L’intesa firmata domenica scorsa tra Governo, Regioni e sindacati di categoria (Fimmg, Snami, Smi e Intesa Sindacale) ha dato il via libera definitivo al coinvolgimento dei medici di famiglia nella campagna vaccinale di massa contro il Covid.
L’assessora alla Sanità Nicoletta Verì ha detto che, entro la fine di questa settimana, l’accordo verrà ratificato anche a livello regionale. Un passaggio fondamentale, perché è lì che si definiranno i contenuti di quella che, per il momento, è solo una cornice vuota. E’ in sede regionale, in altri termini, che si stabilirà, per esempio, quale sarà il compenso che spetterà ai medici per ogni dose somministrata e come impostare tutta quanta la parte logistico-organizzativa della campagna.
I nodi da sciogliere restano ancora molti: quali vaccini si useranno? I medici potranno vaccinare nei proprio studi o verranno create strutture ad hoc messe a disposizione da Asl e Comuni? E’ previsto il reclutamento di personale a supporto di quello medico, come infermieri o persone che si occupino di gestire prenotazioni e convocazioni?
I medici, insomma, chiedono una pianificazione precisa e rigorosa, “affinché non si ripeta” dicono “quello che è accaduto con la campagna di vaccinazione antinfluenzale”.
L’incognita più grande, in questo momento, è rappresentata dalla quantità di dosi disponibili: “Nell’incontro che c’è stato la scorsa settimana” spiega Vito Albano, segretario della Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale) della provincia dell’Aquila “la Regione ha detto che in questo momento ce ne sono poche. E’ bene, tuttavia, che iniziamo a organizzarci e che gli aspetti logistici vengano definiti fin da subito, in maniera tale che quando i vaccini arriveranno non dovremo perdere altro tempo. Per questo andrebbero attivati subito dei tavoli”.
Molto dipenderà anche dal tipo di vaccino che verrà utilizzato: “Un conto è fare un vaccino antinfluenzale” dice un altro medico, Luigi Giallonardo “un conto è somministrare un vaccino come Pfizer, che, com’è noto, ha bisogno di una catena del freddo con dei requisiti precisi e che ora viene preparato in dosi dai farmacisti dell’ospedale”.
L’ideale, ragiona Vito Albano, sarebbe il vaccino Johnson&Johnson, che è monodose e necessita di una conservazione più semplice: “Sembra anche che sia quello che causa reazioni più lievi perché non è un vaccino a Rna messaggero ma basato su un adenovirus che non causa particolari problemi di salute. Ma non sappiamo ancora quando lo approveranno”.
I medici di famiglia, in tutto l‘Abruzzo, sono circa mille ma non tutti hanno ambulatori adatti a diventare centri vaccinali contro il Covid. Non tutti, poi, hanno studi strutturati da poter gestire tutte le fasi della campagna, dalle prenotazioni alla convocazione delle persone da vaccinare al loro monitoraggio dopo la somministrazione delle dosi. “La Fimmg ha preparato una piattaforma nazionale per le prenotazioni” osserva Albano “Per quanto riguarda il personale, gli studi associati in gruppo sono avvantaggiati ma chi non lo è si troverà in difficoltà”.
“Sarebbe opportuno” afferma Giallonardo “che la Asl o i Comuni ci mettessero a disposizione degli spazi. Lo avevamo chiesto anche per la campagna dell’antinfluenzale ma non ci sono stati fati. All’Aquila penso per esempio al polo di Collemaggio, dove ci sono alcune palazzine agibili che, anche se abbandonate da un po’, potrebbero essere messe a posto in tempi brevi. Vaccinare in strutture appositamente create ci consentirebbe anche di fare delle turnazioni, perché è chiaro che dovremo vaccinare fuori dagli orari di ambulatorio. Vaccinare negli studi presenta dei problemi, dai possibili assembramenti che potrebbero crearsi al fatto che tanti studi non dispongono di stanze dove tenere in osservazione i pazienti”.
C’è chi, come il dottor Antonio Altamura, che esercita da tanti anni nel Comune di Scoppito, sottolinea la necessità di affiancare ai medici personale infermieristico. Una misura che, secondo Altamura, non dovrebbe limitarsi all’emergenza ma dovrebbe diventare permanente, strutturale. Se ne parla da anni. Lo scorso anno il Decreto Rilancio ha istituito anche la figura dell’infermiere di comunità. Le Regioni avrebbero dovuto assumerne 10mila, così da rinforzare anche le Usca, ma finora la legge non ha prodotto i risultati sperati. "Noi siamo disposti a lavorare a qualsiasi ora del giorno e della notte, se ce ne sarà bisogno” afferma Altamura “Ma oggi come oggi noi medici di medicina generale viviamo in uno splendido isolamento. Invece mai come adesso bisognerebbe fare gioco di squadra. La presenza degli infermieri è fondamentale, così come sarebbe importante, a mio avviso, coinvolgere anche l’università, gli specializzandi, gli studenti. Siamo in un’emergenza, non si può ragionare come se fossimo in tempo di pace. Ed è anche ora che certi paletti che ci sono stati finora saltino. Per fare le cose bene e in sicurezza per i pazienti, c’è bisogno di personale. Altrimenti fare i vaccini in assenza di queste condizioni potrebbe anche diventare pericoloso”.