Mercoledì, 24 Giugno 2020 21:49

Cialone: "Parco spezzatino non serve a niente e a nessuno, una presa in giro"

di  Giovanni Cialone*

Tra la fine degli anni '80 e l’ inizio degli anni '90 si affacciarono nuove speranze per dare soluzione alla crisi strutturale che affliggeva ed affligge le aree interne dell’Appennino centro meridionale e dell’Abruzzo in particolare.

Due avvedute norme nazionali davano le gambe per invertire la tendenza: la Legge Quadro sulle Aree Protette che ci metteva al passo l’Italia con L’Europa e la Legge sulla Montagna. L’Abruzzo puntò subito sulla sostenibilità e lanciò parole d’ordine di indubbio fascino: Abruzzo Regione Verde D’Europa e Appennino Parco d’Europa, che oggi rappresentano proposizioni di un tempo che fu, parole vuote in bocca a politici che strizzano l’occhio verso altre direzioni e che scientemente, negli anni, hanno deciso di abbandonare modelli di valorizzazione e conservazione legati alla sostenibilità senza peraltro sostituirli con diversi obiettivi.

Altro che regione verde, l’Abruzzo oggi è una delle aree più inquinate d’Europa e le discariche di Bussi, i gravi problemi all’acquifero del Gran Sasso, i fiumi inquinati ed il sistema “medievale” di depurazione lo stanno a dimostrare.

La delibera della giunta regionale di riduzione di circa 8000 ettari (più del 15%) del perimetro del parco del Sirente Velino, unico parco regionale, sta tutto dentro queste logiche di “deregulation”.

Va detto, per onor di verità, che la storia viene da lontano; l’assessore Imprudente ha ripreso, pari pari, la proposta dell’ex assessore Di Matteo e del presidente della seconda commissione Pietrucci nella precedente giunta del centrosinistra. Le delibere dei comuni sono infatti del 2016, tutte eguali. Quindi una proposta datata e Di Matteo non riuscì a concretizzarla per le beghe interne al suo partito.

La perimetrazione proposta elimina tutta l’area protetta in sponda sinistra del fiume Aterno tranne che per il comune di Fontecchio e per alcuni tratti anche in sponda destra (comune di Tione degli Abruzzi) con discontinuità e penisole larghe solo qualche centinaio di metri.

Un parco spezzatino, un’ameba disegnata senza tener conto dei valori paesistici, naturalistici, storico architettonici e demoantropologici. Si vuole cassare il parco ma rimane la ZPS. Insomma un obbrobrio da qualsiasi punto lo si voglia guardare.

Le motivazioni addotte? I ritardi della Soprintendenza nell’approvazione dei progetti di riparazione e il problema dei cinghiali.

Per quel che riguarda i ritardi della Soprintendenza la motivazione è strumentale. E’ appena il caso di ricordare che vige il principio del silenzio assenso e dopo sessanta giorni senza parere il progetto si intende approvato. I primi cittadini sostengono di avere le mani legate anche per colpa delle limitazioni a cui la normativa li sottopone. Si vuole mano libera, possibilità di fare quel che si vuole, di cambiare connotati ai meravigliosi centri storici della Valle Subequana che si intende tenere fuori parco.

Il problema dei cinghiali esiste entro e fuori parco. La regione non ha un progetto, i parchi fanno poco o nulla ma è certo che il sus scrofa ancora non impara a riconoscere i confini dei parchi, scorrazza e scorrazzerà dentro e fuori. Non sarà la caccia a frenarne la riproduzione anzi, come si legge da tante ricerche di studiosi della materia peggiora la situazione. Ci vuole un approccio policulturale, una stretta collaborazione tra parchi e regioni. Si vada a vedere ed a copiare le regioni che sull’argomento stanno anni luce avanti.

E’ vero, sono passati 30 anni dall’istituzione del parco del Velino Sirente e fino ad oggi è stato un organismo iperburocratizzato che ha imposto solo vincoli e restrizioni. Se il parco è ridotto così lo si deve a chi non ci ha creduto: Regione e comuni. La Regione lo ha sempre sottofinanziato e tenuto in “salamoia”, basti pensare che dal 2015 è commissariato. Non ha ancora approvato il piano del parco. Sindaci e consiglieri comunali per decine di anni sono stati abbarbicati alle poltrone del consiglio direttivo e della comunità del parco, qualcuno ha fatto anche il presidente e/o il vicepresidente dell’ente e in così tanti anni non sono stati capaci di farsi approvare uno straccio di piano che superasse finalmente la rigidità delle norme di salvaguardia né uno straccio di piano di sviluppo socio economico (quest’ultimo di competenza esclusiva della comunità degli amministratori locali).

Per tutti questi anni hanno considerato il parco Sirente-Velino come un’estesa comunità montana da mungere, un bancomat da utilizzare per interventi dettati da interessi localistici. E oggi, chi sedeva nel consiglio di amministrazione o nella comunità del parco, si accorge di essere stato inutile ed inefficiente e si accorda con l’assessore di turno per un parco spezzatino.

L’ultimo trasferimento annuale al parco dalla Regione è stato di molto inferiore al milione di euro, soldi che servono appena per l’ordinaria amministrazione. Nello stesso tempo la Regione ha finanziato opere legate allo sci da discesa per cifre che complessivamente si avvicinano a 10 milioni di euro. Solo questo serve a capire da che parte pende la bilancia.

Un parco così ridisegnato non serve a niente e a nessuno, è una presa in giro. La politica si deve assumere le proprie responsabilità. L’assessore Imprudente deve avere il coraggio di presentare una proposta per cassarlo, di dire a tutti che la ex regione verde d’Europa non ne ha bisogno, non gli serve e non è stata e non è capace a gestire il suo parco regionale e se ne infischia se esso è un bene collettivo, un bene che dovrebbe essere di tutti. Gli amministratori comunali dei comuni che hanno approvato le delibere fotocopia debbono avere il coraggio di chiedere di uscire del tutto dal parco e di non lasciare solo lacerti del territorio entro il parco pur di contare. Gli stessi amministratori dicano quale è il modello che hanno in mente per il futuro dei propri territori oggi che vogliono abbandonare quello legato alla sostenibilità.

I comuni della Valle Subequana in cento anni hanno perso intorno all’85% della popolazione ed i residenti hanno età medie alte che non garantiscono la resilienza nei prossimi anni. Qual è il progetto per invertire la tendenza? L’unico progetto possibile è quello che passa attraverso la sostenibilità, la riabitazione dei borghi, la ricostruzione di società “complesse” e non solo attraverso il turismo. Altrimenti il rischio è l’oblio.

*Giovanni Cialone Italia Nostra AQ

Ultima modifica il Giovedì, 25 Giugno 2020 09:31

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