Presentata a Roma, nei locali dell'Accademia di Belle Arti in via di Ripetta, presieduta da Mario Alì e diretta da Tiziana D'Acchille,la mostra del pittore aquilano Marcello Mariani scomparso nel 2017. La personale, promossa dalla Regione Abruzzo, sarà inaugurata l'1 ottobre nei locali del Complesso del Vittoriano e apre idealmente la strada alla ricorrenza del decennale del terremoto, che coinciderà con la primavera dell'anno prossimo.
In un legame indissolubile fra l'artista e la sua città natale, i "muri" da lui dipinti sono stati anche di buon auspicio e quasi di stimolo ideale per la rinascita di uno dei simboli della città, la cinta muraria trecentesca, oggi in gran parte restaurata dopo il terremoto del 2009. Insieme ad una quindicina di opere, tutte realizzate nel 2009, verranno esposti tre grandi quadri degli anni successivi che testimonieranno le stratificazioni di memorie, di segni, di voci, di storie dimenticate che animano i palinsesti dipinti da Mariani.
Quasi a colmare la perdita di ciò che è andato distrutto nel terremoto, saranno presentati alcuni straordinari scatti di Gianni Berengo Gardin, insigne maestro della fotografia italiana oltre che amico dell'artista, col suo reportage realizzato prima del sisma e dedicato a Mariani, al suo studio e ai suoi prediletti luoghi aquilani.
La mostra di Mariani si lega anche al profondo rispetto che l'artista nutriva per l'Accademia, soprattutto per il messaggio creativo ed etico trasmesso ai più giovani, per quel senso di memoria in divenire espresso anche dalle sue opere post-terremoto. Questo legame ideale troverà compimento anche nella donazione, da parte degli eredi, di un'opera dell'artista all'Accademia e nell'organizzazione di un laboratorio sulla pittura di Mariani aperto agli studenti e tenuto da due docenti dell'Accademia: Maria Teresa Padula e Vincenzo Scolamiero.
Marcello Mariani (L’Aquila 1938-2017), artista astratto di caratura internazionale, è diventato il simbolo dell'anima ferita, ma indomita, dell'Aquila dopo il devastante terremoto del 2009, dell'arte che non si arrende di fronte all'orrore per continuare a generare bellezza, ricucendo le fratture e suturando le ferite. Dopo aver perso studio e abitazione nel rovinoso sisma, lo si vedeva camminare in silenzio nella periferia dell'Aquila deturpata, lungo strade deserte di quartieri evacuati. E all'improvviso capitava di vederlo chinarsi per raccogliere polvere e frammenti di cemento, pezzi di intonaco frantumato, cornici salvate dal disastro. Li usava per creare nuove e bellissime opere astratte in cui c'è, anche fisicamente, tutta quell'apocalisse.
In quei quadri, tutti del 2009, ed ora esposti all'Accademia di Belle Arti di Roma, si respira un senso di rinascita e di speranza, espresse anche dai colori leggeri, ariosi, mediterranei. In qualche modo, la ricostruzione della città è cominciata proprio da qui, da queste opere in cui l'artista rimette insieme i pezzi di quello che è andato distrutto per ridargli un senso ed una prospettiva volta verso l'avvenire. Lo si vede bene, tra i lavori in mostra, in un'opera di per sé unica nel suo farsi evidente e dichiarato manifesto della speranza che L'Aquila, pur ferita, fragile e lacerata, possa riprendere presto il volo. Ciò si lega anche alla costante riflessione dell'artista sul rapporto tra frammentazione caotica ed aspirazione alla totalità.