Giovedì, 30 Luglio 2015 07:36

L'Aquila, sfruttamento manodopera nella ricostruzione: 6 arresti

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Stamane, i Carabinieri del comando provinciale dell'Aquila, insieme ai reparti territoriali competenti, hanno dato esecuzione ad una serie di ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di un'associazione per delinquere operante nel settore della ricostruzione post-sisma, composta da soggetti residenti in Abruzzo e Romania

Si tratta di Antonio D'Errico detto 'Tonino' 59 anni, residente a Tortoreto (Teramo); Nicolae Otescu detto 'Nico' di 46 anni, cittadino romeno residente a Lugoj (Romania) tutt'ora latitante e ricercato dalle forze dell'ordine; Francesco Salvatore di 56 anni di Pettorano sul Gizio (L'Aquila), residente a Sulmona; Panfilo Di Meo di 52 anni di Sulmona; Giancarlo Di Bartolomeo di 49 anni di Teramo; Massimo Di Donato di 63 anni, anche lui di Teramo. Tra le diverse misure cautelati adottate, il Gip del Tribunale dell'Aquila, Guendalina Buccella, ha disposto per gli ultimi quattro la detenzione per soli due mesi. Successivamente, la misura prevede i domiciliari con l'applicazione del braccialetto elettronico. E' stato disposto anche il divieto di esercitare l'attività imprenditoriale.

L'indagine transnazionale, denominata 'Social dumping' e coordinata dalla procura distrettuale presso il tribunale dell'Aquila, ha messo in luce un'organizzazione dedita al reclutamento e allo sfruttamento di flussi di manodopera provenienti dall'est Europa.

"L'inchiesta è partita da una denuncia delle organizzazioni sindacali, e in particolare della CGIL", ha spiegato in conferenza stampa il procuratore capo Fausto Cardella. "Si tratta di una indagine non casuale - ha continuato - che si inserisce in un progetto di tutela della legalità nell'ambito dei processi di ricostruzione dell'Aquila e del cratere. Tra le altre, ricordo le inchieste 'Dirty Job' e 'Betrayal', le indagini sui presunti casi di corruzione nella costruzione dei Map, le recenti attività tese a far luce sul crollo del balcone del progetto Case di Cese di Preturo. In questo perimetro, si colloca 'Social Dumping' che fa registrare delle novità: si tratta di una delle prime inchieste che contesta i reati di autoriciclaggio e di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, norme introdotte recentemente nel nostro sistema penale". 

L'inchiesta è durata più di un anno, "e ha richiesto un impegno notevole anche per la complessità degli accertamenti e dei riscontri", ha sottolineato Cardella. Che ha poi voluto segnalare lo sforzo che sta facendo la magistratura aquilana, "considerata l'esiguità del personale e, in particolare, del personale amministrativo". 

Ad entrare nel dettaglio il Pubblico Ministero Simonetta Ceccarelli che ha coordinato l'inchiesta con la collega Antonietta Picardi. Al centro delle indagini ci sono due imprese italiane, MEG srl e Salvatore e Di Marco srl, di Francesco Salvatore, Panfilo Di Meo, Massimo Di Donato e Giancarlo Di Bartolomeo, costituite nel consorzio 'Sulter Scarl', e due imprese rumene, Ni-To Costruetii Civili srl e To-Ni Roit Edilizia srl, gestite da Nicolae Otescu e Antonio D'Errico. Alle ditte italiane - i cui amministratori sono finiti oggi in carcere - erano stati affidati appalti edili relativi all'attività di ricostruzione post-sisma, all'Aquila e in altri Comuni del cratere, per circa 22 milioni e mezzo di euro

Quali sono i reati contestati? Il 603/bis, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, il 416, associazione a delinquere, oltre, come detto, all'autoriciclaggio. "Ulteriori ipotesi di reato - ha sottolineato Ceccarelli - sono al vaglio del gip che ha già condiviso la consistenza degli illeciti contestati". 

In particolare, secondo gli inquirenti, Otescu e D'Errico riuscivano a procurare agli amministratori delle ditte impegnate nella ricostruzione post terremoto dell'Aquila, (oggetto dell'inchiesta della Dda dell'Aquila) manodopera romena a basso costo "giustificando formalmente - si legge nell'ordinanza - la presenza, con il ricorso del contratto di distaccamento in violazione di legge. Tutto ciò - si legge sempre nell'ordinanza di custodia cautelare a firma del Gip del Tribunale dell'Aquila - per procurare ai titolari delle ditte edili documenti fiscali utilizzati sia ai fini dell'evasione delle imposte e per la costituzione di fondi 'neri' da reimpiegare in attivita' economiche e speculative".

Nello specifico, la manodopera a basso costo veniva impiegata a L'Aquila nell'aggregato di via Verdi e su corso Vittorio Emanuele (importo lavori 15 milioni e 272 mila euro), in quello su via Bominaco (4 milioni e 135 mila euro) entrambi appaltati al consorzio Sulter Scarl. Gli operai dell'est Europa, inoltre, sono stati trovati al lavoro in un cantiere del Comune di Vittorito (1 milione 593 mila euro) e in uno di Pratola Peligna (1 milione 486 mila euro), entrambi appaltati all'impresa "Salvatore & Di Marco".

Secondo le indagini portate avanti dal colonnello Giuseppe Donnarumma, comandante provinciale dei carabinieri dell'Aquila, Otescu si occupava del reclutamento a basso costo in Romania da inviare in Italia; di fungere da principale referente del sodalizio criminale per il pagamento della retribuzione (50 euro a giornata) e per le questioni relative alla sistemazione alloggiativa degli stessi; della creazione di ditte ad hoc costituite con il solo scopo di celare la complessa attività di intermediazione illecita di manodopera; di emettere fatture 'a saldo' per operazioni inesistenti allo scopo di consentire alle ditte di evadere le imposte e giustificare l'uscita di somme nella contabilità delle ditte italiane poi restituite loro 'in nero'; di fungere da corriere nei viaggi in Romania per la restituzione degli importi indicati nelle fatture per operazioni inesistenti.

D'Errico, sempre secondo l'accusa, avrebbe coadiuvato Otescu nella gestione della parte contabile, intrattenendo rapporti con le ditte per il conteggio delle giornate lavorative, per l'emissione delle fatture ed effettuando viaggi in Romania. Qui, secondo quanto accertato dagli inquirenti, i due "provvedevano al graduale spostamento delle somme accreditate sui conti romeni delle ditte romene, provvedendo al prelevamento delle stesse in Romania e alla loro restituzione 'in nero', nel territorio italiano".

Di Donato, Di Bartolomeo, Di Meo e Salvatore, quale appaltatori di ingente importo per la ricostruzione post sisma, si occupavano di garantire una domanda di manodopera costante nel tempo, per ottenere vantaggi sotto forma di emissione di fatture per operazioni inesistenti, per giustificare l'uscita contabile di somme, poi rientrate 'in nero' da reinvestire in attività economiche e speculative.

Le indagini hanno portato a galla il particolare di come gli operai venissero sfruttati, sotto la costante minaccia di essere licenziati o comunque non essere chiamati a lavorare a scopo punitivo per una settimana. Operai minacciati, intimiditi, a causa del loro stato di bisogno lavorativo.

Cosa accadeva? "Si utilizzava l'escamotage del 'Distacco comunitario' di lavoratori di una ditta della comunità europea in altro Stato dell'Unione per motivi di lavoro", ha spiegato Ceccarelli. "Un procedimento perfettamente lecito, se non fosse che è stato applicato in totale carenza dei suoi presupposti". E' stato appurato che almeno una ventina di lavoratori rumeni - ma le indagini sono ancora in corso per capire se tale 'modus operandi' fosse esteso anche ad altri cantieri - venivano portati a lavorare in Italia, con una retribuzione di 50euro al giorno per 10 ore di lavoro, e soltanto per i giorni effettivi di impiego, in modo palesemente difforme ai contratti collettivi nazionali, "considerando la sproporzione tra quantità e qualità del lavoro prestato e retribuzione percepita". Non venivano riconosciute le ferie, non veniva riconosciuta la malattia - anzi, agli operai erano negate persino le cure mediche, per l'impossibilità di fruire dell'assistenza sanitaria - tanto meno i riposi settimanali, gli straordinari, le festività. 

Il consorzio di ditte italiane corrispondeva alla ditta rumena una somma di 110 euro per ciascuna giornata lavorativa del singolo operaio, un bel guadagno rispetto alla normale retribuzione che si attesta sui 250 euro, imposizioni fiscali comprese. A sua volta, la ditta rumena riconosceva ai lavoratori 50 euro, altro bel guadagno di 60 euro al giorno e soltanto per l'attività di 'intermediazione'. In buona sostanza, dunque, i soldi che riuscivano a ricavare erano parte del frutto della differenza tra i reali salari e quelli che invece avrebbero dovuto realmente percepire gli operai romeni.

Non solo. Sono state riscontrate anche condotte illecite di natura fiscale: l'impresa rumena emetteva al consorzio di imprese italiane delle fatture a saldo per operazioni inesistenti. Poi, con una provvigione del 10%, i titolari della ditta rumena portavano fisicamente indietro i soldi al consorzio, dalla Romania all'Italia: veri e propri 'fondi neri'. Di qui, il capo d'accusa dell'autoriciclaggio recentemente introdotto. Sia D'Errico che Otescu nel corso di un controllo della Finanza (il primo avvenuto il 28 febbraio 2015, l'altro il primo maggio scorso) sono stati trovati in possesso di una consistente somma di denaro in contanti, i totale circa 36 mila euro. Entrambi stavano tornando in Abruzzo dalla Romania.

Ultima modifica il Giovedì, 30 Luglio 2015 20:02

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