L’Italia brucia.
Da settimane, ormai, centinaia di incendi stanno divorando ampie porzioni della Penisola raggiungendo in alcuni casi, come in Sicilia, Sardegna, Calabria e Abruzzo, estensioni raramente osservate prima d’ora.
Dai roghi del Montiferru scoppiati lo scorso 25 luglio a quelli abruzzesi delle province dell’Aquila e Pescara, sino al numero impressionante di incendi divampati dal Catanese al Palermitano, per arrivare agli ultimi roghi nel teramano e ai 15 ettari di territorio bruciati ieri tra Montereale e Barete, siamo di fronte al moltiplicarsi di eventi definiti 'estremi', poiché superano la capacità di controllo, con un’intensità superiore ai 10.000 kW/m e una velocità di propagazione oltre i 3 km/h.
Una tendenza preoccupante che fa il paio con l’aumento rilevato anche per il 2020 del numero dei fenomeni incendiari in tutto il territorio nazionale, come rivelano i nuovi dati elaborati da Legambiente in un’anticipazione del rapporto Ecomafia 2021.
Tra incendi dolosi, colposi e generici, lo scorso anno in Italia sono stati percorsi dalle fiamme 62.623 ettari di superficie boscata e non boscata (+18,3% rispetto al 2019): 4.233 i reati accertati (+8,1%), 552 le persone denunciate per incendio doloso e colposo (+25,2%), 18 quelle arrestate (+80%), 79 i sequestri effettuati (-29,5%). Ben l’82% della superficie bruciata e il 54,7% dei reati si concentrano tra Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, seguite a poca distanza dal Lazio. Con la Campania, nello specifico, che primeggia per numero di illeciti (705, il 16,7% del totale nazionale) e la Sicilia per numero di ettari distrutti dalle fiamme (36.321, il 13,7%).
La classifica provinciale degli incendi scoppiati nel 2020 vede invece ai primi cinque posti per numero di reati accertati Cosenza, Salerno, Palermo, Foggia e Potenza.
Un numero di illeciti che nel complesso continua ad aumentare e che si somma agli 81.464 già accertati sul territorio nazionale tra il 2006 e il 2019.
Quello degli incendi, che puntualmente ogni estate si abbattono con intensità e danni sempre maggiori soprattutto sulle regioni del Centro-Sud (e su quelle che tradizionalmente primeggiano nelle classifiche sugli ecoreati stilate da Legambiente), è un fenomeno complesso da analizzare e altrettanto difficile da contrastare, di fronte al quale è necessario trovare soluzioni in grado di governare questi eventi estremi in un contesto di cambiamento climatico.
Il primo passo è la completa ed effettiva attuazione della legge 353 del 2000, dedicata proprio agli incendi boschivi, che prevede, insieme al delitto di incendio boschivo doloso (423 bis del Codice penale), vincoli molto stringenti per le aree attraversate dal fuoco: 15 anni senza cambiamenti nella classificazione dei terreni, boschivi o a pascolo; 10 anni di divieto di edificazione; 5 anni in cui sono vietate anche le piantumazioni di nuovi alberi con risorse pubbliche, tranne eccezioni stabilite dal Ministero dell'Ambiente. Un sistema di vincoli che rispecchia alcune delle cause principali degli incendi dolosi e che, per essere efficace, richiede da parte di tutti i Comuni l'aggiornamento del Catasto delle aree incendiate.
Contrastare gli interessi criminali e gli atti dei piromani e degli incendiari non basta se si vuole affrontare seriamente un problema più ampio che investe tutta la filiera della prevenzione, in cui il governo del territorio e la gestione del patrimonio verde devono essere tenuti insieme. Pertanto, SISEF (Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale) e Legambiente hanno elaborato una strategia basata su alcuni punti fondamentali. Una strategia di prevenzione e governo integrato degli incendi.
Anzitutto, occorre un Governo Integrato degli Incendi basato sull’integrazione e il coordinamento a livello regionale e nazionale dei settori dedicati a previsione, prevenzione, informazione, addestramento, lotta, indagine e ricostituzione post-incendio, tenuto conto del fatto che l’elevata separazione delle competenze ha portato a una marcata frammentazione del governo dei roghi. In secondo luogo, il ricorso a piani forestali di indirizzo territoriali, il giusto strumento per definire le aree esposte al pericolo incendi e per individuare quelle dove integrare misure di selvicoltura preventiva con misure per l’attività pastorale e agricola e per la tutela della biodiversità in Parchi Nazionali, Riserve regionali e siti della Rete Natura 2000. C’è poi la necessità di integrare la politica forestale con quella agricola che dev’essere considerata parte della soluzione, con campi coltivati, orti, vigneti e aree pascolate capaci di ridurre l’infiammabilità a scala di paesaggio. Fondamentale, inoltre, regolamentare in tutte le regioni l’uso del fuoco per fini agro-silvo-pastorali, spesso all’origine degli incendi per l’utilizzo inesperto e illegale che ne viene fatto.
Ancora, SISEF e Legambiente chiedono la promozione di programmi sul fuoco prescritto, con investimenti nella formazione di tecnici progettisti e operatori, e l’inclusione del fuoco prescritto nei Piani AIB regionali e nei Piani Forestali di Indirizzo Territoriale. Allo stesso tempo, il ricorso al pascolo prescritto, strumento di prevenzione degli incendi a quasi zero emissioni utile negli ambienti mediterranei, specie in Sardegna dove la risorsa del pascolo può avere molteplici usi anche come strumento di riduzione del carico di combustibile, dunque di selvicoltura preventiva, aumentando l’efficacia di trattamenti come il decespugliamento.
C’è poi il punto, altrettanto fondamentale, della responsabilizzazione e del coinvolgimento dei cittadini nella lotta come nella prevenzione degli incendi: un esempio positivo è quello dei “contratti di responsabilità” sperimentati nel Parco dell’Aspromonte e in altre aree protette, possibile strumento per coinvolgere non solo i volontari ma anche proprietari di fondi, agricoltori e pastori nel governo di territori particolarmente vulnerabili, cui affiancare la responsabilizzazione dei proprietari nella gestione dei terreni adottando i principi dell’autoprotezione dagli incendi.
Essenziali per la comprensione e il governo del fenomeno, l’analisi delle statistiche e l’aggiornamento del catasto incendi: è necessario, in tal senso, migliorare il sistema di raccolta, analisi e condivisione dei dati in Italia, attraverso investimenti tecnologici e semplificazioni normative. Al contempo, servono una pianificazione e una progettazione del ripristino ecologico e funzionale, dato che la ricostituzione post-incendio è una fase delicata del governo del fenomeno.
Per passare da un approccio che rincorre l’emergenza a una strategia di intervento nel post-incendio, è importante definire in fase di pianificazione territoriale le aree a priorità d’intervento e le soluzioni tecniche più adeguate. Infine, occorre una pianificazione urbanistica e incendi: auspicabile che nei prossimi anni la pianificazione urbanistica venga informata dai piani forestali d’indirizzo territoriale che identificano le aree esposte al pericolo incendi.
Altrettanta attenzione deve essere indirizzata alla rete stradale per garantire la sicurezza della logistica dei mezzi di soccorso in caso d’incendi a elevata intensità, come quelli recentemente verificatisi. “Gli incendi sono un fenomeno complesso la cui soluzione necessita un approccio scientifico e la conoscenza delle cause scatenanti – sottolinea Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – Occorre più prevenzione a tutti i livelli a partire dall’informazione e dalla collaborazione dei cittadini, ma anche investimenti in uomini, mezzi e tecnologie innovative. Serve inoltre verificare se tutta la filiera istituzionale e le responsabilità disegnate dalla legge quadro sugli incendi boschivi, la 353/2000, funziona e se viene applicata a dovere anche dopo il passaggio delle competenze dell’ex Corpo Forestale dello Stato ai Carabinieri e ai Vigili del Fuoco. L’aumento dei reati di incendio doloso e colposo, gli ettari di patrimonio boschivo che ogni vanno in fumo mettono a rischio le persone e il capitale naturale del Bel Paese, rischi che aumenteranno per effetto del cambiamento climatico su cui bisogna agire con decisione”.
“Nella lotta agli incendi boschivi per molto tempo ha prevalso la convinzione che investire risorse nello spegnere le fiamme fosse il più importante, se non l’unico, strumento efficace – aggiunge il Professor Renzo Motta, Presidente della SISEF – Oggi finalmente, grazie alle conoscenze scientifiche acquisite e a una maggiore capacità comunicativa del mondo della ricerca, si fa strada anche nell’opinione pubblica e tra i decisori politici la consapevolezza che l’estinzione è, sì, un ingrediente fondamentale del governo degli incendi ma, per essere efficace e sicura, deve essere necessariamente abbinata alla prevenzione. Prevenzione significa diverse cose: poter contare su personale qualificato, dotato di attrezzature idonee e organizzato in strutture coordinate e pronte a risposte immediate; dotare il territorio a rischio incendi di viabilità e infrastrutture di supporto alla lotta attiva (es. viali tagliafuoco); gestire il 'combustibile' (la vegetazione infiammabile come erbe, arbusti, alberi e legna secca) con la selvicoltura preventiva ed il fuoco prescritto in modo da ridurre l’intensità e la velocità del fronte di fiamma e, nello stesso tempo, ridurre il rischio per chi vive nell’area o si impegna nelle operazioni di estinzione. Il ruolo della comunità scientifica – continua Motta – è quindi quello di proporre modalità di gestione corrette del territorio che tengano conto di tutti i servizi ecosistemici erogati dal bosco e degli scenari di cambiamento climatico che, come le ultime estati hanno dimostrato, non possono essere trascurati. Tutto questo però deve essere inserito anche in un contesto di coinvolgimento delle comunità locali e corretta informazione in quanto lo strumento principale di prevenzione e di lotta agli incendi è la creazione di un legame sociale, economico, emotivo tra tutti i portatori di interesse ed il bene bosco”.