Si è scritta di fatto la parole 'fine' sulla vicenda Accord Phoenix, iniziativa imprenditoriale che aveva fatto parecchio discutere sebbene avesse beneficiato di un finanziamento pubblico di quasi 11 milioni di euro. Inutile tornare con la memoria a ciò che è accaduto in questi anni, su NewsTown ce ne siamo occupati diffusamente: dalle ombre sull'assetto societario al trust schermato a Cipro, dai dubbi sulla effettiva disponibilità economica dei soci alle perplessità sulla tenuta dell'azienda in un settore complesso, dai sigilli posti all'area produttiva per lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti pericolosi fino ai 3 milioni di passivo fatti registrare a bilancio nel 2017.
Ora, la Corte dei Conti dell'Aquila ha condannato l'azienda - nel frattempo divenuta Aura spa, con una nuova compagine societaria completamente estranea ai fatti - alla restituzione a Invitalia di quasi 5 milioni di euro relativi ai due stati d'avanzamento lavori già ottenuti dalla vecchia gestione, rappresentata dall'imprenditore anglo-indiano Ravi Shankar, da Francesco Baldarelli e Luigi Ademo Pezzoni, a valere sulle risorse del così detto 4% accordate per l'apertura di uno stabilimento di trattamento e smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) nell'ex polo elettronico dell'Aquila.
"Una iniziativa imprenditoriale progettata e avviata all'insegna dell'improvvisazione - scrive la Corte dei Conti - della inadeguatezza, della disorganizzazione, della violazione di basilari norme di sicurezza, della scarsa trasparenza, della prioritaria attenzione ai ritorni finanziari immediati dei soci e dei soggetti a loro collegati piuttosto che alla solidità del progetto industriale, tanto da rendere credibile l'ipotesi di avere impiegato il contributo pubblico nella creazione di un margine finanziario gestito da dall'amministratore Shankar per remunerare illecitamente se stesso ed altri soggetti non individuabili".
I giudici chiariscono che "il tema non è lo stato di odierna salute di Aura, bensì l'impiego di denaro pubblico a suo tempo erogato alla società che si è dimostrato concretamente incompatibile con il programma vincolante imposto dalla pubblica amministrazione".
Avvalendosi della relazione delle Fiamme gialle e di intercettazioni telefoniche, la Procura contabile e la Sezione Giurisdizionale per l'Abruzzo evidenziano "un atteggiamento più da speculazione finanziaria che volto all'iniziativa imprenditoriale: avviare l'attività, incassare prima possibile i contributi pubblici realizzare il margine desiderato e nulla più. Tutti gli attori di questa vicenda sono stati ispirati da una logica di mero affare più personale che imprenditoriale, amministrando secondo criteri tutt'altro che economici dell'impresa. Men che meno - prosegue il collegio giudicante contabile - sono emersi quali punti cardine cui fare riferimento nel prendere le decisioni, gli interessi della collettività degli operai e di una città, L'Aquila, che comunque si è mostrata fiduciosa nei nuovi investitori".
Una vera e propria mazzata. Non inattesa, però.
Ricorderete che, a maggio 2019, i finanzieri del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza dell’Aquila avevano già dato esecuzione al sequestro preventivo, disposto dalla Procura, di quasi 5 milioni di euro - pari ai finanziamenti già incassati da Accord Phoenix - nei confronti della società e di Ravi Shankar, Francesco Baldarelli e Luigi Ademo Pezzoni, accusati del reato di indebita percezione di contributi statali.
Il provvedimento di sequestro era giunto al termine di complesse indagini delegate dal Sostituto Procuratore della Repubblica dell’Aquila, David Mancini, finalizzate a riscontrare la sussistenza dei requisiti legittimanti l’accesso ai finanziamenti pubblici per il sostegno delle attività produttive e di ricerca. Le indagini svolte dalle Fiamme Gialle avevano evidenziato che per l’acquisizione dei finanziamenti i responsabili della Accord Phoenix avevano falsamente attestato di possedere, tra l’altro, quei requisiti minimi di innovazione tecnologica e di durevole capacità economica previsti dal bando di Invitalia.
Stando alle autorità inquirenti, nessuno dei soggetti appartenenti alla società e coinvolti a vario titolo "aveva la previste ed indispensabili alte professionalità nel settore del riciclo dei rifiuti elettronici e l’intera organizzazione dell’impianto era approssimativa ed improvvisata". In particolare, nonostante le attestazioni prodotte, l’analitica ricostruzione investigativa aveva consentito di riscontrare che la Accord Phoenix non era in possesso del necessario "know how" nello specifico settore del trattamento dei rifiuti, carente di un’adeguata organizzazione e di macchinari ad alta innovazione tecnologica. A leggere uno dei passaggi del dispositivo firmato dal pm David Mancini, si evinceva come infrastrutture hardware e software fossero nient'affatto adatte e addirittura sovrastimate, "del valore accertato di 10 milioni di euro a fronte dei 19 milioni di euro indicati nel business plan".
L’impresa risultava inoltre inadempiente alle disposizioni di legge vigenti in materia di tutela e sicurezza del lavoro.
Non solo.
La politica locale - questa la tesi del pubblico ministero - sapeva delle presunte irregolarità della società sin dal 2016, ma preferì volgere lo sguardo dall'altra parte, facendo sì che l'azienda violasse "l'impegno all'assunzione dei cassaintegrati dell'ex polo elettronico", a vantaggio di "soggetti vicini ai vertici aziendali o ai politici locali, in ossequio a logiche clientelari".
Un passaggio durissimo.
Tali condotte, realizzando gli estremi del reato di indebita percezione di erogazione a danno dello Stato, avevano fatto scattare anche le indagini di natura patrimoniale da parte dei finanzieri, tese alla ricostruzione e alla quantificazione dei beni e delle disponibilità finanziarie riconducibili agli indagati, portando, dunque, all’esecuzione del provvedimento di sequestro di conti correnti, partecipazioni societarie, immobili e macchinari nei confronti della società e dei tre responsabili individuati.
Sono stati così congelati anche gli ultimi due stati d'avanzamento lavori attesi da Accord Phoenix, pari a circa 6.5 milioni di euro.
A garantire la continuità dell'attività produttiva, con l'immissione di liquidità fresca, è stato il fondo americano 'Orchard' che, nel dicembre 2015, era entrato in società con l'allora socio di maggioranza Ravi Shankar e con Francesco Baldarelli rilevando le quote fino a poco tempo prima detenute da un trust cipriota schermato. A quel punto, il fondo ha deciso, però, di acquisire l'intero pacchetto di quote: così, Ravi Shankar e il direttore generale Francesco Baldarelli sono usciti di scena, costretti, di fatto, a cedere la loro parte.
Il fondo 'Orchard' si è affidato, per la gestione, ad una agenzia italiana che cura interessi industriali, col cambio di denominazione in Aura spa a settembre 2020. Da lì sono arrivati i nuovi vertici: il presidente Italo Soncini, già commissario straordinario di Securpol Group; il direttore generale Michele Cartamantiglia; il direttore commerciale Beppe Buonanno.
Come detto, la nuova società non ha nulla a che vedere con la gestione passata e con le inchieste che si sono susseguite in questi anni.