Sabato, 21 Marzo 2020 12:52

Coronavirus: l'odio e i nuovi capri espiatori

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In molti, questi giorni, si affannano a smascherare i trasgressori, quelli che nonostante i divieti pretendono di continuare la vita di sempre, mettendo a rischio la salute propria e quella degli altri. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a scene sconcertanti di arrostate sui tetti di campus universitari e di affollati aperitivi contro "il virus" per le vie del centro storico di alcune città italiane. Ma fortunatamente si tratta di casi rari.

Sui social, e nel dibattito pubblico, il bersaglio preferito sono però coloro che non rinunciano alla corsa o alla passeggiata solitaria. E proprio ai "runners" sono destinate le nuove misure disposte dal Ministro della Salute Roberto Speranza per contenere il contagio. Tra i punti dell'ordinanza: "Non è consentito svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto; resta consentito svolgere individualmente attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché comunque nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona".

La nuova stretta rappresenta il culmine di un susseguirsi di notizie contrastanti sull'argomento. Già con l'entrata in vigore del decreto "Io resto a casa" dello scorso 11 marzo, che permetteva l'attività motoria all'aperto, in molte città i "runners" sono stati oggetto di controlli da parte delle Forze dell'Ordine. Poche ore dopo è arrivato il chiarimento del viminale: "Lo sport e le attività motorie svolte negli spazi aperti sono ammessi nel rispetto della distanza interpersonale di un metro - si legge nella nota del Ministero del 12 marzo - In ogni caso bisogna evitare assembramenti"

Nel mezzo i pareri degli esperti, quasi mai in linea con le istruzioni e i consigli degli organi istituzionali. Sappiamo molto poco del virus ma gli scienziati sono concordi nell'indivudare le modalità di contagio. Non esistono al momento evidenze scientifiche che ritengano una passeggiata solitaria un pericolo per sè stessi e per gli altri. E' invece indubbio che l'attività fisica  all'aria aperta, se svolta nel rigoroso rispetto delle distanze e delle misure di sicurezza, sia tra i rimedi più efficaci contro lo stress emotivo da coronavirus.

Ad aumentare l'entropia nel paese che in appena venti giorni è passato, a colpi di decreti e di incredibili fughe di notizie, dall'essere la nazione più sicura a quella più colpita, sono arrivate anche le minacce. Tre giorni fa il Ministro dello sport Vincenzo Spadafora ha annunciato la nuova stretta con queste parole: "se finora abbiamo lasciato questa opportunità dell'attività motoria all'aperto è perché la comunità medico scientifica ci diceva di dare la possibilità a molte persone di poter correre, anche per altre patologie. Però l'appello generale era di restare a casa. Se questo appello non viene ascoltato saremo costretti a porre un divieto assoluto". La linea comunicativa adottata da chi deve guidare il paese nel momento più drammatico della storia repubblicana è quella del severo padre di famiglia. E' accettabile ridurre cittadini, soggetti di diritto, a figli indisciplinati? E' sensato in questo momento, richiamare alla responsabilità in questi termini?  

Questo cortocircuito comunicativo ha alimentato l'insicurezza che, in una situazione di incredibile stress come quella che stiamo vivendo, è sfociata rapidamente in ansia, panico, intolleranza e rabbia.

In molti ha insinuato il dubbio che affacciarsi al balcone di casa per prendere aria potesse esporci a un alto rischio di contagio. Mentre l'opinione pubblica, complice l'uso dei social come unico strumento di interazione e socialità, si è affrettata a trasformare chi passeggia solo all'aria aperta nel nuovo untore. Ad essere tacciato di irresponsabilità è stato anche chi ha riempito i vagoni della metro di Milano nelle ore di punta (altra foto che ha suscitato odio e indignazione puntalmente rilanciato dai media mainstream). Tutti sembrano aver dimenticato però che a viaggiare sui mezzi pubblici o a circolare per le strade delle nostre città, sono milioni di persone che non hanno potuto interrompere la propria attività lavorativa. Tra loro ci sono senz'altro medici, operatori sanitari, infermieri, cassieri dei supermercati, dipendenti delle poste o delle moltissime aziende che non sono state chiuse.

Si registrano già le prime aggressioni. Ieri, a Salerno, una farmacista è stata raggiunta da una secchiata d'acqua mentre andava al lavoro perchè "beccata" in strada.

Anche molti aquilani, sui social, hanno segnalato la presenza di macchine e gente per strada. Nel capoluogo centinaia di persone impegate nei call center continuano a lavorare in sede. La scorsa settimana si sono susseguiti accorati appelli da parte dei sindacati che denunciavano la totale mancanza delle condizioni di sicurezza in questi luoghi di lavoro. Parliamo di centinaia di lavoratori che in questa città hanno continuato a lavorare esponendosi al rischio di ammalarsi e rischiando di innescrae un incontenibile focolaio. Eppure nessuno tra i delatori della rete mi pare abbia preteso da quelle aziende, con la stessa fermezza, il rispetto delle disposizioni impartite dalle autorità.

Certamente la paura - pure indispensabile a un'idonea percezione del rischio e quindi all'assunzione di comportamenti adeguati di fronte al pericolo - di qualcosa di invisibile che minaccia la nostra salute e quella dei nostri cari ci rende vulnerabili, quando non sconfina in ansia, angoscia e depressione. In questo contesto la mancanza di chiarezza ha determinato un cortocircuito nel processo di comprensione della realtà da parte collettività, che tende a rifiutare riflessioni e considerazioni di buon senso e ad accogliere narrazioni distorte, capaci di ridurre ogni circostanza in paura individuale e collettiva.

Per difenderci dal virus, così come dalla psicosi, abbiamo bisogno di un'informazione chiara, precisa e corretta.

Se al contrario sono la confusione e la conseguente mancanza di fiducia a farla da padrone allora la comunicazione istituzionale fa leva principalmente sulla paura, o almeno questo è ciò che viene percepito dai più. Se a motivare il senso di responsabilità cui si fa continuamente riferimento è qualcosa di indecifrabile e incomprensibile, la nostra frustrazione diventa insopportabile davanti al completo annientamento delle nostre libertà individuali. Se l'emotività prende il sopravvento, sentimenti di ansia depressione e panico degenerano in odio che a sua volta diventa senso comune, pronto ad essere scagliato contro un nuovo nemico considerato oltremodo insidioso.

In una situazione straordinaria e di emergenza, il venir meno a una corretta spiegazione e interpretazione dei rischi e dei bisogni può compromettere non solo la nostra salute mentale ma anche la tenuta del sistema democratico.

Sia ben chiaro. Non intendo fomentare forme di disobbedienza. Né condannare irreversibilmente l'informazione istituzionale: la crisi sanitaria che ha investito il nostro paese e il resto del mondo è drammatica e di eccezionale complessità. E che nessuno fraintenda il senso di ciò che scrivo. Non metto in alcun modo in discussione la necessità di rispettare le misure di contenimento varate in questi giorni. Parliamo di un virus aggressivo e pericoloso in grado, lo ha purtroppo già dimostrato, di mettere in crisi il nostro sistema sanitario, con tutto ciò che questo comporta. D'altra parte gli storici della medicina sono concordi nel ritenere che la democrazia è poco efficace durante le epidemie, quando servono misure rapide e incisive.

Ma siamo in democrazia e il rispetto delle regole non può prescindere dalla loro comprensione né da una chiara comunicazione delle stesse.

Se questa manca, allora dobbiamo pretenderla. Di fronte a una comunicazione ambigua è giusto, oltre che urgente, rivendicare il nostro diritto ad essere informati. Se il nostro bisogno di comprensione resta insoddisfatto cerchiamo una spiegazione nel nostro essere comunità, anzichè cedere alla semplificazione, a narrazioni distorte dettate dallo stress del momento, capaci di alimentare angoscia, rabbia e intolleranza. In questo momento salvaguardare noi stessi significa salvaguardare l'altro, il più debole. Ora più che mai è necessario l'apporto della comunità alla comunità.

Non sono la prima a fare tali riflessioni. Molti giornalisti stanno sollevando queste tematiche mettendoci in guardia dai rischi presenti e futuri, ma a mio avviso la questione ha ancora poco spazio nell'informazione mainstream. Sento dunque il dovere di ribadire che oggi, e non domani, è il tempo di riflettere in modo lucido e di pretendere lucidità e chiarezza da chi ci governa e da chi ha la responsabilità di comunicare questa crisi.

Questa crisi ci offre l'opportunità di guardare ai nostri bisogni come bisogni dell'altro, di pensare l'altro. Se a guidare i nostri comportamenti non saranno l'altruismo, la solidarietà e lo sforzo di spiegare e comprendere, allora il virus lascerà tracce indelebili nelle nostre menti e nelle coscienze. L'emergenza che stiamo vivendo può diventare arma di prevenzione, può restituire forza al patto sociale su cui si fonda la nostra comunità. Sarebbe stupido, oltre che rischioso, perdere questa occasione.

Ultima modifica il Sabato, 21 Marzo 2020 23:06

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