Sabato, 21 Luglio 2018 09:57

Antonio Moretti, memorie di Pisa

di  Antonio Moretti

Carissimi Geocuriosi, il sole di luglio batte caldo sulle nostre teste,e sembra che anche l’irrequieta crosta della nostra Penisola si voglia prendere un attimo di quiete. Terremoti e vulcani tacciono, ed io, dalle assolate viuzze della mia città natia, prendendo a prestito il titolo di una famosa poesia di Giuseppe Giusti, ne approfitto per qualche riflessione oziosa di cui voglio farvi partecipe.

MEMORIE DI PISA

Davanti a me, in via S.Maria a Pisa, c’è l’Istituto di Geologia e Paleontologia dell’Università, ed in alto, quasi sotto il cornicione, le finestrelle della soffitta dove da studente prima e da borsista poi, ho passato tante giornate di studio e di lavoro così come, prima di me, tanti personaggi di ben maggiore levatura scientifica. Ora, naturalmente, sono chiuse perché “non a norma” e la Scienza è stata trasferita d’ufficio in tanti asettici cubicoli dove i pensieri, orfani di ogni ambizione creativa e memoria storica, si infrangono vanamente contro le pareti ben imbiancate. Si chiama Progresso.

Sull’altro lato della strada c’è la Domus Galileiana, ed accanto la casa natale di Antonio Pacinotti, dove ai miei tempi erano nascosti i terminali che, tramite schede perforate, collegavano gli studenti con le immense potenzialità di calcolo del primo grande (in senso fisico) calcolatore italiano. Poco oltre una porticina scrostata esibiva la poco rassicurante insegna “Geologia Nucleare” suscitando, in noi poveri geologi martello & scarponi, reverenziali timori. Nello stesso palazzo, ma sul lato opposto ed ai piani superiori, c’era l’Istituto di Fisica dove, qualche anno prima, avevo tentato inutilmente di approcciarmi ai misteri della struttura dell’Universo.

Ancora oltre, in Piazza Dante, c’era la casa delle Zie Puccianti (Anna e Giuseppa, detta Pinuzzola), due gentili signorine che hanno ospitato generazioni di fisici pisani. Zia Anna, che per molti anni ha insegnato al Conservatorio di Livorno, è stata anche la maestra di pianoforte di decine di nipoti della famiglia, compresi i miei figli. Non mia, purtroppo. Quando venne il mio turno di essere presentato alla zia, dopo pochi minuti di vani tentativi di farmi tenere il ritmo sui tasti d’avorio, questa si volse sconsolata verso mio padre pronunciando la fatidica frase: “Guido, fagli fare lo scienziato che la musica non è cosa per lui!”.

Così è stato, alla fine.

Il padre di Anna e Pinuzzola si chiamava Luigi, ed è stato un discreto fisico, professore alla Scuola Normale Superiore negli anni tra il 1920 ed il 1950. Molti dei suoi allievi sono diventati fisici di livello internazionale, ed alcuni li ho conosciuti anche io nella mia breve incursione nel mondo dello studio della Fisica. L’allievo più conosciuto di Luigi Puccianti fu un certo Enrico, Fermi di cognome, che frequentò i suoi anni di università presso l’Università di Pisa. Rendendosi rapidamente conto del valore dello studente Luigi gli chiese cosa potesse insegnargli che lui già non sapesse. La risposta, ben nota, fu: “niente Professore, ma le sarei grato se potesse mettere a mia disposizione il suo laboratorio e mi assistesse negli esperimenti”. Cosa che il Professor Puccianti, con una certa umiltà, fece, seguendo il giovane nella sua Tesi di Laurea di cui fu Relatore.

Il resto della storia la conoscete tutti.

Enrico Fermi è stato un ricercatore eccezionale ed ha saputo coordinare un gruppo di scienziati fantastici che, nel bene o nel male, hanno cambiato il mondo. Tuttavia non ha lasciato nessun allievo. Della sua attività didattica ci rimane solo un volumetto di Termodinamica, in realtà una raccolta di appunti di un anno delle sue lezioni, che ancora costituisce un testo essenziale per gli studenti di Fisica di tutto il mondo.

fermiOra vi chiedo: chi fu più grande, Luigi od Enrico? Il Maestro o l’Allievo? Cosa sarebbe successo se il vecchio Professore, preso dalla gelosia per il giovane brillante, lo avesse ostacolato nella sua attività di studente e di ricercatore? Eppure è proprio questo che succede nell’inetta genia dei piccoli uomini che da decenni occupano l’infido sottobosco della pubblica amministrazione e delle grandi industrie di stato.

Negli anni ’80 dello scorso secolo, una leggina fattapposta con l’avvallo dei sindacati ha permesso l’immissione in ruolo, senza alcun concorso, di migliaia di laureati e diplomati presi dalle liste di disoccupazione, i quali ancora oggi formano la classe dirigente dei nostri servizi tecnici con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: un muro di incompetenza e di arroganza contro il quale si scontra tanto il ricercatore quanto il comune cittadino. Nessun funzionario inetto, chiuso nell’arroganza del suo frammento di potere, accetterà mai un giovane brillante che possa fargli ombra. Purtroppo questa malarazza autoreplicante sta allargando sempre più i suoi tentacoli verso l’Università e gli Istituti di ricerca, soffocando lentamente ogni libero pensiero ed ogni nuova iniziativa scientifica.

Io mi ricordo perfettamente il momento in cui mi innamorai della Scienza, e chi fu il mio Maestro. Si chiamava GianAngelo Dell’Amico, e per tre meravigliosi anni mi insegnò Osservazioni Scientifiche alla Scuola Media “Luigi Staffetti” di Massa. E dopo di lui Livio Trevisan, Gaetano Giglia, Luigi Carmignani, Gabor Dessau e, ultimo ma non ultimo, Paolo Scandone, recentemente scomparso. Perché questo è fare Scienza, il piacere di scoprire cose nuove e di raccontare agli altri il frutto del proprio pensiero. Cosi come un padre tramanda se stesso attraverso i propri geni, così lo scienziato si rende immortale attraverso i suoi allievi.

Questo, solo questo, distingue i Grandi Uomini dai Quaquaraqà.

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