colpite. Un altro fattore potrebbe essere invece dovuto al fatto che nel nostro Paese si è diffuso un ceppo di virus che ha maggiori capacità di adattamento e quindi anche maggiori capacità di infettare l’ospite”.
Tutta questa situazione, ha osservato Maga, “è un problema perché potrebbe mettere sotto stress il nostro sistema sanitario: se dovessimo avere un aumento dei casi di persone bisognose del ricorso alle cure in terapia intensiva, avremmo un problema di gesitone dei pazienti”.
In una scala che misura il livello di gravità di un’epidemia da 1 a 4, elaborata da alcuni organismi scientifici internazionali, l’Italia, in questo momento, è a livello 2: “Ci sono focolai con attiva trasmissione interpersonale” ha spiegato Maga “ma sono focolai ancora geograficamente distinguibili. Significa che possiamo ancora identificare le zone più colpite, che sono Lombardia, Emilia e Veneto. Nelle altre regioni ci sono o piccoli cluster o casi importati che non hanno dato origine a contagi a catena. Per questo il focus, ora, deve essere il contenimento. Tutte le misure per ridurre i contatti e le aggregazioni sociali prese dal governo rispondono al protocollo che si raccomanda di seguire a un Paese quando si trova in uno scenario simile al nostro. Se dovessimo progredire al livello successivo, avremmo focolai che si uniscono, quindi non più isolati e distinguibili. Unendosi diventerebbero un unico, grande focolaio e a quel punto il contenimento non sarebbe più possibile e sarebbero necessarie misure anche drastiche”.