Martedì, 04 Novembre 2014 18:39

Sul reato di tortura e le forze di polizia: una riflessione del Legal Team Italia

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Ospitiamo l'intervento dell'avvocato aquilano Augusto Frezza, membro del Legal Team Italia. Il Legal Team è una costola dell'organizzazione Aed (Avvocati Europei Democratici), che da anni si batte per l'introduzione, nei rispettivi Stati europei, del reato di tortura, oltre che per l'introduzione del numero identificativo degli agenti di polizia in assento antisommossa, di cui si parla spesso in occasione delle manifestazioni di piazza. A tal proposito, l'Aed e il Legal Team, hanno organizzato una raccolta firme da presentare alle istituzioni europee, sulla base di una decisione conforme già adottata dal Parlamento Europeo. Un tema scottante quello dell'abuso di potere da parte delle forze dell'ordine, soprattutto alla luce della sentenza di appello nel processo per la morte in carcere di Stefano Cucchi.

 

di Augusto Frezza* - Le recenti affermazioni dell’avvocato statunitense, Alan Dershowitz, purtroppo oggi indicato come l’astro nascente del mondo accademico-giuridico statunitense, circa il riconoscimento e l’auspicata introduzione negli avanzati ordinamenti di tutti gli occidenti del mondo, del concetto di "tortura democratica", costituiscono un drammatico, aberrante passo indietro per tutta la civiltà giuridica. Dall’auspicata accettazione e codificazione, in ogni regolamento di ogni stato democratico, del reato di tortura, con eterna damnatio della stessa, assistiamo invece alla chiusura di un altro cerchio, disegnato dal martellante assillo dell’emergenza securitaria, amplificata a dismisura con la minaccia di ogni nefandezza, compiuta e da compiersi, in nome di un oltranzismo religioso, dietro la creazione del quale si celano i più oscuri segreti di tanti, troppi servizi di intelligence a far capo da quello, addirittura ammesso, dell’amministrazione statunitense nella recente vicenda dell’ISIS.

L’enunciazione di questo barbaro new deal, ha prodotto fenomeni di accettazione, a tratti entusiastica, in primis in quella larga fetta dell’opinione pubblica statunitense che ha operato una gigantesca opera di rimozione collettiva sulla vergogna di Guantanamo e, a cascata, anche sulle sempre meno indipendenti e fragili democrazie occidentali che, oggi alle prese con il presunto fanatismo jihadista, mostrano di aver perso la saldezza rispetto a certi principi che sembravano ormai acquisiti ed immutabili nei propri ordinamenti.

Il divieto di tortura oltre a nobilitare con la sua presenza i princìpi essenziali del diritto internazionale, rappresenta, per il nostro ordinamento, l’unico caso di incriminazione obbligatoria (cui il Parlamento dovrebbe finalmente adempiere). Quello delle violenze fisiche e morali su persone momentaneamente sottoposte a restrizione della libertà è, infatti, l’unico caso in cui, addirittura, il costituente ha previsto un intervento (art. 13 co. IV Cost.) del legislatore per far sì che si ricorra alla sanzione penale proprio per proteggere la persona “sottoposta a restrizione di libertà” da violenze perpetrate abusando di un potere che, altrimenti, abbatterebbe i principi dello stesso stato di diritto! Viceversa, questa aberrante codificazione della tortura ci precipiterebbe nella contraddizione giuridica di “un potere di esercizio della violenza” che, se esercitato nel nome delle istituzioni democratiche, diventa unicamente arbitrio e sopraffazione, non più riparazione di un vulnus ma, unicamente, risposta violenta e autoritaria ben più grave della più esecranda azione commessa da singolo o moltitudine che sia. La risposta dello stato, delle istituzioni, dei pubblici ufficiali al diritto violato che possa essere unicamente speculare, vendicativa e di rimando, supera perfino il biblico occhio per occhio per andare ad innestarsi nell’ottica della rappresaglia di Stato alla quale né possiamo né dobbiamo più riconoscere dignità e validità neppure in presenza dell’efferatezza più odiosa.

Il divieto di tortura costituisce spartiacque insuperabile nel monopolio, pur presente, di quel quid che possiamo anche definire lecito di “forza esercitata” da parte dello stato: il potere di polizia e il potere punitivo sono da considerarsi legittimamente esercitati solo e se non si risolvano nell’abuso della condizione di privazione della libertà in cui versa chi vi sia sottoposto. Sono passati ben due secoli e mezzo da quando Cesare Beccaria definiva la tortura come l’infame crogiuolo della verità! In una oscura fase della storia del diritto in cui si arrivava a definire: giudizio di Dio le prove del fuoco e dell’acqua bollente! Per intere generazioni di studenti di Franco Cordero, quella ossessione per la “Storia della colonna infame”, che fuoriesce da ogni pagina della sua procedura, è diventata la propria ossessione. Agli “infami untori” vengono spezzate scientificamente: mani, braccia e ginocchia, “disarticolati”; diventati povere marionette (esattamente quello era lo scopo) e così conciati, vengono portati in macabra sfilata e che la comunità oltraggiata, in questa orgia di vendetta-punizione-espiazione-esibizione, ritrovi la sua anima, trionfi la pax christiana sulle forze del male, torni la violata armonia. Poco importa se hanno confessato l’inconfessabile ponendo, finalmente, fine al proprio massacro! Questa oscena genesi storica e simbolica della tortura in funzione di un ri-equilibrio, mentre si inquadra perfettamente nel rapporto divinità-seguace o tiranno-suddito, finisce per porsi in una insopportabile contraddizione intrinseca quando i soggetti di quel rapporto sono, invece, il cives, cittadino (privato della libertà) e lo stato democratico di diritto che, anche in nome del cittadino sovrano, seppur momentaneamente ristretto, persegue interessi pubblici! Ben si intende come l’idea della tortura, accolta, codificata ed esercitata, diventi ancor più intollerabile! L’abuso di potere è, dunque, il connotato essenziale della tortura: consente al pubblico ufficiale di infliggere alla vittima un trattamento iniquo e degradante. In questo smarrirsi del senso della pena, la stretta cella o l’odiosa camera degli interrogatori non è dissimile dall’osceno, ostentato simbolismo nella spettacolarizzazione della più sanguinosa pena possibile all’adultera, all’omosessuale, al ribelle, al reo o presunto tale in certe dittature e petromonarchie! L’esibizione del potere assoluto e illimitato.

La presenza del reato di tortura, qualificato come tale, è una garanzia contro la degenerazione dell’autorità in violenza. Del diritto in mera forza bruta. Del potere in arbitrio. La vendetta di stato, la restitutio di un colpo tal quale, l’occhio per occhio, sono concetti che non devono più trovare diritto di cittadinanza in nessun ordinamento. Figuriamoci nel nostro che fu culla di princìpi e ispiratore di ogni moderno stato di diritto. Dal riconoscimento del divieto di costrizione incardinato nel latinissimo “nemo ad factum cogi potest” o dall’anglosassone “non metteremo le mani su di te” scolpito nell’habeas corpus alla regolamentazione della “tortura democratica” ne è passata di acqua sotto i ponti e di nuovo, oggi, abbandona il consueto fluire per tornare indietro e risalire l’alveo della storia del genere umano fino a certe bibliche e sanguinarie dispute basate sulla vendetta del più forte, sul massacro del vinto! Ci auspichiamo che, finalmente, anche il nostro ordinamento riesca ad assolvere agli obblighi internazionali e, si badi bene, costituzionali, cui è inadempiente ab origine ed introduca come “reato proprio” l’esercizio della tortura cioè, repetita juvant, commesso da chi dovrebbe rappresentare lo stato stesso e non tradirlo esercitando un abuso, un arbitrio, una violenza cieca e insensata.

I chiari di luna non ci confortano: in primis per la scelta fatta in commissione giustizia circa la qualificazione giuridica: reato comune. Un’interpretazione intollerabile. Il reato è proprio e deve essere ascritto in capo alla responsabilità del pubblico ufficiale. Che proprio in quanto tale vedrà la specificità della sussunzione del suo agire in una certa responsabilità penale ben distinta da quella che si instaura in capo agli appartenenti ad organizzazioni criminali. Volendo fare della filosofia possiamo addirittura affermare che auspichiamo questa sussunzione anche come guarentigia per gli stessi esponenti dello stato, delle forze dell’ordine, l’art 13 Cost. non permette interpretazioni di comodo. L’incredibile attualità del messaggio di Cesare Beccaria che rifletteva su come la cancellazione stessa del concetto di tortura avrebbe comportato il superamento di una sorta di posto di blocco per l’umanità intera è sotto i nostri occhi oggi e possiamo ben immaginare quanto fosse rivoluzionario allora. In anni cupi e neri della nostra storia. Eppure anche in epoche più recenti, sotterranea e silenziosa, è riuscita ad introdursi, subdolo serpente, l’oscena idea della tortura che, se oggi macchia la reputazione di Dershowitz, nei cosiddetti anni di piombo fu ben presente persino in certe procure oltre che in molte, troppe caserme. E ancora più recenti anni per trovare uno spezzone di umanità, ferito dalla furia cieca e ottusa della repressione di istanze sociali, silente e terrorizzato chiedere un colloquio con un avvocato o quantomeno un po’ d’acqua per ricevere in cambio sevizie e umiliazioni nei corridoi delle caserme di Genova! Il mostro della violenza, della sopraffazione e della tortura “lecita” sembra quasi divertirsi a fare capolino ora qui ora lì tra le pagine della storia del genere umano, rimettendo in discussione princìpi acquisiti, ribaltando certezze giuridiche, facendosi beffe delle Cassandre di turno che mettono in guardia contro le derive autoritarie che nascono da certi pericolosi enunciati giuridici o, viceversa, da certe pericolosissime assenze degli stessi...

Nell’anniversario del pensiero del grande democratico dei “delitti e delle pene”, riteniamo fermamente sia giunta l’ora di festeggiare l’introduzione nel nostro ordinamento di un reato la cui assenza grida vendetta. Vorremmo colmato un vuoto con l’introduzione di un prìncipe dei princìpi, che nulla toglierebbe ma molto aggiungerebbe, se incontrato dalle aule del primo anno di università fino a quelle dei tribunali in ogni angolo del paese, al progresso delle scienze giuridiche di ogni dove.

*avvocato di Legal Team Italia

 

Ultima modifica il Martedì, 04 Novembre 2014 19:05

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