Un anno dopo.
Era il 10 marzo 2020 e l'Italia si ritrovava in lockdown. "Ho un ricordo nitido di quella serata: da allora, sono tornato a casa dopo una settantina di giorni. Nessuno di noi poteva immaginare che la pandemia, che sicuramente si preannunciava dura, sarebbe durata così a lungo. Rispetto all'anno scorso, però, abbiamo qualche elemento di ottimismo: allora non sapevamo quando avremmo avuto un vaccino, oggi stiamo vaccinando tante persone e c'è la prospettiva di potere uscire dalla pandemia nel medio periodo".
A dirlo è Alessandro Grimaldi, primario del reparto di Malattie infettive dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila.
Un anno dopo, si discute di ulteriori misure restrittive da introdurre, magari nel fine settimana, per frenare la curva dei contagi che è tornata a fare paura. "Lo dico con dispiacere ma credo che sia necessario", sottolinea Grimaldi; negli ultimi fine settimana, abbiamo assistito a troppi assembramenti: mi tornano in mente le immagini dei Navigli a Milano, di piazza Muzii a Pescara, del corso all'Aquila. Troppa gente in giro, troppe persone a distanza ravvicinata e, in qualche caso, con le mascherine abbassate o addirittura prive di dispositivi di protezione individuale. Atti di vera e propria irresponsabilità".
Occorre uno sforzo da parte di tutti, tiene a sottolineare Grimaldi: "Abbiamo una grande opportunità, i vaccini: certo, dobbiamo sperare che arrivi un numero sufficiente di dosi ma stiamo mettendo in campo un sistema organizzativo enorme, è la prima volta che si fa una campagna di vaccinazione di massa così imponente; per questo, occorre un ulteriore sacrificio: dobbiamo stringere i denti in questi ultimi mesi per dare la possibilità alle strutture sanitarie di respirare. In altre parole, dobbiamo dare il tempo alle Asl di vaccinare il maggior numero possibile di persone per raggiungere l'immunità di gregge che ci consentirà di tornare ad uno stile di vita non dico pre-covid ma più normale, alla vita che facevamo prima sebbene con qualche precauzione in più".
D'altra parte, i dati continuano a dirci che il virus circola con maggiore intensità; e se nelle ultime settimane la situazione si è fatta drammaticamente critica nell'area metropolitana di Chieti-Pescara, anche in provincia dell'Aquila il numero di contagiati è tornato a salire oltre i livelli di guardia. "In autunno nell'aquilano abbiamo avuto una vera e propria esplosione: ricordo che siamo passati dai 400 casi circa di positività della prima ondata a 12.500 casi nel giro di due o tre mesi; abbiamo subito un'ondata enorme che è costata cara: purtroppo, ci sono stati un centinaio di decessi. Abbiamo dovuto sopportare un sovraccarico imponente sulle strutture sanitarie, il sacrificio degli operatori è stato immenso. Alla fine ne siamo usciti, e credo a testa alta. Per non ripetere quella esperienza però che, in questo momento, sta sopportando l'area metropolitana di Chieti-Pescara, dobbiamo essere tutti più responsabili altrimenti non ne usciremo, e sarà un danno permanente per l'economia. E' evidente che speriamo di tornare alla normalità il più presto possibile: dobbiamo evitare, però, di condurre la campagna di vaccinazione con 30-40mila contagiati al giorno, come accaduto in Inghilterra. La ricetta è semplice: dobbiamo cercare di tenere sotto controllo la curva delle infezioni e, nel frattempo, vaccinare il più possibile".
Con una avvertenza, però: il problema è globale e non si può pensare di risolverlo a livello regionale, nazionale o addirittura continentale. "Se nel medio periodo riusciamo a vaccinare gli europei vaccinati ma gli africani, o gli asiatici, non lo sono è chiaro che il virus continuerà a circolare; considerato che non si possono certo chiudere le frontiere tra i paesi, è evidente che si correrebbe il rischio di nuove varianti che magari potrebbero sfuggire al controllo. Per questo, serve uno sforzo enorme per rendere il vaccino disponibile a tutti, anche ai paesi più poveri: qui non esistono frontiere, esiste un problema globale che va affrontato rendendo il vaccino disponibile per tutti. C'è un problema di produzione, certo: ebbene, gli Stati si debbono attrezzare per produrre i vaccini laddove non ci siano brevetti propri sotto licenza. E' verosimile che riusciremo ad uscirne come paesi più ricchi nel giro di pochi mesi ma la pandemia sarà un ricordo soltanto quando il vaccino verrà reso disponibile per tutti, come accaduto in passato, e mi viene in mente la polio che siamo riusciti a sconfiggere".
Jonas Salk, l'inventore del vaccino della polio nel 1954, non volle le royalties del brevetto; disse: 'non si può brevettare il sole'. "Dunque, finanziamo le case farmaceutiche, remuneriamole per le spese sostenute, ma poi rendiamo il vaccino disponibile per tutti", ribadisce Grimaldi.
D'altra parte, è quasi certo che dovremo vaccinare la popolazione ogni anno: "abbiamo visto che il virus muta, evolve, e dovendo fare un paragone con l'influenza è probabile che, ogni anno, ci dovremo attrezzare per valutare se ci sono diverse varianti di virus contro le quali immunizzarci. Magari a quel tempo, però, avremo tanti siti vaccinali con bioreattori per produrre il vaccino. Spero e me lo auguro. L'Europa, ma tutti gli stati avanzati, dovranno dotarsi di siti industriali per la produzione di vaccini; questa industria sarà strategica, nei prossimi anni".