Una vicenda gravissima che getta un'ombra, l'ennesima, sulla gestione della Asl 1; è la storia di un'assistente sociale, operante presso il Consultorio di Civitella Roveto, reintegrata nel suo diritto al lavoro dal Tribunale di Avezzano, dopo essere stata discriminata nel rinnovo contrattuale perché incinta.
Il Giudice del Lavoro ha intimato all'azienda sanitaria della provincia dell'Aquila di prorogargli il contratto a tempo determinato per ulteriori 6 mesi; l'incarico infatti, in scadenza il 27 ottobre scorso, non era stato rinnovato per un atto che viene definito in sentenza "disciminatorio". La donna era in interdizione obbligatoria dal lavoro essendo in stato di gravidanza: per questo, scaduto il contratto di 6 mesi, nonostante il Responsabile Consultoriale dell'Area Marsica avesse chiesto alla Direzione della Asl di prorogarlo, l'azienda ha deciso di non adempiere alla richiesta.
Un comportamento censurato duramente dal Giudice del Lavoro.
Un passo indietro.
L'assistente sociale aveva firmato un contratto a tempo determinato con la Asl 1 il 28 aprile 2020, con scadenza il 27 ottobre 2020; il 25 settembre scorso, il Responsabile U.O.S.D. Consultoriale dell'Area Marsica, avvicinandosi la scadenza del contratto dell'operatrice e di un suo collega, operante a Tagliacozzo, ha chiesto alla Direzione della ASL di prorogare il rapporto di lavoro delle due figure , per motivi di necessità e urgenza; tuttavia, solo il contratto dell'assistente sociale operante a Tagliacozzo è stato rinnovato: per la donna che, in quel momento, era in interdizione obbligatoria essendo incinta, è stato stabilito - si legge in una nota prot. 0235437/20, a firma del Direttore dell’UOC del Personale - "di non disporre la prosecuzione dell'incarico a tempo determinato, in luogo della maternità, di cui al d.Lgs. n. 151/2001, che in base alla documentazione in atti, risulta attivata nel confronti della S.V. medesima fino al 22/01/2020".
Dalle interlocuzioni che ne sono seguite, è emerso che l'azienda non stava procedendo alla proroga dei contratti in scadenza per il personale che risultava assente; tuttavia, l'operatrice non era assente bensì in maternità.
Sta di fatto che l'assistente sociale ha inviato una diffida alle figure apicali dell'azienda sanitaria osservando come la determina, ostativa della prosecuzione del rapporto di lavoro, fosse illegittima in quanto discriminatoria, e ha chiesto alla Asl 1 di deliberare la proroga del suo rapporto di lavoro. Per tutta risposta, il 27 gennaio scorso, con una nota, il Direttore Generale della ASL 1, Roberto Testa, e il Direttore del personale, Enrico D’Amico, hanno inteso difendere l'operato dell'azienda, spiegando che la mancata proroga - a loro dire - non era dovuta allo stato di gravidanza e che l’azienda, comunque, non era tenuta a dar seguito alle richieste dei dirigenti delle articolazioni aziendali, né a motivare atti che non rispondessero a deliberazioni assunte nell’ambito della propria discrezionalità tenuto conto dei vincoli di bilancio.
Pure fosse vero, non si spiega come mai l'operatrice non sia stata presa in considerazione neanche successivamente, allorquando l'azienda ha proceduto con altre assunzioni scorrendo la graduatoria e, di fatto, ignorandola, andando a pescare professionisti che avevano un punteggio inferiore.
Dunque, l'assistente sociale ha denunciato la Asl che, per tutta risposta, si è difesa sottolineando "l’insussistenza di un diritto soggettivo del lavoratore alla proroga del contratto a tempo determinato; che la proroga del contratto dell’assistente sociale operante a Tagliacozzo era stata decisa per aver verificato l’urgenza e la necessità di prolungare l’assistenza sociale nell’area; che nell’ufficio ove aveva prestato assistenza la ricorrente non era stato più assegnato altro assistente sociale; che lo stato di gravidanza non aveva alcun ruolo nella decisione di non formalizzare un nuovo contratto; che, peraltro, la ricorrente aveva contestato la comunicazione di fine incarico solo nel gennaio 2021, ovvero quasi al termine del congedo di maternità".
Ragioni che non hanno convinto affatto il Giudice del Lavoro che ha accolto il ricorso della donna.
"Non è in questione l’esistenza o meno di un diritto soggettivo, in capo alla ricorrente, ad ottenere una proroga del contratto a termine in scadenza al 27.10.2020 - ha spiegato il Giudice - bensì la sussistenza di un comportamento discriminatorio della Asl che, pur riconoscendo sussistere l’esigenza della proroga dei contratti a tempo determinato stipulati con le unità di assistenti sociali dell’Area Marsica, tuttavia, la concedeva soltanto all'operatore di Tagliacozzo, pretermettendo, invece, la ricorrente a causa del suo stato di gravidanza, o comunque a causa della sua assenza per la fruizione del congedo di maternità".
A tale proposito, viene ricordato in sentenza, recente giurisprudenza di legittimità ha affermato che "il mancato rinnovo di un contratto a termine ad una lavoratrice che si trova in stato di gravidanza può integrare una discriminazione basata sul sesso, atteso che - a parità della situazione lavorativa della medesima rispetto ad altri lavoratori e delle esigenze di rinnovo da parte del datore di lavoro, anche con riguardo alla prestazione del contratto in scadenza della stessa lavoratrice, esigenze manifestate attraverso il mantenimento in servizio degli altri lavoratori con contratti analoghi – ben può essere significativo del fatto che le sia stato riservato un trattamento meno favorevole in ragione del suo stato di gravidanza".
Né vale invocare l’esercizio di un potere discrezionale circa l’opportunità di disporre il rinnovo (o la proroga) di un contratto in scadenza e dedurre che il lavoratore può, al più, vantare una mera aspettativa di per sé non giuridicamente tutelata. "Pur nell’ambito dell’esercizio di un potere discrezionale - sottolinea il Giudice - è, infatti, possibile verificare se sia stato riservato un trattamento meno favorevole, a parità di situazioni, ad una lavoratrice in ragione del suo stato di gravidanza".
Ancor prima che nel diritto nazionale, la gravidanza, la maternità e la genitorialità trovano tutela in ambito comunitario. L’art. 157 TFUE sancisce l’obbligo della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile e stabilisce un fondamento giuridico generale per l’adozione di misure riguardanti l’uguaglianza di genere, incluse la parità e la lotta alla discriminazione sulla base della gravidanza o della maternità sul luogo di lavoro. L’art. 33, paragrafo 2, della Carta dell’UE afferma che: “Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l'adozione di un figlio”.
Anche la Corte di Giustizia ha contribuito notevolmente all’evoluzione della materia in questione. In particolare, la Corte ha enunciato il principio secondo cui “qualora il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato sia motivato dallo stato di gravidanza della lavoratrice, esso costituisce una discriminazione diretta basata sul sesso”, incompatibile con il diritto dell’U.E.
Nel nostro ordinamento interno, il D.Lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) si è specificamente occupato del comportamento discriminatorio fondato sul sesso ed ha promosso, sul piano sostanziale, le pari opportunità di carriera e di lavoro tra i sessi. Il D.Lgs. n. 5/2010 ha, poi, dato attuazione alla direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego.
L’art. 25, comma 1, del Codice delle pari opportunità prevede che: “Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga”. Il comma 2 del medesimo articolo stabilisce, poi, che: “Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari”.
Il successivo comma 2-bis, aggiunto dall’art. 1, comma 1, lettera p), numero 2), del D.Lgs. n. 5/2010, dispone che: “Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti”.
Quel che rileva, dunque, è che in presenza di situazioni analoghe sia stato posto in essere un atto o un comportamento pregiudizievole e comunque sia stato attribuito un trattamento meno favorevole ad una lavoratrice in ragione del suo stato di gravidanza.
Quanto alla concreta dimostrazione di una situazione di tal genere, si osserva che l’art. 40 del Codice delle pari opportunità prevede che: “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione”. Insomma, è il datore di lavoro che deve dimostrare "le circostanze inequivoche, idonee ad escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria della condotta, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione".
E la Asl 1 non ha potuto dimostrarlo.
D'altra parte, non solo il collega operante a Tagliacozzo, pur trovandosi nella medesima situazione contrattuale della ricorrente, ha beneficiato della proroga del suo contratto di lavoro a tempo determinato per ulteriori 6 mesi, ma anche altri 7 colleghi in scadenza del termine contrattuale, anch’essi nel profilo professionale di assistente sociale, hanno beneficiato della proroga del termine. Per di più, con deliberazioni del Direttore Generale n. 2017 del 13.11.2020 e n. 2363 del 31.12.2020, la Asl 1 ha proceduto all’assunzione a tempo determinato di ben 9 unità con profilo di assistente sociale (cat. D), di cui due segnatamente nell’Area Marsica.
Per queste ragioni, il Giudice ha ordinato alla Asl 1 "la cessazione della condotta discriminatoria accertata e la rimozione dei suoi effetti, con conseguente concessione della proroga per 6 mesi del contratto a tempo determinato scaduto il 27.10.2020"; ha condannato l'azienda al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, "della somma corrispondente alle retribuzioni perdute nel periodo dal 28.10.2020 al 28.4.2021, commisurate all’ultima retribuzione onnicomprensiva lorda, comprensiva della quota di tredicesima, t.f.r. e contributi previdenziali, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali ex art. 1284, comma 1, c.c., dalla maturazione di ogni singolo credito al saldo". L'azienda sanitaria è stata inoltre condannata "al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in complessivi € 2.965,50, di cui € 118,50 per spese effettive ed € 2.847,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese di lite nella misura del 15% del compenso, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore degli avvocati della ricorrente".
Pietrucci: "Discriminazione sessista contro una lavoratrice. La gestione della ASL1 ha passato il segno"
"L’ennesima vergogna che macchia la gestione della nostra Azienda Sanitaria porta lo stigma della discriminazione sul lavoro di stampo sessista. Sarebbe bastata la semplice conoscenza delle leggi, la normale e corretta applicazione del contratto o forse semplicemente il buon senso per evitare questa figuraccia che – per quanto mi riguarda – avrà pesantissime conseguenze".
A dirlo è il consigliere regionale del Pd, Pierpaolo Pietrucci.
"Se il Direttore generale (e con lui il Direttore del Personale) crede che la questione si risolva adeguandosi alla sentenza del Giudice del Lavoro e scusandosi pubblicamente con la lavoratrice interessata, si sbaglia di grosso. Andrò fino in fondo perché questo vergognoso comportamento aggiunge disdoro e umiliazione alla gestione della ASL1. Si somma all’infinita sequenza di errori, incapacità, sudditanza al potere politico della destra, ritardi, inefficienze, confusione e problemi che il Manager ha dimostrato dal primo giorno del suo insediamento e che con la pandemia si sono amplificati a dismisura. Anche per realizzare un Hub vaccinale decente – in cui verrà accolto il Commissario Figliuolo e il capo della Protezione Civile Curcio – c’è voluta la protesta, l’indignazione e il disagio delle centinaia di utenti accalcati nell’attesa al sole o alla pioggia nella precedente, inadeguatissima struttura di via Ficara".
Insomma, "sembra che il Direttore generale di sua spontanea volontà non ne imbrocchi una giusta. La notizia di oggi, dell’assistente sociale reintegrata nel suo diritto al lavoro dopo essere stata discriminata nel rinnovo contrattuale perché incinta, davvero è la 'piccola' grande goccia che fa traboccare il vaso. Dimostra platealmente l’ignoranza amministrativa e, mi viene da dire, la 'cattiveria' con cui si gestisce l’Azienda e tratta il personale sanitario. Forte coi deboli e debole con i forti: questa sembra essere l’indole del dott. Testa. Mi batterò in ogni sede perché questa gestione fallimentare abbia fine e i cittadini, il personale medico, le istituzioni locali, l’intera comunità aquilana possa finalmente tornare a dialogare e collaborare con un Direttore generale capace e all’altezza del suo compito. E mi batterò anche per rispetto della giovane assistente sociale marsicana che tornerà in servizio (per 6 mesi!) al Consultorio di Civitella Roveto, che è diventata mamma e a cui faccio tutti i miei più affettuosi auguri".