“È incredibile che la Regione Abruzzo sia a corto di 248.000 dosi di vaccino anti influenzale nell’anno della pandemia mondiale da Covid19. Ma è accaduto e oggi, a causa dell’inqualificabile ritardo degli approvvigionamenti, l’Abruzzo è tra le tre regioni italiane, insieme a Molise (che dipende dall'Abruzzo) e Basilicata. ad aver avuto problemi con le gare per l'approvvigionamento: dosi che andavano procurate in primavera sono state chieste in piena estate, con il risultato di vedere andare deserte le rispettive gare. Una negligenza, meglio, l’ennesima latitanza nella programmazione, scritta nero su bianco nelle carte di cui abbiamo avuto cognizione dopo l'accesso agli atti richiesto per capire le responsabilità e motivazioni di tanto ritardo”.
L'affondo è del capogruppo PD in Consiglio regionale Silvio Paolucci.
Si tratta di una responsabilità politica, sottolinea l’ex assessore alla Sanità, con un ritardo di indirizzo verso l'Aric (Agenzia regionale di Informatica e Committenza) che ha gestito le gare andate deserte ed ha indetto quella urgente del prossimo 31 agosto. “Dagli atti risulta che questa abbia fatto le prime gare senza alcuna comunicazione del Dipartimento e dell'Assessorato, mentre nell'anno Covid sarebbe stata necessaria ben altra premura – sottolinea Paolucci – Dai documenti sappiamo anche che in base ai fabbisogni manifestati dalle varie Asl, al momento all’Abruzzo mancano 248 mila dosi di vaccino influenzale tetravalente “Virus split” (frammentato) inattivato. Da capire c’è il perché la Regione abbia atteso tanto nel produrre atti di indirizzo per procurarsi le dosi e non abbia esercitato né controlli, né impulso sulle procedure: dalle carte infatti emerge che le Asl si sono mosse solo a fine giugno e addirittura la nota del Dipartimento a indirizzo dell'Aric è del 22 luglio! Con gli esiti che sappiamo".
Emerge anche che non sono state chieste più dosi rispetto agli anni precedenti, quando il Covid non c’era. "Dagli atti risulta che solo il 25 giugno le Asl hanno comunicato i fabbisogni, quando è solitamente la Regione che coordina le Asl su aspetti così importanti. Tardiva anche la delibera di giunta n. 394 che fissa al 1° ottobre l’avvio della campagna vaccinale e che porta la data del 14 luglio, 20 giorni dopo la trasmissione dei fabbisogni da parte delle Asl; tra l'altro, è stata trasmessa solo il 22 luglio, con comodo. Fatti che indicano una sola cosa, l’assenza di un indirizzo politico-programmatico su una materia sensibilissima qual è la prevenzione".
I numeri dicono chiaramente che non c’è stata una presa d’atto del fabbisogno abruzzese, né dei tempi per determinarlo e approvvigionarsi: la somma di queste due circostanze evidenzia la grave responsabilità della Regione Abruzzo che si è fatta trovare impreparata "nell’anno in cui non potevamo permetterci ritardi sulla programmazione e, soprattutto, sulle attività di prevenzione dell'influenza. Nell’eventualità di una possibile seconda ondata in autunno, la Regione poteva (e doveva) investire maggiori risorse in termini di prevenzione e controllo. Questo perché la co-circolazione del virus influenzale e quello di SARS-COV-2, a causa delle simili sintomatologie, potrebbe mettere in crisi il sistema sanitario abruzzese, con un sovraffollamento dei presidi ospedalieri e conseguenti ritardi nei tempi di individuazione del virus e tracciamento dei contatti del positivo che noi davvero non ci auguriamo".
Le altre regioni non solo si sono attivate prima, ma hanno previsto dosi aggiuntive di vaccino, cosa che l'Abruzzo, inspiegabilmente non ha fatto. "Quale ragionamento ha portato i tecnici a confermaste gli stessi quantitativi del passato non pandemico? Ma, soprattutto, perché dopo un’emergenza che ha profondamente segnato anche l’Abruzzo, la Regione non ha imparato ancora a fare prevenzione, tanto da procurarsi i vaccini a ridosso dell’avvio della campagna? La risposta che arriva dall’analisi dei fatti è una sola: negligenza. Lacune che non possono pagare gli abruzzesi. E che non possono intaccare una materia così importante come la salute delle persone, che è un diritto di tutti ed è, meglio, dovrebbe essere considerato dalle istituzioni un diritto essenziale".