E' la prima volta negli Stati Uniti che una città delle dimensioni di Detroit dichiara bancarotta. 18 miliardi di dollari, a tanto ammonta il debito che la municipalità non riesce più a sostenere. La settimana scorsa il commissario straordinario, Kevyin Orr, ha dichiarato la città insolvente e il Governatore del Michigan, Rick Snyder non ha potuto che ratificare la situazione.
Detroit conobbe dall'inizio del secolo scorso un fortissimo sviluppo industriale che spinse Henry Ford a costruire lì i primi modelli T, le auto che allora cominciavano a battere le strade americane portando la grande rivoluzione della motorizzazione in un paese immenso. L'industria di Ford (e di tutti i pionieri del settore come i fratelli Dodge, Walter Chrysler, General Motors) rafforzò la posizione di Detroit come capitale mondiale dell'automobile. L'industria spronò la spettacolare crescita della città nella prima metà del XX secolo, attirando numerosi nuovi abitanti, in particolare lavoratori dagli Stati del sud.
Tra il 1940 e la fine degli anni 60', la popolazione della città era di un milione e settecentomila abitanti mentre quello della regione non superava i 3,7 milioni.
Poi, le tensioni di in un'estate caldissima iniziate il 23 luglio del 1967: disordini razziali scoppiarono per la chiusura di un bar clandestino, il Blind Pig. Ci furono tafferugli fra polizia e clienti del bar e residenti del quartiere. Fu la scintilla che fece esplodere le dimostrazioni di massa. La polizia attaccò e migliaia di dimostranti, soprattuto afroamericani, risposero. Risultato dopo cinque giorni di guerriglia urbana: 43 morti (33 afroamericani) 467 feriti, 7.231 arresti, il più piccolo aveva 4 anni, il più vecchio 82! 2.509 negozi saccheggiati, 412 palazzi bruciati, 388 famiglie senzatetto.
La città non fu mai più la stessa. I bianchi, terrorizzati dai disordini, si trasferirono in massa nei sobborghi. Le case automobilistiche cominciarono a spostare alcuni impianti. Negli anni '80, la popolazione della città era scesa a 1,8 milioni di abitanti mentre quella della regione circostante saliva a 5 milioni.
Oggi Detroit conta 700mila abitanti. Le industrie sono in gran parte scappate oltre il confine, in Messico o in altri Stati che hanno un regime fiscale più basso.
La ex sede della General Motors, situata nel centro città, assomiglia ad una spettrale abbazia e molti grattacieli sono abbandonati con i vetri rotti. Agli occhi di chi la vede, Detroit trasmette un'enorme solitudine.
La città è paragonata spesso ad una sorta di guscio vuoto, mentre altri parlano di una Katrina (il nome del nefasto uragano che nel 2005 ha colpito New Orleans) lunga trent'anni.
La sua estensione è pari a quella di Boston, San Francisco e la penisola di Manhattan insieme, ma Detroit oggi conta un terzo degli abitanti di queste città; e una città vuota è praticamente impossibile da governare perché mancano le tasse sulla proprietà necessarie per amministrarla.
Sono in molti ad affermare che quella di Detroit non è solo una crisi economica ma anche di convivenza civile: attualmente sono rimaste in città solo le categorie più svantaggiate. L'82% della popolazione è afro-americana, rimasta come intrappolata in una municipalità senza servizi. Basti pensare che l'illuminazione pubblica manca nel 40% delle strade. Il Comune non ha più soldi per pagare le pensioni perché non c'è più base di lavoro: la disoccupazione infatti è a livelli altissimi, lavorano in 80mila su 700mila abitanti. Alcuni quartieri sono spopolati fino all'80%.
In Italia a molti è venuto in mente di fare paragoni con le municipalità in crisi, Catania e Torino su tutte.
Purtroppo alcuni paragoni (per carità solo alcuni vista la sostanziale diversità di storia, vocazione e dimensioni) vengono alla mente anche con L'Aquila del dopo sisma. Certo, auguriamoci che il capoluogo abruzzese assomigli sempre meno a quello del Michigan, ma la distopia è quella.
La città dell'Aquila, negli ultimi anni, si è espansa a dismisura con i nuovi quartieri dei Progetti Case e Map, che la estendono dalla frazione di Paganica a quella di Preturo passando per quelle di Assergi e Arischia. In conseguenza anche di politiche nazionali di shock economy, il Comune si è ritrovato un patrimonio di circa 5mila appartamenti in più, con in mezzo una ricostruzione ancora incerta. Migliaia di cittadini si sono trasferiti, maggiormente tra Pascara e Roma, nuovi altri ne sono arrivati.
I costi di gestione per la municipalità sono schizzati alle stelle. Basti pensare ad esempio alla raccolta dei rifiuti, la manutenzione delle strade, il taglio delle siepi, i trasporti, la Polizia. E' dell'ultimo mese la complicata delibera consiliare che istituisce una società mista pubblico-privata per provvedere alla manutenzione del Progetto Case, un primo tentativo di affrontare la questione e cercare di domare, in qualche modo, la "bestia".
Fortunatamente per ora ogni anno il Comune percepisce dallo Stato un contributo di circa 25milioni di euro per mancati introiti relativi, tra l'altro, all'Imu delle case inagibili e le altre tasse legate alla proprietà, come per esempio quella sui rifiuti.
Per quanto ancora? Sciaguratamente, la città è abituata a lottare giorno per giorno contro l'oblio. A Roma e a Bruxelles iniziano ad essere sempre di più coloro che sono pronti a non riconoscere ancora a lungo la sua condizione speciale. Per quanto questa specialità resterà tale e non sarà considerata "più normale"? Una normalità che ad oggi, certo, inquieta.
A Detroit attualmente la discussione urbanistica è più o meno la seguente: per recuperare la situazione la città o si rimpicciolisce o si espande ancora di più, vediamo in che senso. Chi è per rimpicciolire parla di trasformare gli ettari ed ettari di città abbandonata in suolo agricolo e generare una conseguente politica di sviluppo urbano-rurale.
Controindicazioni: le particelle abbandonate devono essere comunque comprate dalla Città e le bonifiche hanno costi altissimi (non si può far finta, ad esempio, di non aver pensato mai ai costi di bonifica conseguenti l'eliminazione di uno dei Progetti Case).
Chi vuole espanderla ancora di più, intende farlo perché così Detroit andrebbe a comprendere anche i Comuni intorno la sua cinta urbana. Lì, infatti, si sono andate delocalizzando la popolazione e le attività produttive. Gli operai che lavorano nelle fabbriche automobilistiche - attualmente in leggera ripresa - lavorano e vivono nei sobborghi dove si è spostato quel poco che rimane dell'apparato produttivo, e da lì si potrebbero incanalare delle tasse. Questo ha fatto Washington, dove molte persone vivono nei sobborghi ma partecipano con un tax-sharing alla capacità della città di generare un in-come per avere servizi (in tal senso, va tenuto in considerazione il forte regime di federalismo fiscale in cui sono gli Stati Uniti dai tempi di Reagan).
E L'Aquila? "Se si pensa di reggere il tutto con una città unica si corrono dei rischi", risponde il professor Pierluigi Properzi, uno dei pochi a portare l'urbanistica e l'Università dentro il consiglio Comunale.
"Una riflessione che porterò all'attenzione degli altri colleghi - continua il consigliere, che non si sottrae affatto a rispondere allo stimolo di parlare dell'Aquila in prospettiva - è quella riguardo una possibile articolazione delle amministrazioni in più nuclei, anche se questa idea troverà sicuramente delle resistenze. Ma potrebbe essere una soluzione. Questa è una città - prosegue l'urbanista di cui a breve uscirà un testo proprio su questi argomenti - che nel '27 ha riunito molti Comuni nella logica della "grande Aquila", contentino del fascismo alla città che si è pensata sempre capoluogo di un territorio ampio. D'altronde questo corrispondeva all'esigenza del territorio, la cui economia aveva bisogno di una città in quanto mercato libero".
"In prospettiva futura - continua Properzi - si fa sempre più necessaria una cooperazione di soggetti territoriali responsabili e con economie ambientali autonome. Un tema è proprio quello del contenimento degli impatti per cui andrebbero attivate sperimentazioni insieme all'Università. Penso ai rifiuti e all'energia, semplifico: sarebbe una cosa positiva che le persone fossero portate a spegnere la luce e non a pensare che poi tanto paga il Comune, immaginato come un soggetto lontano e che non funziona.
Allo stesso tempo se i termovalorizzatori fossero cinque o sei ma piccoli, con un'utilità direttamente riscontrabile, per esempio, con la riduzione delle tasse, forse la popolazione sarebbe portata meglio a comprendere il loro utilizzo".
In tutta questa pluralità che ruolo avrebbe L'Aquila? "Quello di collegare questo territorio con il mondo ed inserirlo nelle grandi reti per far conoscere il suo grande patrimonio artistico, storico e sopratutto naturale data la collocazione straordinaria in mezzo ai Parchi nazionali", spiega il professore che allo stesso tempo non teme di avere anche posizioni diverse rispetto a quelli di altri suoi colleghi d'area: "Anche per questo - afferma Properzi - ritengo L'Aq19 un'occasione, e penso anche che l'Univaq debba necessariamente cambiare il proprio rapporto con la città; ma credo che la nuova Rettrice Paola Inverardi sia la persona giusta per farlo".
Una situazione urbana, quella della città dell'Aquila, che con il dopo-sisma si è andata evolvendo molto più rapidamente rispetto alle altre province.
"Per quanto riguarda la forma urbana - conclude deciso Properzi - noi non abbiamo più a che fare con una città ma con un sistema insediativo e i problemi sono difficilmente gestibili in un sistema insediativo. Se pensiamo ancora ad un centro e una periferia non ne usciamo fuori. Bisogna pensare a forme urbane che abbiano più centralità, con funzioni vere e non fittizie. Rifacendomi anche agli studi di Marco Romano penso ai temi collettivi della piazza, il viale, lo stadio che danno forma alla città e che possono essere immersi nel verde con grandi parchi.
Certo ha un costo, ma per esempio è meglio far divenire Piazza D'Armi un bellissimo parco urbano piuttosto che sprecarlo inserendo una serie di elementi diversi come, parcheggi e casette. Si potrebbe inoltre pensare di costruire dei parchi fluviali, curandoli e facendo dei parchi agricoli recuperando magari le casette in questa funzione".
Un altro protagonista del dibattito sulla città post-sisma sin dai tempi del tendone situato nell'estate del 2009 dal Comitato 3e32 nel parco dell'Unicef, è il consigliere Ettore Di Cesare. Tra i comitati, sin da allora, oltre ad opporsi alle "New Town" berlusconiane si parlava già di Green City e città a Km0.
"Ora bisogna fare in modo che l'enorme quantità di appartamenti che ci ritroviamo a possedere come municipalità tra Progetto case e Map non ci porti alla rovina - afferma Di Cesare - ma piuttosto ci serva in futuro come patrimonio da affittare o vendere ad esempio. Può servirci come garanzia con le banche, mentre gli altri Comuni non l'hanno tutta questa proprietà immobiliare".
"Tutto sta - conclude Di Cesare - nell'avere un'attrattività come territorio. Solo così ci sarà una domanda e il patrimonio avrà un valore, viceversa se il territorio si deprime economicamente e socialmente, semplicemente resterà abbandonato e residuale".
Proprio come a Detroit.