Proprio in questi giorni la nostra sottosezione CAI sta completando la posa delle ultime paline sul proprio tratto di competenza così che, a inizio luglio, si possa procedere all’inaugurazione del sentiero Rocca di Mezzo - Pagliare di Tione riaperto con l’associazione Il melo di nonno Dario, con il contributo dei Comuni di Rocca di Mezzo e Tione e con l’autorizzazione del Parco Sirente-Velino.
Analoga iniziativa stiamo per proporla alle associazioni e all’amministrazione di Fontecchio, così da tornare a collegarci anche con le Pagliare di Fontecchio e quindi con la valle sottostante.
Il primo dei due sentieri, di fatto recuperato alla vegetazione fin dall’anno scorso, è già diventato un’attrattiva anche per chi non si trovi in zona, evidentemente perché stimola e incuriosisce questa storica via di comunicazione e di scambi (da cui passò quel generale Caldora che di lì a poco avrebbe aiutato L’Aquila a sconfiggere il Fortebraccio) che collega traversalmente l’Altopiano delle Rocche con la media Valle dell’Aterno. E’ un vero e proprio viaggio nella natura remota e in una cultura millenaria che, senza quasi che ce ne accorgessimo, hanno iniziato a percorrere anche alcuni cammini religiosi che attraversano questo pezzo di Italia.
Tutti fenomeni che chi, come noi, ha fondato dal nulla e porta avanti una sottosezione CAI aveva evidentemente compreso e interpretato, così come lo hanno ben inteso le diverse persone e associazioni che da anni si vanno organizzando nei paesi della media Valle dell’Aterno, fertile per esperienze di tutela e valorizzazione naturalistica.
Prima di noi lo avevano ben inteso quanti si erano organizzati per realizzare il sogno del Parco Regionale Sirente-Velino, che è realtà dal 1989 e che parrebbe essere giunto ad un suo ulteriore rimaneggiamento con il disegno di legge di questi giorni, senza che si sia mai dotato di un Piano del Parco, perennemente commissariato e con un Commissario facente funzione di Direttore, di cui peraltro colpisce il silenzio assordante di questi giorni.
E’ fin troppo facile comprendere come il Sirente-Velino si componga di una piccola galassia di àmbiti territoriali orbitanti intorno ai due massicci montuosi, di cui la media Valle dell’Aterno è evidentemente parte essenziale per il passaggio del fiume, con tutto quel che ne consegue in termini naturalistici e per il rilievo culturale dalle notevoli presenze monumentali. La riperimetrazione ne fa uno spezzatino che mina alle basi l’essenza stessa di quel progetto di passato e di futuro che, seppur tra mille contraddizioni, l’attenzione riportata sulle aree interne dall’emergenza Covid dimostra valido una volta di più.
E allora perché parte delle popolazioni locali lo avversa e chiede alla Regione di uscirne? Innanzitutto perché il Parco non è messo in condizione di svolgere al meglio il proprio fondamentale ruolo, come già accennato, e poi perché ci sono tanti interessi particolari e diversi, come è normale che sia, a cui andrebbe dato il peso che meritano e ricondotti in una normale sfera di dibattito costruttivo interno, senza che ciò debba mai portare a una riduzione dei confini, tanto più adesso.
Chi dovrebbe ricucire e mettere a sistema le conflittualità? Innanzitutto il Parco o, meglio, chi ha l’onere e l’onore di rappresentarlo pro-tempore, se necessario oltre i limiti che gli vengono concessi, libero da condizionamenti politici. Tanto più in questi momenti faccia parlare l’anima costruttiva del Parco e metta in evidenza obiettivi e azioni volte al benessere degli abitanti del proprio territorio di pertinenza, già orfano della Comunità Montana. Poi, ovviamente, dovrebbe svolgere il suo ruolo di garante la Regione che sarebbe l’altro soggetto deputato a fornire visione oltre i particolarismi, per l’appunto. Un ruolo a cui, nelle motivazioni che accompagnano il disegno di legge Imprudente, questa Giunta Regionale ha inteso abdicare senza peraltro addurre motivazioni credibili, studi o fondamenti giuridici.
E’ un passo falso che, se confermato con l’approvazione in Consiglio, ben presto sarà la storia stessa a giudicare producendo nel frattempo ritardi, confusioni e inefficienze per una manciata di voti.
Troppe volte abbiamo sentito evocare L’Aquila e il suo territorio come Capitale degli Appennini, senza un preciso progetto che potesse giustificarne il senso e rispolverando fanfare di grandezza che mal si coniugano con la situazione reale e con i tempi.
Nella partita globale, il ruolo che possiamo ragionevolmente giocare è certamente quello della specificità, facendo però della marginalità una ricchezza da impostare in termini di complementarietà rispetto a Roma e alla città adriatica. In quest’ottica occorre rendersi attrattivi, porsi come destinazione e darsi sempre maggiore riconoscibilità, come i parchi sanno e possono fare. E’ il capitale unico e irripetibile di questo pezzo di Appennino, di cui possiamo godere e che possiamo condividere con altre persone che vogliano goderne per viverci stabilmente, periodicamente o eccezionalmente.
E’ questo l’unico “capitale” che possa salvarci.
*Marco Morante, architetto e urbanista, reggente sottosezione CAI Altopiano delle Rocche