Gli individui comunicano grazie a simboli, a realtà che rimandano ad un significato comune. Oltre a questo importantissimo compito, i simboli ne svolgono un altro altrettanto importante per la vita sociale: rafforzano i legami di appartenenza tra gli individui. Il simbolo, in altre parole, è il tramite attraverso il quale vengono storicamente prodotti i legami di identificazione tra singolo e comunità. Quando rappresentano concretamente delle collettività, rinforzano il senso di solidarietà degli appartenenti, consentendone la sopravvivenza secondo le modalità che le caratterizzano.
Rinforzano il senso di appartenenza. Proprio per la presenza di simboli pregnanti di senso e di affettività comunitarie, la memoria collettiva è uno dei più potenti fattori di solidarietà sociale. La nostra comunità, all'indomani del sisma del 6 aprile 2009, ha perso molti dei suoi simboli e, così, si sono spezzati i legami di appartenenza. La deportazione dei cittadini nei nuovi quartieri del progetto C.a.s.e. non ha fatto altro che offuscare il senso di identificazione.
E' per questo che, da allora, riappropriarsi di alcuni dei simboli che rappresentano la memoria collettiva della città significa ricostruirla, pian piano. Che sia la riapertura de Ju Boss o una passeggiata oltre le transenne delle zona rossa, nelle piazzette soffocate dalle macerie, riconoscere e ritrovare un simbolo comunitario vuol dire sentirsi, di nuovo, parte di una identità. In fondo, sentirsi di nuovo cittadini.
E' quanto accaduto ieri. Oltre duemila persone, giovani e meno giovani, bambini e anziani, si sono messi in fila per sbirciare tra i tubi del cantiere di restauro del Mammuth. Per rivederlo, dopo quattro anni e mezzo. Nonni e nonne sorridenti raccontavano pazienti ai nipotini di quell'enorme elefante preistorico. Ragazzi e ragazze che fino al 6 aprile non avevano mai prestato chissà quale attenzione ad uno degli esemplari di Mammuthus meriodonalis meglio conservati d'Europa sorridevano, al sole d'ottobre, all'idea di scattare una foto in attesa che, finalmente, si possa tornare a visitare il Forte spagnolo liberamente.
C'erano famiglie, gruppi di amici, coppie mano nella mano. Alcuni erano emozionati. Altri sono usciti in lacrime dal bastione est del castello cinquecentesco. Ieri, a L'Aquila, oltre duemila persone si sono riappriopriate di uno dei simboli della città. E, così, si sono sentiti un pò più cittadini, hanno percepito il senso di appartenenza ad una comunità, ad un territorio, ad una storia comune. Sembrerà banale, non lo è affatto.
Giornate come quella di ieri raccontano, molto più di tante parole, la terribile sofferenza che ha vissuto la città e il desiderio di normalità degli aquilani. Disposti a mettersi in fila per più di un'ora pur di dare una occhiata al Mammuth.
Soddisfatto il direttore generale Beni Culturali, Fabrizio Magani: "Il vero valore è la comunità. Restaurare è condividere nel procedere insieme alla progressiva riapertura dei luoghi storici". La buona notizia è che, entro la fine del 2014, il Mammuthus meridionalis tornerà ad essere visitabile tutti i giorni, così come il cortile del forte, arricchito da un corredo scientifico di immediata e più ampia comprensione grazie all’uso di supporti multimediali.
La storia. Rinvenuto nel 1954 in località Madonna della Strada nel comune di Scoppito, a circa 15 chilometri da L’Aquila, lo scheletro del Mammuthus meridionalis “vestinus”, conservato dal 1958 nel bastione Est del Forte Spagnolo, è uno fra gli esemplari più completi rinvenuti in Europa. Databile intorno ad un milione e trecentomila anni fa (Pleistocene inferiore), lo scheletro è in buono stato di fossilizzazione ed appartiene ad un esemplare di maschio adulto alto 4 metri al garrese e lungo 6,50 metri dalla punta della zanna all’estremità della coda, del peso di oltre 10 tonnellate (la sola zanna destra originaria ha il peso di 100 chili).
Il restauro. Gli interventi in corso sul prezioso reperto fossile si dividono sostanzialmente in due fasi; la prima è quella dedicata ad un’accurata serie d’indagini diagnostiche propedeutiche alla seconda fase, quella del vero e proprio restauro conservativo. Le diverse analisi - monitoraggio del microclima, radiografie, campagna fotografica a luce normale, radente e ultravioletta, analisi chimico-fisiche e mineralogiche e un rilievo laser scanner 3D - consentono di verificarne lo stato di conservazione, e quelle che utilizzano il modello tridimensionale dello scheletro, consentono di valutare il comportamento dinamico della struttura di supporto, sotto sollecitazione sismica simulata, indirizzando la progettazione di eventuali elementi integrativi o sostitutivi. Succesivamente si procederà con la pulitura, il consolidamento del tessuto osseo, le microintegrazioni delle singole parti scheletriche e la revisione delle parti integrate. È previsto anche il riposizionamento corretto degli arti anteriori.
Il nuovo allestimento. Per la sala è stato pensato un nuovo allestimento, che consentirà un’innovativa modalità di fruizione interattiva del Mammuthus, differenziata per tipologie d’utenti, restituendo il legame tra lo scheletro e la memoria collettiva della città e del suo territorio. Diversi livelli di racconto, basati su una rigorosa informazione scientifica, condurranno i visitatori nell’antico ambiente del protagonista e delle altre specie che costituivano la comunità faunistica e botanica dell’epoca, che sarà resa evidente dall’esposizione di inediti reperti recuperati in altri due siti dell’area aquilana. Approfondimenti che utilizzeranno la struttura logica dell’ipertesto e la tecnologia touch-screen e permetteranno di acquisire notizie sull’evoluzione dei proboscidati, sui cambiamenti climatici e sulla geologia del territorio aquilano in epoca Quaternaria.