Molto si sta dibattendo dopo il terremoto che ha ferocemente colpito il Centro Italia, del "Modello L'Aquila".
Locuzione che, a livello nazionale, si sta utilizzando quasi esclusivamente in negativo, come modello da NON seguire.
Va molto più per la maggiore il modello Umbro; come ogni volta ritorna quello più datato, quasi mistico, del Friuli (il non plus ultra del mitico "com'era dov'era"); mentre quello Irpino non riesce nemmeno ad ergersi come un "modello", ma si tira in ballo più che altro come spauracchio per indicare una palude non definita di malaffare.
Ma cos'è il "modello L'Aquila"? E' opportuno porsi la domanda perché viene tirato in ballo di continuo, passando tra le pagine dei quotidiani nazionali (anche oggi), attraverso la televisione e ovviamente rimbalzando nella Rete. Parlarne ora, in relazione alla nuova catastrofe ed in rapporto ad altri "modelli", in più, contribuisce di fatto a storicizzarlo in parte e, forse, capirlo nel suo complesso attraverso nuovi strumenti teorici, nonostante sia tutt'ora in corso.
A fare una prima opera di pulizia ci ha pensato, su Il Centro di ieri, il capo redattore Giustino Parisse che lo definisce, sintetizzandolo, come uno e trino. Il "modello L'Aquila", si può infatti riassumere in tre fasi, dice Parisse: quella emergenziale, quella commissariale e quella in cui la governance è tornata in buona parte in mano agli Enti locali.
Nella prima, ci fu la scelta delle famigerate NewTown e la loro effettiva costruzione, nella seconda (fallimentare e direttamente conseguente dalla prima) semplicemente L'Aquila non si ricostruì, nella terza - messa a punto dall'allora Ministro Fabrizio Barca - la ricostruzione è partita più pesantemente con la creazione di due Uffici speciali (emanazione sostanzialmente del Governo) che affiancano gli Enti locali.
Due giorni fa sull'emittente televisiva La7 è tornato a prendere parola l'allora Capo della Protezione Civile Guido Bertolaso, che ha scaricato sul Sindaco dell'Aquila Massimo Cialente tutte (!) le responsabilità dei crolli e dei difetti del Progetto Case, ascrivendole ad una mancata manutenzione del Comune, una volta presi in gestione.
Oggi - e sempre su 'Il Centro' - Cialente risponde che se si trattasse di manutenzione sarebbero crollati tutti i balconi, e che i difetti sono strutturali: "Lui deve riconoscere di aver sbagliato. Il Progetto Case è stato fatto male. Lo dovremo demolire. C'è stato qualcuno dei suoi che non ha controllato i lavori a dovere. Se fossi al suo posto chiederei scusa ai cittadini aquilani e agli italiani tutti. I problemi si sono verificati nella realizzazione delle strutture e non in altre fasi. Bertolaso sta addebitando al Comune, e quindi alla città, le sue colpe".
Ovviamente, il Sindaco dell'Aquila tralascia di ricordare che la costruzione di "case costosissime", come le chiama, fu una decisione presa anche da lui, e che da questa consegue direttamente "l'errore - citando sempre Cialente su Il Centro - di cercare di sostituire la città" con quei quartieri, a cui oggi - in certi casi - cadono i balconi.
Perché questo è un tratto saliente - quanto negativo - del "Modello L'Aquila": il ritardo nella ricostruzione, iniziata in centro storico solamente da poco più di un anno e, nel frattempo, il crearsi di una nuova e molto più estesa periferia senza criteri (sprawl), in cui i cittadini sono dispersi e senza spazi aggregativi pubblici che non siano i supermercati delle grandi catene. Nuova periferia ovviamente senza servizi in cui lasciar segregate le classi più deboli, dato che, nel tempo, chi ha le risorse non resta e non va in quei quartieri, un tempo d'emergenza, ghetti "durevoli" del futuro. Di questo né Bertolaso, che a L'Aquila non ha mai mostrato una minima sensiblità verso questi temi, né Cialente hanno parlato.
Un aspetto inaspettatamente "positivo" (per modo di dire) del progetto Case - ma che quindi non c'entra col modello, perché non previsto - è che (purtroppo) sta tornando utile alla luce dell'ultima catastrofe, come suggerito da un'idea tirata fuori dal primo cittadino all'indomani del sisma che ha colpito Amatrice e la Valle del Trento. Già una ventina di famiglie che ne hanno fatto richiesta, hanno trovato ospitalità nelle c.a.s.e., in vista della costruzione di moduli provvisori da realizzare a fianco degli edifici distrutti dal sisma (come ad Onna, sì). "Metteremo a disposizione un autobus che ogni giorno accompagni gli sfollati del Centro Italia che lo desiderano nei loro paesi, per stare accanto alla propria comunità, per poi essere raccompagnati" ha aggiunto giustamente Cialente.
Insomma, se i costi immensi e non sostenibili dei Progetti Case, possono in parte tornare utili a venire incontro a nuove esigenze per tristissime nuove catastrofi appena avvenute, va bene. Si dice che per gli sfollati di Amatrice che vogliano usufruire nell'emergenza di questi appartamenti sia tutto gratis fino a ottobre (ed è giusto che sia così). Solo, staremo a vedere come verrà inquadrato il tutto dall'amministrazione locale (per quegli appartamenti indebitati fino al collo con l'Enel e per i costi di "manutenzione") e da quella nazionale. Perché, comunque, "gratis", lo sanno bene gli aquilani, non è niente.
Nel "modello L'Aquila" si può prendere come positivo il ritorno dei ragazzi nelle scuole provvisorie già a settembre, NON il fatto che moltissimi alunni siano ancora oggi in quelle scuole di latta. Perché, sempre nel "modello L'Aquila", la ricostruzione pubblica sta funzionando malissimo.
Su Il Corriere della Sera, edizione odierna, sono ben due gli articoli che tirano in ballo il "modello L'Aquila": entrambi in prima pagina e scitti dalle maggiori firme del giornale: Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.
La loro lettura restituisce, nel bene e nel male - anche se indirettamente - un dato: all'Aquila è stata colpita una città (oltre che un territorio di ampie dimensioni). Ne consegue che il "modello L'Aquila" non può che essere complesso ed inedito. Nel bene e nel male. Ovvio, di conseguenza, che per l'ultimo sisma del Centro Italia è più appropriato in generale riferirsi al modello umbro-marchigiano, il cui territorio e tipologia del danno fisico (alle strutture) sono più simili tra loro, rispetto all'Aquila.
Forse utile ricordare che invece il "modello umbro" (il terremoto avvenne nel 1997 sotto il Governo Prodi I) veniva strumentalmente messo in cattiva luce agli occhi degli aquilani dal Governo Berlusconi "perché le persone sono rimaste anni nei container". Come cambiano le cose...
Su Il Corriere, Rizzo in particolare si concentra sui "professionisti della ricostruzione", titolo, in parte sarcastico, del pezzo che vede "il terremoto abruzzese" come "un formidabile banco di prova per i professionisti delle catastrofi: progettisti e imprese".
Arriva sinanche a tracciare un intelligente traite d'union tra il terremoto dell'Umbria-Marche con quello dell'Aquila e - potenzialmente - con quello di Amatrice. Faglie e interessi sono vicini.
Rizzo parte da una questione che ha connotato tutti i terremoti moderni e che ha trovato forse la sua maggiore espressione nel modello (sistema?) L'Aquila: il fatto che i soldi pubblici (indennizzo) siano considerati a tutti gli effetti privati.
Di seguito, una parte del suo interessante articolo:
Gian Antonio Stella, invece, partendo sempre dalla prima pagina, pone la sua attenzione sulle pastoie burocratiche riservate agli aquilani che "ancora oggi, sette anni dopo il sisma, sono impantanati in una poltiglia di regole e regolette così cervellotiche da rendere difficile la posa di un solo mattone senza l'aiuto non solo di un geometra ma di una équipe di azzeccagarbugli".
Insomma, con lui si entra nel cuore tecnico del "modello L'Aquila" e della ricostruzione tra aggregati, parametriche e Mic. Certo, Stella taglia corto: "il cittadino perbene impossibilitato a destreggiarsi senza violare questa o quella norma affoga, tanto più dopo che la sua vita è già stata devastata da un trauma spaventoso quale il terremoto. Al contrario, in quella fanghiglia, il faccendiere con le amicizie giuste e magari un retroterra mafioso sguazza come nell'oro".
Vedremo quale legge sarà scritta per impostare la ricostruzione di Amatrice e degli altri centri colpiti. Si spera almeno che il "modello L'Aquila", serva a crearne uno migliore.
Già si parla di Vasco Errani, ex Governatore dell'Emilia Romagna ai tempi del terremoto del 2012, come possibile commissario straordinario. Ed è già bagarre politica (a discapito della figura che non sembra male).
Per fortuna il modello L'Aquila non è replicabile com'era. Oltre alle differenze tra i terremoti, bisogna fare anche quella tra periodi storici e quindi Governi, e Berlusconi e Berolaso non ci sono più.
Si è notato già ieri, quando nei funerali (riportati ad Amatrice per sollevazione popolare) Mattarella e Renzi si trovavano in piedi, confusi tra le altre persone, in un luogo spartano. A L'Aquila, già ai funerali (rinchiusi nella caserma della Guardia di Finanza, sede della Direzione di Comando e controllo di Bertolaso), Berlusconi non seppe stare al suo posto andando davanti tra i familiari delle vittime e iniziando quello che più che un terremoto sembrava l'inizio di un grande evento.
Queste erano le premesse, spettacolari, di quello che oggi chiamiamo "modello L'Aquila", passato per la militarizzazioni dei campi e il contrasto ad ogni forma di partecipazione cittadina (avvenuta nel silenzio del Sindaco), le proteste e la rivolta del 28/2/2010, i ritardi e infine l'agognato avvio della ricostruzione vera e prorpia contornata dal venire a galla di un sistema affaristico piuttosto disinibito.