E' stata una minuscola traccia di Dna rinvenuta dai carabinieri sui pantaloni di Paolo D'Amico - il dipendente dell'Asm di 55 anni trovato morto il 24 novembre 2019 nel garage della casa dove abitava da solo, nelle campagne tra Barisciano e S. Gregorio - a incastrare il suo presunto assassino. Si tratta di Gianmarco Paolucci, 25enne aquilano impiegato come banconista in un supermercato. L'uomo, incensurato, è stato arrestato ieri dai carabinieri su disposizione del gip del tribunale dell'Aquila Guendalina Buccella. Interrogato, si è avvalso della facoltà di non rispondere. In questo momento è rinchiuso nel carcere di Frosinone, accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi.
I dettagli delle indagini sono stati illustrati in conferenza stampa dal capo della procura dell'Aquila Michele Renzo, dal pm Simonetta Cicarelli, da Nazareno Santantonio e Edoardo Commandè, rispettivamente colonnello e maggiore dei carabinieri dell’Aquila, che hanno condotto l’inchiesta.
Il movente dell'omicidio, secondo gli inquirenti, potrebbe essere legato al micro spaccio di droga. Nel garage del casolare, infatti, vennero trovati, oltre al corpo della vittima, circondato da una pozza di sangue, 9 kg di marijuana essiccati e, nell'orto adiacente, una ventina di piante di marijuana alte due metri.
Paolo D'Amico è stato ammazzato con una ventina di colpi di cesello da legno - uno di quelli da egli stesso usati per restaurare mobili antichi, uno dei suoi hobby - sferrati al torace e poi finito a martellate con una mazzetta da cantiere, sempre di sua proprietà.
La traccia di Dna non è stata trovata, però, sopra questi due utensili - che l'assassino, dopo aver usato, ha accuratamente ripulito - bensì sul gambale dei pantaloni della vittima. Segno che D'Amico, subito dopo essere stato assassinato, è stato trascinato per qualche metro, probabilmente perché il suo corpo ostruiva l'uscita del garage (non a caso il fratello e i carabinieri, il giorno del rinvenimento del cadavere, avevano trovato la porta della rimessa chiusa dall’interno).
Ovviamente, il frammento di Dna - proveniente da una traccia di sudore - da solo non bastava a risalire all’identità del presunto assassino.
Mentre andavano avanti le analisi di laboratorio, i carabinieri hanno iniziato a interrogare tutte le persone – un centinaio - che rientravano nella cerchia di contatti di D’Amico. L’operaio dell’Asm era un uomo schivo: celibe, con la famiglia che non risiedeva all’Aquila, viveva da solo, in un luogo appartato, e non aveva amici. Aveva, però, diversi contatti, per lo più acquirenti della marijuana che fabbricava in casa e vendeva. Un giro di spaccio non molto grande e non molto importante, tanto da essere ignoto alle stesse forze dell’ordine. D’Amico era incensurato e sul suo conto, in generale, si sapeva poco.
Il 25enne arrestato, già durante il primo colloquio con le forze dell’ordine, aveva dato una versione dei fatti contraddittoria e piena di incongruenze.
Pur ammettendo la frequentazione di D'Amico, aveva negato di essere un consumatore di marijuana e di trovarsi a casa della vittima il giorno dell’omicidio, che non risale al 24 novembre, giorno del ritrovamento del cadavere, ma a a due giorni prima: D’Amico è stato ucciso tra le 15 e le 19 del pomeriggio. Il suo racconto era stato smentito, però, dall’analisi dei tabulati telefonici, che invece avevano mostrato come il suo telefonino avesse agganciato la cella che si trova in prossimità dell’abitazione di D’Amico.
A quel punto bisognava solo controllare che il Dna dell’arrestato potesse essere compatibile con quello ritrovato sul luogo del delitto. I carabinieri sono riusciti a ottenere il materiale organico da cui ricavare il Dna fermando il 25enne a un controllo stradale e sottoponendolo a un test per misurare il tasso alcolemico. Il Dna estratto dalla saliva è risultato perfettamente compatibile con quello rinvenuto sui pantaloni della vittima.
Il quadro ricostruito dai carabinieri sembra essere abbastanza chiaro anche se restano ancora tante cose da capire, in primis l'esatta sequenza dei fatti.
"Quest'omicidio aveva turbato la convivenza pacifica della nostra piccola comunità" ha sottolineato Michele Renzo "E' stata un'indagine difficile. Eravamo davanti al cadavere di uno sconosciuto. Avevamo solo qualche piantina di marijuana e da lì siamo partiti. Ringrazio i carabinieri per il lavoro svolto, in un'inchiesta che ha richiesto perseveranza e pazienza e che è stata lunga e complicata anche per via dell'emergenza Covid".
"E' stato difficile soprattutto ricostruire la rete amicale e relazionale della vittima" ha spiegato il colonnello Santantonio "una persona schiva, senza relazioni sentimntali né amicizie. E' stato fatto un lavoro intenso, basato su centinaia di interrogatori che poi abbiamo confrontato con gli accertamenti tecnici e scientifici sui reperti trovati sul luogo del delitto".