Sabato, 29 Luglio 2017 05:04

Paganica 90 anni fa perdeva il Comune: storia di un'autonomia mancata

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"Mentre a Pescara si festeggia il novantesimo anniversario della costituzione della Provincia i cittadini di Paganica non ricordano con gioia quel 1927, anno V dell'era fascista".

Inizia così lo storia scritta da Walter Cavalieri e Claudio Panone, che vogliamo proporvi nella versione integrale, a proposito di Paganica, oggi la più popolosa frazione del Comune dell'Aquila, e ieri municipalità a sé. Era il 29 luglio del 1927, esattamente novanta anni fa, quando con regio decreto si annettevano a L'Aquila otto comuni limitrofi: Arischia, Bagno, Camarda, Paganica, Preturo, Roio, Lucoli, Sassa e San Vittorino, quest'ultima frazione di Pizzoli. In totale 28mila abitanti (secondo il censimento del 1921), a fronte di una popolazione aquilana di neanche 24mila persone.

Un cambiamento epocale per il capoluogo abruzzese. Nei decenni successivi solo Lucoli, nel 1947, riacquistò la sua autonomia, mentre è stata Paganica, supportata in parte da Arischia, a lottare di più per riconquistare il municipio. Un'impresa ancora non riuscita, nonostante la costituzione di comitati locali, duri scontri in piazza (come nel 1934), e un referendum che fece dibattere opinione pubblica e comunità, fino alla Regione e al governo, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta.

Il libro scritto da Cavalieri e Panone è di prossima uscita e si chiama La lotta per il ripristino delle autonomia locali soppresse dal fascismo. Il caso di Paganica, ipotesi per il futuro del territorio aquilano. Ve ne proponiamo un estratto, ringraziando gli autori per la disponibilità.

PAGANICA NOVANTA ANNI FA PERDEVA IL COMUNE


La restituzione all'Aquila sovrana. Mentre a Pescara si festeggia il novantesimo anniversario della costituzione della Provincia i cittadini di Paganica non ricordano con gioia quel 1927, anno V dell’era fascista, quando il podestà aquilano Adelchi Serena, vedendo l’egemonia dell’Aquila in ambito regionale, minata dalla perdita dei territori sottratti dalla sua provincia per la nascita delle province di Pescara e Rieti (volute dai due potenti gerarchi Acerbo e Potenziani), volle approfittare, a suo modo, del Regio Decreto n. 1564 del 29 luglio dello stesso anno.

Il decreto prevedeva la soppressione, ai fini della limitazione delle spese pubbliche, dei piccoli comuni economicamente passivi. Questo decreto certamente non poteva riguardare Paganica che vantava, al contrario, un bilancio in attivo, un’economia solida, una gestione sana e secoli di esperienza amministrativa.

Il 5 settembre 1927, il podestà, fece affiggere il manifesto che “restituiva all’Aquila, sovrana degli Abruzzi, il suo antico territorio comunale”.
Con l’annessione di Arischia, Bagno, Camarda, Lucoli, Paganica, Preturo, Roio Piano, Sassa e la frazione S. Vittorino del Comune di Pizzoli “Aquila – sottolineava il podestà – riprende il volo supremo sulle tracce delle glorie più antiche e delle speranze nuove, simbolo vittorioso delle audacie guerriere della Stirpe”.

Il podestà inoltre con la creazione della “Grande Aquila” pensava di dare corpo all’esecuzione dell’ambiziosa e vasta operazione urbanistica e di sviluppo turistico della città.

Con il R.D. n. 1564 si bloccavano per sempre le lancette della plurisecolare storia di liberi Comuni (nati nel 1528), sparivano dalla scena amministrativa realtà umane e sociali che molto avevano combattuto e sofferto per affermare la propria identità; il sacrificio di sette comuni (Lucoli sarà reintegrato nel 1947) si consumava per i disegni di un gerarca fascista che voleva creare” a futura e perenne memoria, la Grande città-capoluogo degli Abruzzi”.

Il 4 marzo 1927 il podestà A. Serena inviava una delibera podestarile al Prefetto dell’Aquila Rivelli, pregandolo di proporre al governo nazionale, con una procedura straordinaria, l’ampliamento del Comune dell’Aquila con l’aggregazione degli otto comuni confinanti e la frazione S. Vittorino del Comune di Pizzoli.

A questa delibera veniva allegata una “memoria” a sostegno della richiesta, costruita per fare apparire i comuni rurali, piccoli ed incapaci di amministrarsi, poiché privi di risorse sufficienti a sostenere le spese di gestione e quelle di programmazione. L’accorpamento era, quindi, da considerarsi, per Serena, come un gesto “umanitario” di grande sensibilità e generosità: “Aquila avrebbe portato la civiltà su tutto il contado e lo sviluppo ed il progresso sarebbero finalmente arrivati in quelle terre”.

E’ importante considerare, però, che il censimento del 1921 attribuiva agli otto comuni aggregati all’Aquila una popolazione di oltre 28. 000 abitanti:

- ARISCHIA: 1944 ab.
- BAGNO: 3927 ab.
- CAMARDA: 4104 ab.
- LUCOLI: 3691 ab.
- PAGANICA: 6266 ab.
- PRETURO: 2791 ab.
- ROIO: 2092 ab.
- SASSA: 2656 ab.
- Fraz. S. Vittorino del Comune di Pizzoli
Ed Aquila aveva una popolazione di appena 23. 899 abitanti.

Il Prefetto inviò il giorno successivo, alla Direzione Generale dell’Amministrazione Civile, la delibera con il suo parere favorevole. Nel mese successivo operò una consultazione, non vincolante ma prevista dalla normativa, presso i podestà dei comuni da sopprimere. I Comuni cercarono di opporsi all’aggregazione ma Serena riuscì a convincere podestà e fasci dei Comuni interessati. Le proteste più dure si ebbero a Paganica, Lucoli ed Arischia. L’aggregazione si concretizzò, praticamente, con il R.D. 29 luglio 1927.

I moti del 1934. Con la creazione della "Grande Aquila" si poteva dare esecuzione all'ambiziosa vasta operazione di trasformazione urbanistica e di sviluppo turistico della città. Il complessivo impegno finanziario, sostenuto per questo piano di radicale trasformazione dell'impianto urbano della città e di crescita turistica, comportò una gravosa esposizione debitoria dell'’Amministrazione podestarile. Intenso e sistematico fu, di conseguenza, il prelievo di risorse che si verificò nei centri aggregati.

Sotto il profilo fiscale gli ex comuni vennero sottoposti a pesanti tributi sui terreni, elevati di 4-5 volte rispetto ai carichi di tassazione applicati dalle precedenti amministrazioni autonome. Questa intensa pressione dette luogo ad accesissime proteste in tutti i centri annessi, come la generale sollevazione avvenuta nel 1930.

Ma i moti più veementi furono registrati proprio a Paganica, nel 1934, dove gli abitanti ingaggiarono vibranti scontri con la forza pubblica intervenuta a punire i riottosi alle imposizioni fiscali. Alla fine dell’estate dello stesso anno si costituì a Paganica un movimento autonomistico la cui opera di repressione fu coordinata dal nuovo podestà dell’Aquila Giallorenzo Centi Colella, uomo di fiducia e successore di Serena alla massima carica cittadina.

Sempre allo scopo di ricavare proventi, l’Amministrazione podestarile cedeva boschi e pascoli a ditte private forestiere limitando così fortemente gli antichi e vitali diritti di uso civico delle popolazioni. Dal punto di vista amministrativo i Comuni aggregati furono enormemente trascurati: non fu attuata la minima strategia di interventi che potessero favorire almeno prospettive, se non di crescita, almeno di mantenimento.
Nonostante le assicurazioni del Prefetto iniziò subito una progressiva demolizione delle identità e delle dignità degli ex Comuni con soppressione di tutti gli uffici del Dazio e di Conciliazione; a Paganica fu soppressa anche la Pretura.

Il primo tentativo di ricostituzione del Comune soppresso, soffocato sul nascere, è quello già citato del 1934.

Dopo la guerra. Terminata la seconda guerra mondiale, con la sconfitta del fascismo e della monarchia e l’avvento del regime repubblicano, il tarlo autonomista riemerse.

Nel 1945 si formò il “Gruppo di agitazione per l’autonomia di Paganica”. L’iniziativa, portata avanti per tre anni fu fatta fallire dal potere politico aquilano nonostante la favorevole delibera della Deputazione Provinciale. In questo periodo solo Lucoli riuscì a riappropriarsi della propria autonomia comunale.

Un successivo tentativo, per riavere un municipio autonomo, si ebbe, con un nuovo Comitato, nel 1951 ma anche quella occasione andò perduta, per Paganica, osteggiata sempre dalla forte opposizione di politici aquilani.

Gli anni '80. Nel 1985, contemporaneamente all’istituzione da parte del Comune di L’Aquila dei Consigli di Circoscrizione, il P.S.I. di Paganica ribadì la necessità della gestione amministrativa autonoma, una posizione che fu valutata, dagli altri partiti paganichesi, come un modo arguto di cercare consenso.

Paradossalmente però proprio l’istituzione dei Consigli di Circoscrizione e le loro difficoltà, per non dire impossibilità a gestire i tanti problemi delle frazioni, fece riemergere una diffusa voglia, tra i semplici cittadini, di una gestione autonoma.

Il 23 settembre 1987 nacque il “Comitato Civico per la ricostituzione del soppresso Comune di Paganica” al quale aderirono, oltre ai comuni cittadini, tutti i consiglieri di Circoscrizione. Il comitato elesse una Segreteria operativa che si fece carico di portare avanti l’iniziativa.
Al fondo della richiesta di ripristino dell’autonomia comunale c’era la consapevolezza della perdita di una funzione, dello svanire di un ruolo attivo nel contesto territoriale, c’era il bisogno diffuso di riconoscersi nei propri valori, di riscoprire l’identità unica del proprio ambiente.

L’iniziativa, perciò, non era una battaglia contro L’Aquila e, meno che mai, contro gli aquilani; con l’autonomia comunale si volevano innanzitutto ripristinare quelle condizioni secolari delle nostre zone, che facevano di Paganica il punto di riferimento di tutto il comprensorio e far emergere quelle grosse potenzialità di sviluppo, venute meno una volta inglobata nel Comune di Aquila.

La richiesta della ricostituzione del soppresso “Comune di Paganica” era conforme a tutte le normative vigenti ed una volta che le leggi per le iniziative popolari furono promulgate, il Comitato, a nome di tutta la popolazione della decima Circoscrizione presentò al Consiglio Regionale, il giorno 23 dicembre 1989, la richiesta di indizione del referendum consultivo, firmata dai capigruppo dei partiti rappresentati nel Consiglio Regionale.

I referendum consultivi. In esecuzione della delibera del Consiglio regionale del 6 febbraio 1990, con i decreti n. 370 e 371 del 2 aprile 1990 furono indetti i referendum consultivi per Paganica ed Arischia e fissata per il 10 giugno dello stesso anno la celebrazione degli stessi. L’8 giugno fu approvata da parte del Parlamento la legge 142/90 (legge di riforma delle Autonomie Locali). L’art. 11 di questa legge fa riferimento all’istituzione di nuovi Comuni, fissando a diecimila abitanti la soglia minima per accedervi.

L’ approvazione di questa legge costituì una doccia fredda per il Comitato poiché la stampa e le emittenti locali dettero ampio risalto all’approvazione della 142 con articoli e servizi che esprimevano l’ormai inutilità dei due referendum. L’impegno fino allora profuso e la voglia di autonomia manifestata dai cittadini furono elementi che imposero al Comitato di proseguire con fermezza e determinazione, cercando di aggregare il maggior numero di cittadini per arrivare alla istituzione del 109° Comune della provincia, il 6° per popolazione.

Gli ultimi giorni di propaganda furono di notevole impegno per il Comitato che riuscì a sensibilizzare in modo capillare tutti gli abitanti della decima circoscrizione.

L’esito del referendum fu positivo per Paganica. Il quotidiano locale Il Centro titolava un articolo sul referendum: “Una pioggia di sì per l’autonomia”. Anche il quotidiano nazionale “Stampa Sera” si interessò della vicenda autonomistica con la presenza a Paganica, nel giorno del referendum, del giornalista Dario Celli che il giorno successivo firmò un articolo su Paganica ed il referendum, in terza pagina.

In seguito all’emanazione della 142 ed in considerazione del fatto che in Paganica risiedeva un numero di abitanti inferiorie a diecimila, occorreva esaminare se fosse legittimo procedere alla ricostituzione del comune ed in particolare se, ai sensi dell’art. 36 della legge regionale 2.12.87, il Presidente della Giunta avesse dovuto proporre al Consiglio regionale un disegno di legge per l’istituzione del Comune di Paganica, in conformità dell’esito favorevole del referendum, o al contrario negare tale ricostituzione attenendosi alla norma della soglia minima di popolazione stabilita dalla 142.

I pareri di illustri costituzionalisti (Cassese, Porreca, Quaranta, Iannotta, Scoca) mettevano in evidenza che la 142 non ostacolava assolutamente l’iniziativa. A questo punto, però, scesero apertamente in campo le forze contrarie all’autonomia per contrastare, con tutti i mezzi a loro disposizione, quella che ritenevano un’autentica sciagura per la città capoluogo: l’autonomia di Paganica, di quel paese feudo di diversi personaggi politici. Ciò che prima non era stato degno di considerazione perché “era la volontà di quattro facinorosi, forse in cerca di visibilità politica” (così furono definiti i componenti del comitato da qualche personaggio aquilano) diventava repentinamente argomento politico di primaria importanza: oggetto di attacco era il Comitato ed il Consiglio Regionale, che si apprestava a votare il disegno di legge per la ricostituzione.

Diversi politici di spicco, aquilani e non, produssero un’opera di demolizione del processo autonomistico. Sui quotidiani apparivano le loro sdegnate reazioni per "l’attacco del Comitato all’integrità del Comune di L’Aquila”, per “i tentativi di ridimensionamento del capoluogo di Regione”, per “l’affronto all’Aquila di iniziative leghiste che minano la stabilità democratica”, per “le strumentalizzazioni politiche elettoralistiche”, per “la logica populista e di campanile,” per “gli ingiustificabili disegni posti in essere per mettere in discussione il ruolo di capoluogo di regione e di provincia della città di L’Aquila”.

La questione diventò motivo di lotta politica all’interno della D.C. a livello regionale, che si divise in favorevoli e contrari, soprattutto per le successive dichiarazioni del Ministro della Funzione Pubblica Remo Gaspari rilasciate in un incontro organizzato dalla Segreteria Operativa presso il Centro Civico di Paganica: ”Ho fatto esaminare la questione della ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia da due illustri magistrati del Consiglio di Stato, i professori Iannotta e Quaranta, ho avuto una risposta che non ammette discussioni: Paganica ed Arischia possono riavere il Comune”. Rivolto ai politici aquilani il ministro li invitò a non prendersela più di tanto: ”L’Aquila è e rimarrà l’importante città che è, non fosse altro perché è il capoluogo di Regione, il fatto di avere qualche migliaio di abitanti in meno non significa nulla”.

Il centro studi "Pragmata". Il 12 dicembre la Giunta Regionale deliberò, a maggioranza, con l’astensione dell’assessore (D.C.) Lettere, di proporre all’esame del Consiglio Regionale il disegno di legge sulla ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia. Quando tutto sembrava andare per il verso auspicato dal Comitato per l’autonomia, un telex, inviato dal Ministero degli Interni al centro studi Pragmata, rimetteva in discussione la ricostituzione del Comune di Paganica.

Il centro studi “Pragmata” era un’associazione costituitasi da poco, di cui pochissimi ne conoscevano l’esistenza e che annoverava fra le sue fila alcuni politici aquilani.

Pragmata inviò una lettera al Ministero degli Interni, il 10 dicembre, chiedendo lumi sulla legittimità della richiesta autonomistica di Paganica ed Arischia.

Dal Ministero, contrariamente alla lenta burocrazia italiana, la risposta arrivò in tempi rapidissimi. Con il telex, a firma del dott. Riccardo Malpica, partito da Roma il 12 dicembre, il Ministero degli Interni, di fatto si escludeva la possibilità di ricostituire i due Comuni. Sull’ iniziativa di Pragmata il vice Sindaco del Comune di L’Aquila Giovanni Giuliani affermava: “ormai i partiti sono stati esautorati da qualsiasi tipo di dibattito e tutto si fa attraverso club spesso sponsorizzati da politici”. C’è da rilevare che qualche giorno prima alcuni politici ebbero un incontro a Roma con il Sottosegretario (contrario all’ipotesi di ricostituzione).

La storia del telex al centro studi Pragmata anticipava una conflittualità giuridica che si sarebbe manifestata in maniera eclatante l’anno successivo.

Il destino dell’autonomia di Paganica prendeva ormai un strada sulla quale le forze basate sul rispetto delle leggi e delle regole democratiche non sarebbero più riuscite ad incidere. "Il caso Pragmata", per le reazioni visibili e invisibili che scatenò, è stato uno degli elementi più negativi per il movimento autonomistico.

Gli anni Novanta. Il 5 marzo 1992 fu un’altra giornata indimenticabile per Paganica: il Consiglio Regionale dopo una forte pressione esercitata dal Comitato, approvava, all’unanimità con la sola astensione del consigliere L. Del Gatto, la legge che sanciva la ricostituzione dell’autonomia municipale.
Prima della discussione in Consiglio un pacifico e composto corteo di oltre tremila cittadini della decima circoscrizione, con striscioni, canti e bandiere, partendo dalla Fontana luminosa, attraverso corso V. Emanuele, aveva raggiunto il palazzo dell’Emiciclo, sede del Consiglio Regionale per attendere il sospirato assenso alla ricostituzione del Comune.

L’approvazione da parte del Consiglio Regionale, non rendeva comunque operativa ancora la legge di ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia: necessariamente doveva passare al vaglio del Commissario di Governo, che l’avrebbe poi inviata, tramite il Ministero delle Regioni, al Ministero degli Interni: la legge di ricostituzione non trovò, il 3 aprile, un’accoglienza al Governo che la rinviò alla Regione.

Il 18 giugno il Consiglio Regionale riapprovava all’unanimità la legge che veniva rimandata al Commissario di Governo e da questi al Ministero degli Interni. Il 5 luglio il Governo impugnava la legge regionale di ricostituzione dei Comuni di Arischia e Paganica, e la vertenza passava nelle mani della Corte Costituzionale, che era chiamata a pronunciarsi, in via definitiva ed inappellabile, sulla legittimità giuridica della legge stessa.

La Regione Abruzzo sceglieva come difensore l’Avv. Gustavo Romanelli con il quale la Segreteria operativa ebbe diversi incontri per preparare un’arringa ben argomentata necessaria per smontare la tesi della controparte. All’Avv. Romanelli furono forniti tutti i dati demografici e storici.
La discussione della vertenza Presidente Consiglio dei Ministri contro la Regione Abruzzo venne fissata per il 1° dicembre. La rappresentanza di Paganica, guidata dalla Segreteria operativa al completo, si presentò numerosa ed organizzò una tranquilla manifestazione in piazza del Quirinale con uno striscione inneggiante all’autonomia municipale. Ad assistere alla seduta furono ammessi in pochi. Relatore della Corte fu il giudice E. Cheli che, ripercorrendo la storia delle richieste autonomistiche, metteva in rilievo il contenzioso tra la Regione Abruzzo ed il Governo. Successivamente prendeva la parola l’Avv. Franco Favara, dell’Avvocatura dello Stato, che riconfermava la posizione del Governo.

Nella memoria presentata in precedenza l’Avvocatura sosteneva che in caso di separazione dall’Aquila, i cittadini di Paganica sarebbero stati dei privilegiati perché nel loro territorio sarebbe ricaduto il Nucleo Industriale: la ricostituzione del Comune di Paganica, privando L’Aquila di quella importante zona avrebbe mutato l’assetto economico-industriale del territorio aquilano.

L'avv. Romanelli partì dal momento dall’aggregazione forzata del 1927, mettendo in rilevo come fin da allora le due popolazioni, nonostante il clima repressivo del momento, non avessero accettato la soppressione, e come le iniziative autonomistiche fossero riprese anche dopo la caduta del fascismo.

L'avv. Romanelli così concludeva: "...un no alla ricostituzione dei Comuni di Paganica ed Arischia sarebbe un’ingiustizia discriminante rispetto a tutte quelle amministrazioni locali che grazie alla legge 71 del ’53, hanno riacquistato nel corso degli anni la propria autonomia, soppressa durante il ventennio fascista". Ma l’ingiustizia, ancor più grave di quella perpetrata nel 1927, fu fatta con la sentenza firmata dal presidente F.P. Casavola, dal relatore E. Cheli, dal cancelliere G. Di Paola, emessa il 18 dicembre, depositata in cancelleria e resa pubblica attraverso la G.U. del 5 gennaio 1993.

Pur non avendo avuto un esito positivo il tentativo autonomistico ha evidenziato, comunque, un malessere verso chi in sessanta anni non ha saputo e purtroppo ha continuato poi a non saper promuovere un’opera d’integrazione e di difesa dell’unità comunale attraverso una sana, equilibrata amministrazione ed un’equa distribuzione delle risorse.

La rassegnazione. Dalla sentenza sono trascorsi altri venticinque anni ed il territorio ha trovato ulteriore abbandono e trascuratezza: in molti cittadini si è instaurata una certa rassegnazione proprio per la mancanza dei più elementari servizi per la collettività.

Si sarebbe dovuto recuperare lo sbilanciamento che si è creato tra la zona ovest ed il comprensorio paganichese: la zona est dell’Aquila è stata continuamente considerata il territorio di “servizio” dove localizzare i siti per lo smaltimento dei rifiuti (Caminole, Teses 1, Teges 2, Monte Caticchio, Monte Manicola), del canile comunale, di un’ impropria area industriale.

Però in tutti questi anni diverse sono state le occasioni per il recupero della qualità della vita per l’ex Comune, ma sono state tutte mancate: l’acquisto del Palazzo Dragonetti, l’acquisto del Palazzo Rossi-Tascioni, la realizzazione della piazza nell’orto Rossi-Tascioni, l’utilizzo del Palazzo Ducale per la realizzazione di un polo culturale, il recupero degli spazi delle aie, la realizzazione di parcheggi, la sistemazione del mercato settimanale, il recupero delle due storiche fiere, la realizzazione di spazi per i ragazzi, per i giovani e per gli anziani, la realizzazione di una sala polifunzionale per riunioni e conferenze (il Centro Civico non può ospitare più di trenta persone!), la realizzazione del progetto dell’I.F.N. di un invaso nelle cave Teges 1 per raccogliere acqua da destinare all’agricoltura, la sistemazione e la costante pulizia del centro storico e delle frazioni, la valorizzazione delle emergenze storiche, architettoniche ed ambientali di Paganica e delle frazioni, il completamento e/o recupero delle strutture del Centro Polifunzionale, anche come nuova sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dopo il terremoto.

Questa situazione ha trovato nel tremendo sisma del 6 aprile 2009 una grave accentuazione. La maggiore opportunità che il terremoto ha offerto, al netto dei gravi lutti e delle distruzioni provocate, era quello di ricostruire la Città, nella sua interezza, non "com'era dov'era" ma "dov'era e meglio di com'era".

Ultima modifica il Domenica, 30 Luglio 2017 01:03

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