E dunque, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato il così detto 'decreto Sicurezza', la straordinaria macchina di consenso politico che il Ministro dell'Interno Matteo Salvini si è cucito addosso, sulla pelle di migliaia di esseri umani in condizione di fragilità. Con la complicità del Movimento 5 Stelle e anche di chi, come il presidente della Camera Roberto Fico, ha parlato soltanto dopo, a giochi fatti. Non si può tacere che il decreto, come approvato dal Parlamento, avrà l'unico effetto di riempire le strade delle nostre città di migranti, alimentando, così, la falsa sensazione d'invasione su cui Salvini ha costruito la sua scalata politica.
Basta leggere l'articolo 1 del provvedimento che prevede l'abolizione dei "permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario", una delle tre tipologie di assistenza che potevano essere riconosciute ai richiedenti asilo (le altre due sono lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria); istituita nel 2008, la protezione umanitaria consisteva in un titolo di soggiorno della durata massima di due anni, durante i quali i beneficiari potevano accedere ad attività di lavoro, corsi di formazione e all’alloggio in strutture statali dedicate alle prima accoglienza (come i Cara e i Cas). Era richiesta, per lo più, da persone in evidente condizione di vulnerabilità, che per qualche ragione contingente non rientravano nei criteri stringenti per ottenere lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Negli ultimi anni è stata la forma di protezione più diffusa in Italia ed è prevista e utilizzata in diversi altri paesi europei.
Ebbene, con la promulgazione del decreto gli oramai ex beneficiari stanno già finendo per strada; le Prefetture, infatti, hanno iniziato a comunicare ai gestori dei vari centri che i migranti dovranno abbandonare le strutture, essendo venuto meno il diritto loro riconosciuto.
Che destino avranno le persone che Salvini sta sbattendo per strada? In teoria, dovrebbero essere espulse dall'Italia. Ma non accadrà. I rimpatri, infatti, prevedono costi e procedure che sono fuori dalla portata del governo: d'altra parte, ricordate la promessa del Ministro dell'Interno che, in campagna elettorale, aveva assicurato che avrebbe rispedito a casa 600mila immigrati? Sappiamo come è andata a finire. Stando al Sole 24 Ore, il costo medio di un rimpatrio è di 6mila euro a migrante: fatevi i calcoli, considerato che si stimano almeno 40mila espulsioni dai centri di prima accoglienza. Parliamo di 240milioni di euro. E non stiamo considerando il ridimensionamento degli Sprar, i centri di seconda accoglienza, che saranno riservati solo alle persone che avranno già ottenuto una forma di protezione (oggi sono aperti anche ai richiedenti asilo). Il decreto non sarà retroattivo: di conseguenza, i richiedenti asilo e i titolari di una protezione umanitaria che al momento vivono in uno Sprar rimarranno ospiti fino alla fine del progetto individuale, che può durare uno o due anni. Poi, via anche loro.
Sia chiaro, non si tratta soltanto di questione economiche, pure importanti: per avviare i rimpatri, l'Italia dovrebbe sottoscrivere accordi bilaterali con i paesi d'origine dei migranti: ad oggi, è stato fatto con Tunisia, Marocco, Egitto e Nigeria; non risultato patti con i paesi a più forte provenienza migratoria, come l'Eritrea o l'Iraq, per citarne alcuni.
E stiamo volutamente tralasciando la disunaminità di una azione così violenta.
Sul breve periodo, Salvini incasserà il plauso per l'approvazione del decreto, solleticando la pancia degli italiani; sul medio periodo, con i migranti per strada potrà soffiare ancora sul fuoco della paura, intensificando la sua campagna politica e mediatica contro l'altro, il diverso, il migrante. Sul lungo periodo, a pagare lo scotto del decreto saranno gli Enti territoriali, i Comuni, generandosi maggiori costi e confltti sociali, emarginazione, caos e, di fatto, uno stato di emergenza permanente. Tra l'altro, cancellare l'iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo, come previsto dal provvedimento, potrebbe significare l'esclusione di migliaia di persone dai servizi santitari, con i rischi per la salute pubblica che una decisione del genere potrebbe comportare.
Viviamo oggi una pagina nerisissima della nostra debole democrazia.