Sabato, 20 Febbraio 2016 12:17

Umberto Eco: "Io e Calvino, così uguali e diversi". L'omaggio di NewsTown all'autore de "Il nome della rosa"

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Ieri sera, nella sua casa di Milano, è morto Umberto Eco. Aveva 84 anni.

Filosofo, scrittore, studioso e fine cultore del Medioevo, padre della semiotica interpretativa, ma anche saggista e professore emerito all'Università di Bologna, Eco è stato uno dei maggiori intellettuali italiani del secondo Novecento.

Chi vi scrive ebbe la fortuna di conoscerlo a Toronto quattro anni fa, in occasione del convegno  Calvino & Eco. Rhizomatic Relationships, organizzato al St. Michael College - sede del Dipartimento di italianistica dell'University of Toronto - dal professor Rocco Capozzi (con il sostegno dell'Istituto italiano di cultura di Toronto e del Social Science and Humanities Research Council  del Canada) per celebrare l'ottantesimo compleanno del celebre semiologo.

Il convegno intendeva illuminare, usando il concetto di derivazione deleuziana di rizoma, i nessi e le relazioni, ma anche le differenze, esistenti tra la produzione letteraria di Eco e quella di Italo Calvino, i due scrittori italiani più conosciuti e tradotti all'estero.

Nella sua lectio conclusiva, Eco disse di avere molte cose in comune con Calvino: il gusto per la ridefinizione e la riscrittura dei generi tradizionali; l'interesse per i giochi combinatori e il culto del falso; la frequentazione delle avanguardie unita però al rigetto del loro carattere antiestetico; la passione per le forme di narrazione visuale; la tendenza a mescolare la forma letteraria con quella del saggio.

Al contrario, ciò che lo rendeva diverso dall'autore di Marcovaldo e delle Lezioni americane era, in particolare, il realismo - “Calvino è rimasto per tutta la vita un narratore di fiction, di storie fantastiche, mentre io mi definisco un narratore realista, non per lo stile ma per la mia attenzione maniacale per la verità storica” - e l'approccio anti-invididualista e anti-psicologico - “Io non sono mai stato ossessionato dalla definizione del sé, dal problema dell'io, dell'esplorazione dell'io all'interno dell'io. Io, come narratore, ho sempre scelto di celarmi, per pudore e per non manifestare mai me stesso, dietro maschere e intercapedini, utilizzando l'ironia per creare un effetto di distanziamento dai miei personaggi. A me non interessa niente di me stesso. Io non racconto di me ma dei mondi che invento ed è per questo che sono sempre stato estraneo alla psicoanalisi”.

Durante i due giorni del convegno, Eco non fu molto loquace ed espansivo con i giornalisti. Tuttavia, al termine dei lavori, io e un'altra collega che scriveva per un giornale italiano di Toronto riuscimmo ad avvicinarlo e a rivolgergli alcune domande.

I temi della cultura italiana sembrano avere più spazio e più attenzione all’estero di quanto non ne abbiano in Italia. Ne è una dimostrazione questo convegno così come altri che vengono organizzati nel mondo.

In effetti, qui in Canada, ma anche in giro per il mondo come ad esempio negli Stati Uniti, c’è molta più attività per la nostra cultura rispetto a quella che attualmente si sta svolgendo in Italia anche se, fortunatamente nel nostro Paese continuano a realizzarsi manifestazioni legate all’arte e alla letteratura in città e centri molto attivi in questo senso. Certo, fa effetto vedere all’estero questo entusiasmo per gli studi italiani laddove il governo italiano non dà nessun aiuto per sostenerli.

I tagli inflitti in questi anni dai vari governi che si sono succeduti stanno penalizzando i settori legati alla cultura?

Moltissimo. Dirigo la Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna e in passato era possibile invitare importanti personaggi dall’estero. Adesso, pur riuscendo in qualche modo a dimezzare i costi, è stato tutto bloccato a causa di nuove regole burocratiche. L’attuale governo ora non ha tempo di occuparsi della cultura, deve “tappare altri buchi”. Certo, anche se sono tutti professori universitari, in questo momento devono parlare di pensioni e non possono occuparsi di sovvenzioni
a enti lirici o culturali.

Lei conosce bene il sistema universitario canadese e nordamericano. Potrebbe tracciare un paragone con l’università italiana?

Sono due diverse concezioni dell’università. A questo proposito, il governo Monti si sta impegnando ad abolire il valore legale del titolo di laurea, suscitando un forte e acceso dibattito. Infatti, con l’attuale sistema, le università italiane sono tutte legalmente uguali senza alcuna distinzione di merito e di valore. L’abolizione del riconoscimento legale introdurrebbe nel sistema italiano una forte concorrenza, molto temuta dalle piccole università, ma allo stesso tempo metterebbe in moto un sistema di ricorso ad aiuti privati, mentre adesso tutti gli atenei sono lì ad aspettare i soldi dello stato. Viene anche fatta un’obiezione per quanto riguarda la distinzione che ne deriverebbe tra università “buone”, cui potranno accedere solo i figli dei ricchi, a scapito delle altre e di chi non può permettersi certi costi. Questo secondo me non è vero, perché a Harvard può andarci anche chi non dispone di redditi elevati, grazie a borse di studio per l’intero ciclo di studi, che vengono date ai più meritevoli. Certo per mettere mano e cambiare in tal senso l’università italiana ci vorrà molto tempo.

In un articolo Eugenio Scalfari, compagno di scuola di Italo Calvino, ha scritto che negli ultimi vent’anni, i sei requisiti preconizzati dallo scrittore siano stati letti alla rovescia: la leggerezza si è trasformata in superficialità, la rapidità in pressappochismo, la visibilità in esibizione, l’esattezza in arida pedanteria e la molteplicità in trasformismo.

Questa è una delle ragioni per cui Italo Calvino piace tanto ai giovani, perché trovano nei suoi scritti qualcosa che non c’è più. Il suo è un mon do immaginario e di fantasia. Pensi se tra Le città invisibili di Calvino ci fosse stata anche “Berlusconia.

Se lei dovesse dare un titolo a un convegno sull’Italia di oggi e definire i contenuti su cui parlare per un futuro migliore, quali sceglierebbe?

In Italia bisogna ricostituire il senso della cittadinanza: cittadino è colui che paga le tasse, che segue la legge. Negli ultimi anni questo concetto è andato completamente distrutto e questi comportamenti sbagliati sono stati anche avvalorati da modelli governativi del nostro recente passato. Bisogna uscire dalla corruzione, per cui il titolo di un eventuale convegno dovrebbe essere: “Verso la s-corruzione”.

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