Lunedì, 22 Marzo 2021 11:27

L'Aquila, lettera aperta di uno studente del 'Liceo Classico': "Vorremmo che la classe politica si ricordasse del nostro esempio come monito"

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Lettera aperta di Leonardo Manna, V A Liceo classico 'D.Cotugno' L'Aquila pubblicata su facebook dalla dirigente scolastica Serenella Ottaviano

 

Odiamo lamentarci, odiamo fare le vittime, ma è forte in noi, in questi giorni, che ci avvicinano alla fine del liceo, la volontà di ripensare al nostro percorso scolastico.

A 6 anni, ignari di ciò che ci sarebbe successo nei successivi 13, contenti e felici iniziamo la prima elementare, ma ad aprile il nostro percorso scolastico si interrompe per via del terremoto, quindi siamo costretti a cambiare città e a non finire l’anno, o a finirlo sotto le tende. Da quel momento in avanti passeremo gli 8 anni successivi della nostra formazione scolastica a studiare in un MUSP.

Gli anni passano veloci, tra costruzione della cultura e ricostruzione della città fin quando arriva il primo superiore, il liceo classico, un luogo da noi apprezzato, stimato e verso il quale provavamo e proviamo una sorta di devozione. Ignari di ciò che sarebbe avvenuto, iniziamo a studiare in una scuola in cui si riunivano gli studenti di vari indirizzi, piena di iniziative, dotata di laboratori, palestra ed aula magna. Finalmente dopo elementari e medie nei MUSP, potevamo studiare in una scuola che aveva il diritto di chiamarsi tale. Purtroppo a gennaio del primo anno si viene a sapere che il nostro edificio non è a norma sismica, gli studenti protestano e per un mese non si va a scuola, cambiamo sede e passiamo il mese successivo nell’edificio dell’Itis, ma andando a scuola di pomeriggio (un’esperienza infernale), infine si torna nella sede abbandonata, in aule che sembravano essere sicure, tra il malcontento di un corpo studentesco che si era battuto per 2 mesi e ora era stanco e avrebbe fatto di tutto per un po’ di normalità.

Dalla fine del primo anno ci viene ogni volta promesso che “a settembre torna tutto alla normalità”, le amministrazioni si susseguono giocando ad un curioso sport: una sorta di staffetta senza fine in cui al posto del testimone si passa un candelotto di dinamite, ma del resto ci è stato detto che sarebbe tornato tutto alla normalità a settembre, mica ci è stato specificato l’anno.

A inizio del terzo anno veniamo spostati in un MUSP, di nuovo, nel quale ci eravamo rassegnati a passare il resto del nostro percorso scolastico.

Ci dispiaceva, ci ritenevamo sfortunati… che ingenui: il peggio viene sempre dopo.

Marzo 2020, metà del quarto anno di liceo, non credo ci sia nulla da dire, tutti voi sapete cosa è successo: scoppia la pandemia di Coronavirus, e siamo costretti alla didattica a distanza, una forma di apprendimento nuova e fallimentare, per via delle troppe distrazioni ma soprattutto della mancanza di rapporti umani tra studenti e professori, che non crediamo di sbagliare se definiamo “disumana e disumanizzante”.

Alla fine del quarto anno saremmo dovuti andare in gita in Sicilia e alla fine del quinto in Grecia, ma tutto ciò ci è stato impedito, niente 100 giorni, niente compleanno dei 18 anni. Ci stiamo vedendo strappare via dalle mani il periodo che tutti gli adulti ricordano come il più bello della loro vita. Stiamo vedendo sinistrata la nostra formazione scolastica, giunta al suo culmine.

Nonostante le inadempienze di alcuni, nonostante le avversità della sorte, nonostante la fragilità delle nostre vite, la nostra scuola ha reagito. Tutti noi studenti, Con la guida di un corpo docenti coeso e stimolante, abbiamo dimostrato una resilienza senza pari. Ci siamo aggrappati a tutto ciò che di positivo potevamo scovare in un’adolescenza negata come la nostra. Pur non avendo a disposizione i luoghi adatti, abbiamo portato avanti diversi progetti in modo da rendere il nostro percorso scolastico il più accattivante possibile. Teatro, giornalino scolastico, concorsi nazionali, questi sono stati i nostri attimi di felicità.

Come diceva Seneca, “le difficoltà rafforzano la mente così come i lavori irrobustiscono il corpo”.

A questo punto crediamo di aver trovato fin troppi ostacoli nel nostro percorso formativo, sentendoci talvolta svantaggiati rispetto a tanti nostri coetanei provenienti da altre città.

Vorremmo solo che la classe politica si ricordasse del nostro esempio come monito per impedire alle generazioni che verranno di subire ciò che abbiamo patito noi nati nel 2002. A settembre prossimo noi non ci saremo, ci piacerebbe però sapere che quelli che restano possano concludere il loro corso di studi in una struttura “normale”: l’eccezionalità la faranno alunni e docenti. Ne siamo orgogliosamente certi. 

Ultima modifica il Lunedì, 22 Marzo 2021 13:06

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