Di Gabriele Curci* - Come reagire singolarmente e in famiglia al Coronavirus?
Rispettando le direttive del Governo, della Protezione Civile, certo. Ma dove dirigere i nostri pensieri per evitare da un estremo l’abisso della paura e del panico e dall’altro l’incoscienza della negazione?
Entrambi gli approcci diventano pretesti per non agire e lasciare che le cose restino come sono.
Non sto perorando nessuna inutile accusa generica, buona solo a scatenare sensi di colpa e fastidio o peggio a scaricare colpe sugli altri: sto cercando di trovare una via vagamente razionale per trasformare questo momento epocale in volontà collettiva di cambiare.
Prendiamoci del tempo da questo limbo forzato in cui siamo piombati, per riflettere su cosa facciamo e cosa siamo diventati nel quotidiano. E perché.
Guardiamo nel nostro frigorifero: cosa mangiamo, da dove vengono e come sono stati fatti i prodotti, quanti ce ne sono ormai scaduti, quanti ne abbiamo comprati e perché, sono tutti necessari?
Guardiamo nei nostri armadi: quante cose usiamo veramente, quante ne abbiamo seppellite quasi nuove, chi le ha fatte e perché noi le abbiamo comprate, sono tutte necessarie?
Guardiamo in cantina, garage o ripostiglio: cosa c’è dentro le scatole, sugli scaffali, perché ho comprato, dove e come sono state realizzate, sono rotti o fuori moda, sono tutte cose necessarie?
Guardiamo infine nella pattumiera: quanto materiale sprechiamo, quanto potremmo benissimo evitarlo, è tutto davvero, intrinsecamente necessario, come se fosse dettato da una legge divina?
Guardiamo perché usciamo (o vorremmo uscire, in questi giorni): dove dobbiamo andare e perché, con quale mezzo ci vado, è tutto strettamente necessario o posso trovare delle alternative?
Guardiamo la nostra giornata, la nostra settimana: orari, luoghi frequentati, attività pomeridiane dei figli, sono tutte necessarie, danno reale felicità ed educazione, potrebbero essere fatte anche più vicino a dove abitiamo o potrebbero essere diverse, compresa la scuola o il lavoro?
Ho la brutta e costante sensazione che non ci venga appositamente dato mai il tempo di riflettere veramente su tutto questo. Sempre costretti ad affannarsi per rispettare gli impegni (lavorativi o meno), combinarli con la gestione della casa, di oggetti e veicoli personali, trasportare i figli da un lato all’altro per i numerosi impegni pomeridiani, arrivare alla sera storditi senza la forza di reagire.
A ciclo continuo, weekend e vacanze incluse. E quasi sempre catturati da uno schermo, smartphone, tablet, TV o computer che sia. Anche mentre ci si sposta da un posto all’altro, probabilmente alla guida.
“Economia dell’attenzione” la chiamano: attenzione non certo per noi stessi e per i nostri cari, ma per tutt’altro. Altro che si compra e che si paga a caro prezzo, anche se non immediatamente.
Sono due le letture recenti che stanno aiutando i miei pensieri e la mia quotidianità ad assumere la predisposizione ad accettare e ricercare progressivamente dei cambiamenti rispetto alle apparenti scelte forzate dei miei luoghi e prodotti di acquisto, delle mie modalità di trasporto, del mio impiego del tempo libero.
Sono letture che consiglio a tutti, in particolare ora: “Piccolo manuale di resistenza contemporanea, Storie e strategie per trasformare il mondo” di Cyril Dion e “Economia circolare per tutti. Concetti base per cittadini, politici e imprese” di Walter R. Stahel.
Ci sono due concetti principali che incanalano i miei pensieri in senso positivo.
Primo: se non sfruttiamo questo momento per cambiare radicalmente, a partire da noi stessi e dalla nostra voglia e disposizione al cambiamento, anche a partire dalla modifica di una piccola azione quotidiana che inneschi un processo graduale, allora tutto ciò sarò stato inutile e si tornerà al solito bunga-bunga del compra-consuma-getta di prima, almeno fino al prossimo coronavirus o chi per lui.
Secondo: le nostre azioni singole non cambiano nulla, sono una goccia d’acqua per spegnere un incendio, ma la nostra frammentazione e piccolezza è al tempo stesso la nostra debolezza e la nostra forza.
In un certo senso, anche quell’incendio è costituito da tanti piccoli cerini, che possono essere spenti per scelta. Bisogna volerlo: la forza di chi controlla il nostro tempo e dirige le nostre scelte quotidiane e non, potremmo chiamarlo sistema economico consumista per semplificare, è data dalla somma di tante scelte tutte nello stesso senso: il sistema funziona vendendo tante cose a tanti individui, mantenuti con un salario appena sufficiente per continuare a comprare. E’ ora di redirigere quelle scelte verso un futuro meno autodistruttivo, iniziamo ora.
* Professore associato - Dip. Scienze Fisiche e Chimiche e CETEMPS - Università degli Studi dell’Aquila