Per limitare ancora di più i rischi di contagio da coronavirus, i sindaci di Pescara e Sulmona, Carlo Masci e Annamaria Casini, hanno firmato ordinanze che vietano attività motorie e sportive all’aperto. "È il momento della responsabilità per tutti", ha spiegato Masci; "da oggi vietate attività motorie all’aperto e passeggiate a piedi o in bici”. Ha aggiunto Casini: "Riteniamo che sia fondamentale l’intensificarsi del controllo.
E' un misura restrittiva che stanno assumendo altri Comuni in Italia; d'altra parte, amministrazioni comunali di diversi colori hanno già interdetto l'accesso a parchi pubblici ed aree verdi: altre, come la municipalità aquilana, hanno deciso di far alzare dei droni per il controllo del territorio. E intanto, sui social si discute degli atteggiamenti dei cittadini che mantengono l'abitudine all'attività sportiva quotidiana.
Ora, ribadiamo l'invito a rispettare le indicazioni che arrivano dall'autorità e, laddove non fosse espressamente vietato - come a Pescara - di svolgere attività all'aperto mantenendo la distanza di un paio di metri da altri sportivi ed evitando assembramenti, valutando, almeno per un paio di settimane, di evitare di uscire per ragioni non strettamente necessarie, banalmente anche per limitare il rischio di infortuni che potrebbero gravare su strutture ospedaliere già al collasso; tuttavia, è altrettanto chiaro che proibire l'attività sportiva all'aperto come stanno facendo diversi sindaci, e non stiamo dando un giudizio di merito sui provvedimenti sia chiaro, senza che intervengano misure dal Governo per la sospensione delle attività produttive non essenziali pare davvero un controsenso.
E in queste ore di 'caccia all'untore', è doveroso dirlo con chiarezza.
Nei giorni scorsi, si è discusso a lungo del fatto che il 40% dei lombardi, stando al controllo delle celle telefoniche, non rispettasse l'indicazione di stare a casa; non si è detto, però, che la maggior parte di loro usciva per andare al lavoro. D'altra parte, fabbriche e uffici - per la maggior parte - restano aperti. Nella provincia cinese dello Hubei, epicentro del focolaio da coronavirus, nella prima settimana di febbraio si è deciso di chiudere tutte le fabbriche, gli uffici pubblici e privati, gli aeroporti. Le produzioni non necessarie sono state bloccate per un mese.
In Italia, pare impossibile; col risultato che a Pescara, da stamane, non si può fare jogging ma in Val di Sangro, per esempio, decine e decine di lavoratori sono in fabbrica, sebbene la produzione sia stata ridotta, e soltanto in queste ore il governatore Marco Marsilio ha 'invitato' le imprese a valutare la possibilità di chiudere.
"Non possiamo ritrovarci un sistema produttivo compromesso. Il virus passerà", si limitano a ripetere i capitani d'industria italiani; l'assessore lombardo alla sanità Giulio Gallera, però, l'ha ribadito con forza: "Bisogna chiudere tutto tranne i servizi essenziali". E sulla stessa linea è il governatore Attilio Fontana. Hanno ragione.
Stante la situazione che stiamo vivendo, e per evitare che il virus possa diffondersi in modo virulento anche nelle regioni del meridione, vanno sospese le attività produttive non essenziali; buon senso vorrebbe, inoltre, che venissero forniti dispositivi di protezione individuale a coloro che lavorano in settori essenziali, come l'alimentare e i call center che, in alcuni casi, svolgono una funzione imprescindibile; e a proposito della polemica tutta cittadina delle ultime ore sulla corsa all'acquisto di un trapano in un noto supermercato, sottolineata l'irresponsabilità di coloro che si sono messi in fila per l'acquisto, ci domandiamo: possibile che non si possa precludere la vendita dei prodotti non food o di stretta necessità nei supermercati grandi e piccoli?