La pandemia che abbiamo attraversato con angoscia ci lasciava, in un angolo del nostro cuore, la speranza che potesse realizzare dei cambiamenti nei nostri stili di vita e visioni del mondo. Invece, giorno dopo giorno, ci stiamo rendendo conto che no, che nessun cambiamento si è prodotto e se qualcosa è cambiato lo è sicuramente in peggio.
L’ennesima ri-perimetrazione del Parco Regionale Velino-Sirente ne è un esempio e lascia sbalorditi ed increduli principalmente per due ragioni: la prima attiene all’impermeabilità delle classi dirigenti al cambiamento e alla totale mancanza di sensibilità verso tutto ciò che nel mondo si muove; la seconda alla miopia politica e culturale che pone le prossime elezioni come orizzonte massimo a cui tendere.
Mentre le organizzazioni sovranazionali e quasi tutti i governi si interrogano su come cambiare la nostra modalità di rapportarci al pianeta e all’ambiente - la questione ecologica è assolutamente centrale, tanto da farci dire che l’emergenza sanitaria porta con sé quella ambientale - alcuni amministratori locali, non solo abruzzesi, ne è testimonianza il faraonico e pauroso progetto del Terminillo, continuano come nulla fosse a colpire la natura, perseguendo una politica antropocentrica, arcaica ed aggressiva.
La necessità di cambiare paradigma non sfiora questi piccoli amministratori che il più delle volte ignorano cosa accade nel mondo, pensando che l’emergenza ambientale riguardi altri, che debbano essere altri ad intervenire, fintamente inconsapevoli che solo facendo ognuno la propria parte si potrà affrontare la sciagura che incombe. Per altri, al peggio non c’è mai fine, il cambiamento climatico e la distruzione del pianeta sono fake news. C’è però una terza categoria di politicanti, ignobile, che pur consapevole del fatto che stiamo ballando sul Titanic, per meri interessi personali ed elettoralistici continuano con politiche irragionevoli e dannose.
Nel caso della riperimetrazione del Parco Velino-Sirente troviamo questo miscuglio di ignoranza, cinismo ed elettoralismo; infatti, le ragioni che portano a questo provvedimento, quelle enunciate dall’assessore e riportate in delibera sono risibili.
La prima ragione è rappresentata dai danni causati dalla fauna selvatica: seguendo questa soluzione andrebbero aboliti tutti i parchi, inoltre bisognerebbe trovare il modo di spiegare agli ungulati dove inizia e dove finisce il parco oppure mettere una guarnigione di cecchini, h24, sui confini dello stesso. Si ignora volutamente il dato scientifico che dimostra come la battuta al cinghiale se appaga il desiderio di sangue e sudore (sudore del cinghiale, considerati i sistemi di caccia moderni…) dei cacciatori, non interviene minimamente nel mitigare la presenza degli cinghiali (ricordiamo, specie non autoctona ma allogena, re-inserita per le solite esigenze venatorie), comporta un enorme danno ambientale, mettendo in fuga tutti gli altri animali ed alterando habitat delicati; al contrario altri metodi di cattura sono meno impattanti e più efficaci, come le catture in gabbie, la caccia di selezione e la presenza soprattutto di predatori naturali come il lupo, che in un’area non protetta fatica ad riprodursi, nei fatti la presenza di branchi strutturati si rintraccia solo nei parchi (le pubblicazioni scientifiche al riguardo sono numerosissime). Il problema dei danni da fauna selvatica dunque rimarrà e servirà per nuove richieste venatorie come la preapertura della caccia, l’apertura della caccia nei parchi, tutte domande a cui dare una puntuale risposta in cambio di voti.
La seconda ragione è ancora più falsa: i rallentamenti nel processo di ricostruzione. A undici anni dal sisma, con la ricostruzione in fase avanzata o addirittura quasi conclusa, parlare di rallentamenti è pretestuoso. Se comunque si ritiene di intervenire basta cambiare la norma, convocando un tavolo con USRC, Soprintendenza e Regione. Se il sistema di ingresso al Pronto Soccorso non funziona si cambia la prassi non si abolisce il Pronto Soccorso. Tra l’altro i Comuni con un patrimonio architettonico di maggior pregio sono quelli contrari alla ri-perimetrazione.
Il risultato è un parco spezzatino con perimetrazioni imbarazzanti che ci interrogano su come funzionari e dirigenti abbiano potuto accettare e firmare tale atto. Il fiume entra ed esce dal parco decine di volte, su una sponda si spara, sull’altra è parco; le gole di San Venanzio sono per un terzo parco, un terzo riserva naturale, un terzo niente, alla faccia dell’ambiente unitario. Goriano Valli ha un’ansa nel parco che corre lungo il fiume, che esclude al metro pezzi di terreni per poi rientrare e divenire di nuovo parco: davvero strano, in un’area che è considerata un santuario dei cervi e che attira centinaia di visitatori.
Questo disastro viene presentato dall’Assessore regionale con un frasario vetero democristiano incomprensibile ed inconsistente, le uniche cose che si capiscono sono due: 1) “questa ri-perimetrazione rappresenta un’opportunità”; come? Quando? Per quale astrusa ragione la delibera in oggetto porterà i borghi a ripopolarsi e riporterà i servizi da tanti anni mancanti? 2) “La ri-perimetrazione non avrà impatti significativi sulle peculiarità ambientali delle aree naturali del parco”; si afferma questo sulla base di quali studi scientifici? svolti da chi? Con quale metodo? Dove si possono leggere i risultati? Si ha il sospetto che si confondano le chiacchiere ascoltate in una delle tante cene elettoralistiche con il mondo venatorio con dati scientifici.
La chiosa dell’assessore e dei sindaci proponenti, alcuni dei quali residenti sulla costa adriatica ma sempre pronti alla retorica del “chi vive in montagna”, esperienza a loro estranea, riguarda la volontà delle popolazioni, ignorando un po' di questioni. Non tutta la popolazione è favorevole, ma nell’intero perimetro del parco si hanno posizioni diverse e articolate. I comuni sono ridotti dal punto di vista demografico al lumicino, soprattutto in Valle Subequana. Si diventa consigliere con 20 voti, sindaco con 80 e i residenti votanti sono poche centinaia, a volte anche meno.
Lo spopolamento delle aree interne, come hanno capito anche i più spericolati sviluppisti, non nasce dall’istituzione dei parchi ma ha origini molto più remote e i parchi, lì dove funzionano, sono l’unico antidoto allo spopolamento e l’unico volano alla cura del territorio, promuovendo turismo e socialità e comunitarismo.
Nessuno ignora le inadeguatezze nella gestione delle aree protette ed è proprio questa inadeguatezza, protratta per troppo tempo, che ha alimentato un sentimento contro i parchi. Dove le gestioni sono state adeguate e all’altezza questo umore è molto minoritario ed assume le forme del bracconaggio e del sabotaggio.
Ma la domanda anche in questo caso uccide la risposta, cosa è stato fatto per far funzionare il Parco Velino-Sirente? Quanti fondi vengono stanziati ogni anno? Come mai gli unici cospicui investimenti riguardano anacronistici e costosissimi arroccamenti sciistici? I sindaci, così solerti nella demolizione dell’area protetta, come hanno contribuito a farla crescere e vivere, con quali azioni? Considerare il parco solo un bancomat, da sfasciare quando è vuoto, è un giusto approcio?
Nonostante tutto ciò, il cuore della questione è però il seguente: in un momento in cui si stanno riscoprendo i borghi rurali e montani, i paesi con la loro lentezza e dimensione umana, con il loro genius loci, con le loro enormi potenzialità legate al meraviglioso patrimonio naturale in cui sono immerse, si dovrebbero avviare politiche per ri-attivare servizi sociali, sanitari e culturali. Insistere su una “Legge per la Montagna” che consenta deroghe al dimensionamento scolastico e sanitario, riaprendo scuole e presidi ospedalieri, servizi tecnologici e adeguamenti viari con messe in sicurezza del territorio.
Una “Legge della Montagna” che possa promuovere e finanziare attività agro-silvo-pastorali ed una fiscalità di vantaggio. Invece nessuno si occupa di questo, è molto più comodo e redditizio tagliare aree protette e scavare qualche tunnel.
Quale visione hanno questi amministratori del futuro della Valle Subequana? Pensano davvero che tagliando il Parco potranno rilanciare i loro comuni condannati a morte demografica? In realtà stanno bruciando l’unica possibilità di futuro sull’altare di un pugno di voti di qualche cacciatore e qualche anarco-individualista che vuole mano libera.
Se dalla Lega ci si aspetta tale rozzezza amministrativa in cambio di facili consensi, tale mancanza di visione del futuro, ma solo ricerca del capro espiatorio sul quale lucrare - all’uopo migranti, cinghiali, cinesi, radical-chic, tutti fanno brodo - dal PD e da chi si richiama al centrosinistra ma anche alla destra europea non sovranista, ci si attende qualcosa di diverso, ad esempio che tutta la narrazione sulla svolta green, la sostenibilità e la transizione ecologica non sia solo retorica elettorale; ad esempio, che il futuro non venga immaginato e programmato con paradigmi arcaici anni sessanta ma con idee più moderne e coraggiose.
Sappiamo che una parte del centrosinistra ama promuovere modelli sviluppisti e riperimetrazioni, speriamo che un’altra parte si faccia carne e venga ad abitare in mezzo a noi, in mezzo ai milioni di cittadini e cittadine che chiedono finalmente una politica che riduca l’impatto antropico sul pianeta e promuova il rispetto della natura. In mezzo ai tanti giovani, amministratori, attivisti e operatori turistici meritevoli di un futuro il cui orizzonte non finisca con le prossime elezioni amministrative o regionali.
*Enrico Perilli, segreteria regionale Sinistra Italiana