Mercoledì, 20 Maggio 2020 12:01

Viaggio lungo il fosso del diavolo

di  Giovanni Cialone

Prima uscita dopo la quarantena, destinazione fosso del Diavolo, profonda gola scavata dalle acque tra quello che si chiamava monte di Coppito, il colle d’Ottone e il Colle della Colonnella.

Siamo vicino Cansatessa e subito dietro l’abitato di San Vittorino. Il fosso nasce dall’inizio della valle di Cascio, raccoglie affluenti da Monte Pago Martino, riceveva le acque di fonte Cupello e fonte del Salice, passa sotto la grancia di San Severo e poi con un salto di quota repentino, per più di 300 metri scende verso l’Aterno. E’ a regime torrentizio e nei periodi di maggior portata, nel passato, doveva avere portate importanti se è riuscito ad incidere così profondamente il paesaggio. Viene chiamato anche fosso della Murata o delle Fate per i resti di mura poligonali realizzate come briglie per calmare la potenza delle piene. I resti di queste mura costruite a secco con enormi blocchi in posizioni impossibili ha creato nei secoli suggestioni e pensieri verso interventi sovraumani. Fate o Demoni appunto.

Siamo a confine tra i feudi di San Vittorino, Arischia e Coppito e sul colle chiamato della Colonnella, fino agli inizi degli anni '80 del secolo scorso, c’era l’indicazione precisa. Un cippo, da tempo asportato, alto circa 80 cm con, da un lato, lo stemma di San Vittorino, quadrati a rilievo, e dall’altro quello di Arischia, luna coricata e stella. Sulla sommità una croce greca orientata secondo i punti cardinali. Un altro cippo simile faceva bella mostra di se sulla SS 80 vicino al Portichetto, era il confine tra Coppito e San Vittorino, un parallelepipedo in calcare di grandi dimensioni, anch’esso trafugato nello stesso periodo, con da un lato lo stemma con quadrati a rilievo e dall’altro lo stemma di Coppito.

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Cippo di confine sul colle della Colonnella (foto del 1978); trafugata.

Tornando al Fosso del Diavolo il proposito è quello di percorrerne il letto in salita fino alla Fonte del Salice per verificare se ci sono resti di altre briglie non visibili dall’alto.

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Si parte dal Casino del Barone, un complesso agricolo con palazzetto nobiliare oggi di forme barocche che affaccia verso valle con corte, loggie, piccionaia ed una graziosa cappellina purtroppo danneggiata dal sisma del 2009 come gran parte della complessa costruzione. Il Casino è costruito su roccia affiorante a ridosso del torrente ma sopraelevato di qualche metro in modo da stare al riparo dalle piene. Il fosso in questo tratto di pianura è costretto entro murature di sostruzione realizzate a secco con grossi blocchi semilavorati.

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Superata via Arischia troviamo subito quel che resta della prima briglia a difesa della strada con solo una fila di blocchi rimasti che poggiano su di una fondazione appena emergente. A valle si trovano, erranti, grosse pietre semilavorate portate via dalla forza delle acque.

Camminando nell’alveo del torrente per circa trecento metri si incontrano rifiuti abbandonati: plastica, vetro ferro, ma poi tutto cambia. Vegetazione soverchiante ed intricata: bosso, ornello roverella, ginestra, acacia. A tratti è difficile districarsi. Più avanti la fossa diventa stretta, strettissima fino meno di un metro. Pareti alte di breccia appena cementata si susseguono a pareti roccia calcarea modellata dall’acqua. Un paesaggio splendido.

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Ma poi ecco i resti di una briglia distrutta e ancora un’altra ed ancora un crollo con enormi massi forse provenienti da una muratura di sostruzione e regimentazione simile a quella trovata in altri torrenti (Formaliscia).

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All’improvviso, annunciati da blocchi di calcare squadrati di qualche tonnellata caduti sul greto del torrente, compare quel che resta delle mura poligonali realizzate con enormi massi, giustapposti senza malta, in due ordini di diversa fattura a differenti quote.

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I due ordini di murature, secondo il Persichetti di epoca romana repubblicana quella a monte e di epoca Italica quella a valle, sono organizzate seguendo le curve di livello. Più in alto la muratura più tarda realizzata in pietra calcarea sicuramente estratta e lavorata nella zona a monte per facilitarne il trasporto, trattata su tutte le facce che si incastrano perfettamente tra di loro. Questo muro si legge ancora per la ragguardevole lunghezza di circa quaranta metri e si notano ancora tracce di esso dal lato opposto del fosso a significare che la struttura scavalcava il torrente ed era molto più lunga e molto più alta di quella oggi visibile.

Circa venti metri più in basso la muratura in blocchi di calcare, grossolanamente sbozzata e quasi parallela al muro superiore. Gli enormi blocchi sono poggiati uno sull’altro ma avendo l’accortezza di mettere i blocchi di dimensioni maggiori nella parte alta in modo da favorire una “precompressione” e rendere più stabile l’intera struttura.

Le prime notizie e studi delle murata del diavolo sono dovute all’arch. Simelli che nel 1810, su incarico dell’accademia di Francia, visitò molti siti con mura poligonali dell’Abruzzo e si fermò anche alla Murata. Misura disegna e descrive tre ordini di mura. Oggi ne vediamo solo due, la terza o almeno la sua base dovrebbe trovarsi tra queste e nei pressi dei resti di una piccola costruzione realizzata con malta di coccio pesto a certificare l’utilizzo certo del sito in epoca romana.

Successivamente anche Edward Dodwell nel 1830 studiò le mura e più tardi, all’inizio del novecento, Asby ed il Persichetti ne fecero occasione dei loro interessi.

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Resti di muratura romana

Queste grandi costruzioni non sono le sole presenti nell’aquilano: su un tratto di mura megalitiche di circa cinquanta metri è impostata la cinta muraria della città di L’Aquila nei pressi della porta della Stazione; sul fosso di san Giuliano sono state recentemente scoperte tracce di muratura poligonali ed alcuni saggi dell’Università di Colonia sul colle di San Vittorino hanno rinvenuto tratti di quella che doveva essere una cinta italica. Sul torrente Peschio vicino ad Arischia, ed ancora sul Rio di Formaliscia e nei pressi della sorgente di Fonte Nera, sono ancora presenti resti ben conservati di briglie e di muri di sostruzione in opera poligonale.

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Due sbarramenti ben conservati nei pressi di Fonte Nera

Sull’epoca di costruzioni le ipotesi si sono susseguite nei secoli. Le più antiche si fanno risalire tra il VII ed il V-IV avanti, in epoca Sabina. Nei casi descritti le murature poligonali sono di tipologia costruttiva molto diversa sia nelle forme che nelle dimensioni e nell’accuratezza del trattamento delle superfici, probabilmente alcune sono rifacimenti anche relativamente recenti. Solo un’indagine archeologica potrà dare definizioni precise circa l’età delle diverse costruzioni.

Quello che interessa è sottolineare, ancora una volta, che in una vasta area, dal Fosso di San Giuliano fino a Rio Peschio ad Arischia esisteva un esteso sistema di regimentazione delle acque realizzato attraverso decine e decine di briglie in muratura a secco e sostruzioni laterali sui torrenti che scendevano verso valle. Una grande opera di ingegneria idraulica per proteggere i terreni coltivati dalle piene ed un unicum nel suo genere. Infine rendendo attrezzato e sicuro il percorso descritto questi luoghi potrebbe essere fruiti tutti. Tre ore di cammino per un’immersione nella natura e nella storia a due passi dalla città

 

Ultima modifica il Mercoledì, 03 Giugno 2020 13:14

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