Giovedì, 04 Dicembre 2014 23:18

Grandi Rischi, Gabrielli: "Comunicazione spettava a Protezione civile e Comune"

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Lo scorso 2 dicembre il Capo della Protezione Civile, Franco Gabrielli, ha tenuto un incontro aperto a tutta la cittadinanza nella sala rossa del Comune di Savona.

Durante la conferenza, dal titolo “Il caso Italia: fra bellezza ed emergenza”, Gabrielli, sull’onda degli ultimi eventi disastrosi che hanno coinvolto la Liguria, ha sollevato diverse tematiche, tra cui quella della prevenzione, della previsione e della cultura del rischio.

Non è mancato, però, il riferimento all’Aquila, per spiegare la questione della “consapevolezza”.

“Io - ha detto Gabrielli  -  cito spesso la vicenda dell’Aquila. All’Aquila, dove sono morte 308 persone, il terremoto, al netto di quei poveri 53 studenti fuori sede, è stato principalmente un terremoto che ha coinvolto la borghesia aquilana: medici, avvocati, cioè gente che in qualche modo aveva disponibilità economica”.

I morti all’Aquila - ha aggiunto Gabrielli - “sono morti non perché è stata distrutta tutta la città ma perché alcune case sono collassate, perché i morti non li fa il terremoto ma le case che collassano. Tutte le perizie fatte su queste case hanno, infatti, dimostrato che queste case erano state costruite male. Quindi il tema non è della disponibilità delle risorse ma della consapevolezza”.

Dott. Gabrielli, cosa intendeva prima quando parlava di borghesia?

Il parallelo della borghesia non è spregiativo, anzi. Lo uso per sottolineare come il tema della consapevolezza sia prevalente rispetto al tema della disponibilità economica. Siccome quando parlo dei temi del rischio e della sicurezza degli edifici, la prima obiezione che mi si fa sempre è quella di dire che ci vogliono soldi per fare interventi. Se chi aveva la disponibilità avesse avuto anche una forte consapevolezza, forse avrebbe avuto anche un atteggiamento diverso. Io stesso prima di fare il capo di Dipartimento ho acquistato una casa e non mi sono interessato di alcune questioni perché non avevo consapevolezza di questi problemi. Quando ho conosciuto i temi della Protezione Civile, tutte queste questioni le ho messe al vertice della mia attenzione.

Nella struttura della Protezione Civile rientra anche la Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi e quindi rientra anche il vostro ruolo di mediazione tra questo organo e la cittadinanza. Che cosa non ha funzionato, in quella fase, nel terremoto dell’Aquila?

Non ha funzionato quello a cui oggi abbiamo posto rimedio. Io molte volte ho sottolineato come, al di là della responsabilità delle persone, la sentenza dell’Aquila poneva tre questioni. Per prima cosa, il tema del ruolo tra chi decide e chi valuta, quindi il ruolo tra Commissione Grandi Rischi e Protezione Civile. La seconda questione è il tema delle modalità della comunicazione. A chi spettava la comunicazione? Io credo che non spettasse alla Commissione Grandi Rischi, ma a chi aveva convocato quella riunione quindi al Dipartimento per un verso e al sindaco per un altro.  Oggi abbiamo risolto questo aspetto perché, con il provvedimento del 2011, la Commissione Grandi Rischi si riunisce su richiesta del capo di Dipartimento che fa una richiesta formale e scritta, a cui la Commissione risponde e poi la comunicazione e la responsabilità del responso della commissione sono in capo al Dipartimento.

Al di là delle accezioni tecniche, quello dell’Aquila, più che un problema scientifico, è stato un problema politico. In un’intercettazione ormai nota tra Guido Bertolaso e Daniela Stati si fa riferimento ad una “operazione mediatica”.

L’operazione mediatica può essere nelle intenzioni di chi in qualche modo la fa, non nell’attribuire a degli scienziati alcuni comportamenti. Anche perché, fino a prova contraria, non c’è un’intercettazione nella quale si evidenzi che gli scienziati si siano messi d’accordo con qualcuno per dare un’impostazione diversa alla riunione. Oggi, comunque, le modalità di convocazione e di comunicazione sono profondamente diverse. Bisogna avere l’onestà di analizzare le cose perché si è prodotto una serie di effetti distorsivi. Dunque c’è da dire che la gestione della comunicazione in quella situazione non è stata corretta. Tant’è che, tornando ai tre temi evidenziati dalla sentenza, il terzo il tema è il rapporto tra chi è chiamato a fare valutazioni su vicende che sono caratterizzate da fortissima incertezza. Poi, altra vicenda sono gli esiti della telefonata. Non a caso c’è un processo bis che accerterà se e in che misura ci sono delle responsabilità.

Ma la consapevolezza non deriva anche da una corretta comunicazione del rischio?

Sì ma io non riesco a comprendere. Uno degli elementi a sostegno dell’accusa della Commissione Grandi Rischi è stato quello che l’attività di quei signori fu in gran parte finalizzata a far sì che quel tipico atteggiamento di consapevolezza degli aquilani fosse in qualche modo narcotizzato da una rassicurazione. Si è detto che la naturale propensione dell’aquilano a convivere con il terremoto, e quindi ad essere consapevole del rischio del terremoto, è stata in qualche modo narcotizzata da questa rassicurazione. Allora vuol dire che precedentemente quel territorio aveva una consapevolezza del rischio. Non si può dire “siamo stati rassicurati quindi questa naturale nostra attenzione ai temi del rischio è stata addormentata, addomesticata”. Se così fosse, io mi sarei aspettato che chi era in quelle condizioni avrebbe avuto un atteggiamento estremamente puntuale rispetto alla verifica delle proprie abitazioni, come avviene in quei Paesi dove questa consapevolezza esiste. Quello che io contesto è che, non solo a L’Aquila, ma in Italia questa consapevolezza del rischio non c’è e quindi questa attenzione ai tema della messa in sicurezza di edifici sotto il profilo dell’aspetto sismico non c’è. Le posso dire, perché purtroppo ho ancora molti rapporti con quel territorio, che moltissime persone che hanno ristrutturato le case si sono preoccupate di più degli aspetti abbellitivi della cosa. A dirmelo sono stati molti professionisti aquilani. Tant’è che, c’è un dato incontrovertibile: la legge che consentiva la riparazione delle abitazioni dava dei margini di intervento per migliorare la capacità di resistenza. Questo margine è stato utilizzato in minima parte quindi questo vuol dire - e mi spaventa come cittadino - che anche in un territorio che ha patito una vicenda sismica così importante, l’elemento della consapevolezza del rischio sia ancora così scarso.

 

Ultima modifica il Venerdì, 05 Dicembre 2014 22:41

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