E' un vero e proprio fuoco di sbarramento quello che Regione Abruzzo e comitati ambientalisti si apprestano a sollevare contro il progetto del metanodotto Snam, che nei giorni scorsi ha subito un'improvvisa accelerazione.
Il 28 novembre, sull'albo pretorio di tutti i Comuni abruzzesi interessati dal passaggio del gasdotto, il Mise (ministero dello Sviluppo economico) ha pubblicato l’avviso di avvio del procedimento della costruzione dell'opera, con tanto di indicazione delle particelle catastali soggette a esproprio.
Ed è proprio qui che si annida il primo dei punti critici sui quali la Regione e i comitati intendono far leva. Tra i terreni che rientrano nel piano particellare espropri, infatti, sono compresi anche lotti appartenenti alle amministrazioni separate di uso civico.
Il Dpr 327 del 2001, tuttavia, all'articolo 4 (comma 1) stabilisce che i beni appartenenti al demanio pubblico non possono essere espropriati fino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione. Ma la richiesta di sdemanializzazione o di mutamento di destinazione d'uso deve essere formulata dalle amministrazioni separate o dal Comune e approvata, tramite determina dirigenziale, dalla Regione.
Tutto ciò non è stato fatto ed è per questo che le amministrazioni separate (per il Comune dell'Aquila quelle interessate sono Paganica-S. Gregorio, Arischia, Collebrincioni e Aragno) e i comitati intendono coordinarsi per impugnare collettivamente davanti al Tar il provvedimento del ministero. Alcuni espropri, però, sono già partiti - alcuni sostengono con metodi più che discutibili – e non sarà facile convincere i proprietari che hanno già ricevuto gli indennizzi a tornare sui loro passi.
A puntellare la linea Maginot che il fronte del no formato da comitati, amministrazioni separate e associazioni intende tracciare ci sarebbe la Regione. Nelle prossime settimane, la seconda commissione consiliare (Governo del territorio), presieduta dal consigliere del Pd Pierpaolo Pietrucci, chiederà ufficialmente al presidente D'Alfonso di revocare (qualora non sia ancora stato fatto) la cosiddetta “determina Sorgi”, che equipara il gasdotto Snam (un gasdotto di trasporto) a un'opera di urbanizzazione. Un passaggio obbligato per permettere ai Comuni nei cui territori dovrebbe correre la pipeline di deliberare, attraverso i propri organi rappresentativi, ossia i consigli comunali, l'incompatibilità del progetto con il quadro normativo regionale.
Nella conferenza dei servizi che ci sarà a gennaio nella sede del ministero, inoltre, la Regione tornerà alla carica sulla proposta di un tracciato alternativo che contempla lo spostamento del gasdotto dalla dorsale appenninica alla zona costiera.
Tale proposta, per la verità, era già stata formulata ma i vertici Snam l'avevano bocciata sostenendo che far passare il gasdotto in acqua anziché sulla terraferma avrebbe comportato un aggravio dei costi e delle spese di realizzazione non indifferente. Ma, obiettano i comitati, la società si è guardata bene dal produrre studi di fattibilità o tabelle comparative in grado di suffragare la tesi della maggiore convenienza economica dell'attuale progetto. Fino ad ora, l'unico punto sul quale la Snam si è detta disponibile a trattare riguarda la possibilità di eliminare o ridiscutere la costruzione della centrale di compressione di Sulmona.
Ma quali sono i motivi per cui i comitati dicono no alla localizzazione del metadonotto nelle aree interne?
“Parliamo di un'opera” spiega Mario Pizzola, portavoce dei comitati cittidani per l'ambiente di Sulmona “che attraversa l'Abruzzo interno, in particolare quello aquilano, per 103 km (sui 687 totali, che si snodano da Brindisi a Minerbio, ndr). Siamo contrari in primo luogo per l'elevata sismicità del territorio: i gasdotti possono esplodere e andare a collocare un'opera del genere su un territorio ad alto rischio sismico come il nostro significa aumentare i rischi per la popolazione e questo è contrario al principio di precauzione che dovrebbe spingere a trovare tracciati diversi”.
“In secondo luogo c'è il notevole impatto ambientale che l'opera avrebbe su un'area ancora sostanzialmente integra, che era compresa nel vecchio progetto Appennino Parco d'Europa”,
“Infine c'è il danno all'economia locale: un metadonotto di queste dimensioni comporta delle limitazioni notevoli alle attività economiche, ai piani urbanistici, all'agricoltura. Ricordo che il progetto prevede uno scavo di 5 metri di profondità nel quale andrà interrato un tubo dal diametro di un metro e venti, scavo in prossimità del quale bisognerà lasciare una fascia di rispetto di 40 metri, dove non sarà consentito praticamente fare nulla. E' un progetto che scarica sui cittadini i costi mentre i benefici andranno ad appannaggio esclusivo della Snam”.
“Finora” conclude Pizzola “c'è stata, da parte delle istituzioni locali, una notevole sottovalutazione della gravità del problema. Alcuni Comuni hanno semplicemente deliberato contro dopodiché hanno archiviato la questione, senza battersi o mettere in moto iniziative e meccanismi di coinvolgimento della cittadinanza. Quante amministrazoni hanno convocato riunioni e assemblee pubbliche per informare i cittadini di quello che stava succedendo? Se non ci fossero stati i comitati spontanei che, dal basso, si sono attivati per far conoscere la vicenda, oggi probabilmente nessuno ne parlerebbe”.