No, L’Aquila oggi non è come Bergamo a marzo; non si possono accogliere e rilanciare, acriticamente, le affermazioni del governatore Marco Marsilio.
Dati alla mano, la provincia dell’Aquila oggi non è come la provincia di Bergamo a marzo in termini assoluti, e neanche relativi. Oltre i numeri, però, il paragone non è accettabile per l’evidenza che la provincia di Bergamo venne travolta in modo inatteso dalla prima ondata di contagi da covid-19; al contrario, la provincia dell’Aquila – soltanto sfiorata dalla pandemia in primavera – ha avuto 7 mesi di tempo per prepararsi alla prevista, e annunciata, seconda ondata. E si è fatta trovare completamente impreparata, come se a Bergamo, piuttosto che in Val Seriana o nel lodigiano, non fosse accaduto nulla.
No, L’Aquila oggi non è come Bergamo a marzo. Dirlo significa rassegnarsi all’idea che ciò che sta accadendo non si potesse evitare: ed invece, si poteva evitare. E se il territorio si è fatto trovare impreparato, ci sono delle precise responsabilità che andranno opportunamente evidenziate.
All’emergere dei primi casi di contagio, la provincia di Bergamo aveva già perso il tracciamento da settimane, per il motivo che la malattia non era nota e, dunque, indagata. Non si conoscevano i sintomi, confusi con influenze o polmoniti, tantomeno le cure da somministrare. Non era prevedibile una diffusione così rapida e, di certo, non si poteva immaginare investisse con tanta durezza le strutture ospedaliere. Non si facevano tamponi, non si indossavano dispositivi di protezione individuale, figurarsi se negli ospedali c’erano percorsi sporchi e puliti; la medicina territoriale era stata smantellata negli anni e mai si era toccato con mano il disastro che la gestione clientelare della sanità, da nord a sud, aveva causato.
Avremmo dovuto imparare.
Avremmo dovuto capire che la sfida, vera, era andare a prendere il virus sul territorio, evitando che entrasse in ospedale; avremmo dovuto capire che la chiave per tenere sotto controllo l'annunciata seconda ondata era il tracciamento che, invece, è saltato quasi subito.
Si sarebbero dovuti rinforzare i laboratori per poter processare il maggior numero di test possibile: non si è stati in grado di farlo. Si sarebbe dovuta potenziare la medicina territoriale: al contrario, per l’intera provincia dell’Aquila si sono allestite soltanto 7 Usca, con i medici di base e i pediatri di libera scelta lasciati in balia degli eventi.
E poi, andavano ‘rafforzate’ le strutture ospedaliere così che fossero pronte ad affrontare la prevedibile pressione, da un punto di vista strutturale e del personale.
Strutture ospedaliere al collasso Invece, a sette mesi dalla prima ondata che ha investito il nord del paese, le strutture ospedaliere della provincia dell’Aquila sono al collasso.
Della carenza di personale ci siamo occupati diffusamente, e non intendiamo tornarci su; basti dire che ieri, all’annuncio di ulteriori posti letto al Delta 7, dalla Medicina Covid dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila è arrivato un appello disperato alla direzione sanitaria: “non siamo in grado di sopperire ai turni minimi per una adeguata assistenza di base"; l’attività – è stato spiegato – "si sta svolgendo gravemente al di sotto degli standard assistenziali minimi per un reparto di degenza ad alta intensità di cura".
D’altra parte, in organico al momento sono operativi 7 medici e una parte di questi presenta condizioni di non equipollenza o affinità con la medicina interna; il personale di comparto, invece, risulta costituito da 29 infermieri (5 in malattina e non sostituiti) e 22 OSS (2 in malattina e non sostituiti). Per avere una idea, la divisione di Medicina Covid conta, a ieri, 48 pazienti ricoverati e il personale sarà gravato da altri turni interdivisionali (notturni e festivi) che prevedono la gestione critica di ulteriori 11 pazienti nella Medicina Covid 2, al Delta 7.
Vale lo stesso per gli altri reparti; tanto è vero che Alessandro Grimaldi, primario del reparto di Malattie Infettive, ha dichiarato di essere preoccupato dal "logoramento psico-fisico del personale, che ormai da nove mesi combatte in prima linea".
Poco si è fatto anche dal punto di vista degli interventi infrastrutturali.
Alla metà di aprile, sette mesi fa, il primario della Terapia intensiva Franco Marinangeli, provando a ‘superare’ le polemiche politiche per la realizzazione di un covid hospital da 11 milioni di euro a Pescara, invitava la classe dirigente locale a focalizzarsi sui propri problemi "chiedendo con forza di risolverli. Abbiamo progetti tanto importanti quanto efficaci da realizzare", spiegava Marinangeli: "la centrale operativa del 118, la ristrutturazione e l'ampliamento della Terapia Intensiva, l'apertura della palazzina Delta medico, l'implementazione del laboratorio analisi che renderebbero il nostro ospedale un presidio di altissimo profilo sia sotto il profilo della qualità che della sicurezza".
Il piano degli interventi 'indispensabili' della Asl: a che punto siamo? Qualche giorno dopo – è l’8 maggio scorso – dalla direzione generale della Asl 1, a firma del direttore generale Roberto Testa, dell’allora direttrice sanitaria Maria Simonetta Santini e del direttore amministrativo facente funzione Stefano Di Rocco, è partita una nota al governatore Marco Marsilio, all’assessora alla salute Nicoletta Verì, al direttore del Dipartimento sanità Claudio D’Amario, al referente sanitario per l’emergenza Alberto Albani e a Silvio Liberatore, soggetto aggregatore S.M.E.A. (Struttura di missione per le emergenze di Protezione civile), in cui si mettevano nero su bianco gli ulteriori interventi indispensabili per "la completa realizzazione del centro covid nel presidio ospedaliero dell’Aquila".
Dopo aver ripercorso l’attività svolta, in particolare per la riqualificazione del G8 e per l’avvio dei lavori del Delta 7, i vertici della Asl 1 spiegavano che andava realizzato un servizio diagnostico dedicato ai pazienti sospetti/confermati covid nella struttura G8, con adeguamento dell’ambiente già esistente (per 200mila euro circa) e l’acquisto di una Tac (250mila euro) come soluzione definitiva all’utilizzo temporaneo promiscuo della Tac di Radiologia.
Sono passati 6 mesi, e della Tac dedicata non c’è ancora traccia.
L’azienda sanitaria chiedeva, altresì, di realizzare una sala operatoria e una sala parto definitiva nell’edificio L2 per i pazienti sospetti/confermati covid; “tale intervento – veniva spiegato – necessita di un adeguamento delle attuali sale (sottratte per emergenza alla disciplina oculistica) e la realizzazione di una nuova sala oculistica in ambienti già disponibili nel blocco operatorio ‘pulito’, per complessivi 700mila euro”.
Ad oggi, l’intervento non è stato realizzato e, anzi, l’attività delle sale operatorie è ‘ridotta’ ai casi urgenti, non rinviabili.
E ancora: si ipotizzava un incremento di 20 posti letto per malattie infettive nell’edificio L4 con l’adeguamento dei locali attualmente in uso a psichiatria e la realizzazione di spogliatoi e percorsi separati (500mila euro circa), con la contestuale riallocazione delle attività da trasferire in altri ambienti come soluzione definitiva all’utilizzo temporaneo promiscuo delle malattie infettive, attualmente asservita a pazienti non covid e covid.
Per questo intervento, a quanto si apprende, è in corso il completamento della fase di progettazione.
La Asl 1 considerava indispensabile anche l’ampliamento del Pronto soccorso, con spazi da dedicare al pre-triage e alla sosta dei pazienti sospetti covid (intervento da 200mila euro), con la riallocazione delle attività da trasferire in altri ambienti come soluzione definitiva all’utilizzo temporaneo delle tende.
6 mesi dopo, al Pronto soccorso sono in esecuzione i lavori del primo lotto per la riorganizzazione del layout e per i percorsi dedicati: intanto, le tende sono ancora lì e, per dare risposta ai cittadini in attesa, è stata allestita persino la Cappella del San Salvatore.
Tra le priorità c’era, poi, la nuova centrale operativa del 118 per la gestione dell’emergenza covid-19 nelle aree interne, per 1 milione e 250mila euro; anche qui, l’intervento è ancora lontano dall’essere realizzato.
Infine, era indicata la necessità di adeguare e ristrutturare la rianimazione con implemento dei posti letto, con aumento del 50% in linea con la previsione nazionale, da 8 a 15 compresa la sub intensiva, su specifica autorizzazione regionale per 1 milione di euro circa.
Al momento, è in corso di completamento la progettazione delle opere murarie e impiantistiche nell'intera superficie del reparto di Terapia intensiva per la distribuzione degli spazi e il percorso differenziato nell'area dell'attuale terapia intensiva polivalente.
Per ciò che attiene il potenziamento del Laboratorio analisi, invece, i lavori sono stati affidati non più tardi di una settimana fa, nel pieno della seconda ondata di contagi: da contratto, sono previsti 70 giorni per la realizzazione dell’intervento.
Chiusa Medicina interna, negli ospedali solo attività ambulatoriali urgenti E intanto, all’UOSD del San Salvatore dell’Aquila da circa un mese si verificano situazioni di pericolosa “promiscuità” tra pazienti covid e non covid per via dell’assenza di ingressi e spazi nettamente separati.
Come non bastasse, dopo il focolaio esploso un mese fa nel reparto di Ortopedia, è notizia di oggi la chiusura della Malattia interna col trasferimento dei pazienti: la misura si è resa necessaria dopo che sono risultati positivi 20 degenti e 7 membri del personale medico-sanitario (infermieri, medici e Oss). Una situazione difficilissima.
Tanto è vero che la direttrice sanitaria Sabrina Cicogna, il 18 novembre scorso, ha disposto che fino al 3 dicembre, negli ospedali della Provincia, vengano eseguite esclusivamente le attività ambulatoriali urgenti (oltre alle prestazioni di diagnostica oncologica).
Questo il quadro.
Ci si è fatti trovare impreparati dinanzi ad un evento ampiamento annunciato e no, non basta appellarsi 'all’onda anomala' che si è abbattuta sul territorio – e andrà fatta chiarezza anche sulle iniziative di prevenzione messe in campo – e di certo non basta richiamare Bergamo per spiegare ciò che sta accadendo in queste ore.