di Barbara Di Vincenzo - L'Aquila si presenta, oggi, come un enorme cantiere di restauro: molte chiese stanno tornando all'originario splendore, così come le mura cittadine, interamente recuperate, che, con i loro oltre 5 km di sviluppo lineare, costituiscono uno dei pochi esempi di fortificazione trecentesca quasi integralmente conservata. In fase di recupero, è anche il Castello Spagnolo, l'imponente fortezza costruita a spese della città e del contado nel punto più elevato dell'agglomerato urbano, voluta dal viceré don Pedro de Toledo che nel 1532 conferì l'incarico della progettazione e direzione dei lavori a Pirro Luis Escrivà, un capitano dell'esercito imperiale.
Purtroppo, molti monumenti debbono ancora essere recuperati, fra cui la 'misteriosa torre' che si erge maestosa fuori le mura cittadine e dalla quale deriva il nome del quartiere 'Torrione'. Nel 2010, nell'ambito del progetto 'Archeologia e Terremoto' - a cura della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Abruzzo e del CNR-ITC dell'Aquila - venne effettuata sul monumento un'analisi puntuale del danno e della vulnerabilità e furono compilate le 'Schede di Muratura', al fine di analizzare la tipologia del materiale e le caratteristiche della malta che, ad una prima analisi, presenta un colore grigio, scarsi inclusi e consistenza piuttosto friabile. Oltre ad un esteso crollo della parte sommitale, vennero riscontrate lesioni in corrispondenza della discontinuità della muratura e lungo i giunti di malta, fratture dei conci di pietra con conseguente espulsione di materiale.
Lo stato di conservazione della struttura, la forma e lo sviluppo in altezza, la mancata manutenzione, il degrado dei materiali, l'attacco disgregante della vegetazione, le modifiche che il manufatto ha subito nel corso dei secoli, rappresentano alcuni fra gli elementi che, sommati alle sollecitazioni sismiche, hanno provocato gravi danni al monumento. Fra l'altro, esso fa parte dei beni archeologici un tempo ubicati in contesti extraurbani e che oggi si ritrovano invece all'interno di centri urbani o industrializzati, nei quali più elevato è il rischio che l'azione antropica ne aumenti la vulnerabilità. In origine, infatti, l'altezza complessiva era di 15 metri, ridotta a circa 6 a causa del crollo della parte sommitale dovuto alle sollecitazioni prodotte dal sisma.
E' comunque certo che si tratta di una testimonianza isolata, visto che non si hanno notizie di rinvenimenti archeologici effettuati in passato nella zona e neppure i recenti scavi, condotti in concomitanza con i lavori di ricostruzione, hanno evidenziato presenze di strati antropizzati o materiali di interesse storico-archeologico.
Il primo ad occuparsi della enigmatica costruzione, nel 1990, fu Cesare Miceli che le attribuì una funzione funeraria, datandola alla metà del I secolo d.C (mentre Benedetto Orsatti ha proposto di assegnarla al II secolo d.C): essa è costituita da una base parallelepipeda con nucleo in malta cementizia (opus caementicium), ovvero scaglie di pietrame congiunte a malta e sabbia; il rivestimento esterno presenta invece blocchi di calcare locale squadrati, inseriti nel nucleo e posti alternativamente di testa e di taglio, dei quali si sono conservati soprattutto i primi, poiché penetrano incisivamente nel corpo di fabbrica, mentre degli altri si riscontra talvolta solo l'impronta sulla malta.
La parte sommitale è in opera laterizia, mentre il tratto in cui la struttura si restringe per innalzarsi dalla base è scandito da un rivestimento a lastre lapidee, alcune di forma parallelepipeda, altre di forma irregolare, disposte su quattro filari con andamento sub-orizzontale; la composizione architettonica in origine era completata da una piccola cuspide posta alla sommità, arricchita da elementi architettonici in pietra, quasi del tutto perduti. Alla base vi è ancora una piccola nicchia che probabilmente conteneva l'urna con le ceneri del defunto. Si tratterebbe, infatti, di un monumento funerario del tipo 'a torre', verosimilmente appartenuto ad un illustre personaggio, posto lungo un'arteria viaria, la 'via Poplica Campana', che proveniva dalla zona occidentale della città per dirigersi ad est.
Tali monumenti sono solitamente composti da un corpo cilindrico su base quadrata, che evolve in un corpo parallelepipedo di notevole altezza oppure mantenendo distinta la parte inferiore da quella superiore, che può terminare a cuspide o a pianta poligonale o, ancora, aperta con colonnine. E, nell'aquilano, sono attestati numerosi casi di tombe monumentali, di forme diverse, generalmente poste fuori delle città romane o lungo tracciati viari importanti e tratturi.
La costruzione fu riutilizzata in epoca medievale, allorché divenne uno degli elementi principali dell'acquedotto di 'Santanza', che aveva origine presso il Monastero di San Giuliano, costruito in un solo anno, nel 1304, dal toscano Guelfo da Lucca, capitano di Giustizia, a 50 anni dalla fondazione della città dell'Aquila. Si trattò di un'opera estremamente complessa, lunga oltre 3 miglia, della quale facevano parte numerosi pozzi di varia profondità, cisterne e bottini di raccolta e di pressione: le fonti ci dicono, invece, che, non lontano dalle mura cittadine, vennero erette due 'piramidi', non troppo distanti tra di loro, al fine di sollevare le colonne d'acqua delle fontane. Per tale motivo, alcuni studiosi hanno identificato il 'Torrione' con una delle 'piramidi' descritte. E ancora oggi, una targa affissa sul monumento lo definisce pilastro di acquedotto detto 'Torrione' del sec. XIV.
Resta indubbio, a mio avviso, che almeno nell'impianto originale, la struttura sia riferibile all'epoca romana, privata nel tempo del rivestimento lapideo e di eventuali elementi decorativi; sappiamo, inoltre, che se ne tentò la demolizione nel 1863, fortunatamente abbandonata, e ancora nel 1951, il 9 maggio, quando il sindaco dell'Aquila comunicò al soprintendente ai monumenti di averne disposto la rimozione parziale, poi non ultimata.
Oggi, a sette anni dal sisma, il restauro del monumento è estremamente urgente, per evitare l'aggravarsi del suo stato di conservazione, ma anche perché siamo fermamente convinti che il recupero delle testimonianze storiche contribuisca fortemente a ricostruire l'identità di una città ferita, che deve rinascere proprio dal suo glorioso passato.
Barbara Di Vincenzo per 'Archeo', maggio 2016