Mercoledì, 10 Aprile 2013 02:12

Il dissesto dell'Accademia, immagine del declino culturale della città

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Il Tribunale amministrativo regionale, con sentenza numero 225 del 14 marzo 2013, ha accolto il ricorso proposto da Giancarlo Iannucci, dipendente dell'Accademia dell'Immagine in cassa integrazione dal 1 maggio 2009, che aveva chiesto l'annullamento della convenzione stipulata dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune dell'Aquila con la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia e con il ministero per i beni e le attività culturali. E' solo il primo grado di giudizio, certo, ma la sentenza è destinata a fare parecchio rumore. Proviamo a capire perché.

La convenzione è stata firmata il 27 maggio del 2011, per "assicurare le prosecuzione dell'attività culturale e didattica già svolta dall'Accademia" attraverso l'apertura, in città, di una sede distaccata del Centro sperimentale di cinematografia. Le amministrazioni pubbliche si sono "obbligate ad assumere a proprio carico i costi dell'operazione, stimanti in non meno di 550mila euro". La Regione si è impegnata per un cifra di 300mila euro, la Provincia e il Comune per 25mila e il Ministero per 200mila euro.

I giudici hanno deciso, però, di annullare i provvedimenti e tre articoli della convenzione (art.6-7-9). Le amministrazioni pubbliche, a leggere le motivazioni della sentenza, "hanno confuso la qualità di soci con il potere di disporre dei diritti dell’Accademia dell’immagine" scegliendo "di finanziare l’attività concorrente della Scuola di Cinema". Il fatto che la Fondazione non abbia assunto oneri che garantissero gli interessi dell’Accademia o quelli occupazionali dei dipendenti (solo tre lavoratori sono stati riassorbiti dal Centro sperimentale, i restanti dieci sono in cassa integrazione dal 1 maggio 2009) a fronte dei notevoli contributi economici ricevuti e della dotazione della sede, renderebbe illegittimi gli atti perché contrari all’interesse pubblico che le amministrazioni, quali soci dell’Accademia dell’Immagine, sarebbero tenute a perseguire. In altre parole, "la lesione prospettata è che la stipula della convenzione implica necessariamente l'impossibilità per l'Accademia di tornare ad operare e riassorbire, così, i propri dipendenti. L'esistenza di tale nesso sembra indiscutibile, avendo la convenzione ad oggetto un'attività che può essere svolta da uno solo dei soggetti espressamente considerati negli atti".

Le amministrazioni pubbliche, insomma, sarebbero venute meno ai loro doveri istituzionali. Un giudizio severissimo, quello dei giudici.

Staremo a vedere cosa succederà nei prossimi gradi di giudizio. Certo è che la questione dell'Accademia dell'Immagine è assai spinosa e si trascina, con il solito rimpallo di polemiche e responsabilità, da prima del terremoto del 6 aprile. Facciamo un po’ di ordine.

L'Accademia è stata fondata nel 1991, da Vittorio Storaro e Gabriele Lucci. Attiva nel campo della didattica del cinema e della comunicazione audiovisiva, era un'eccellenza locale, riconosciuta a livello nazionale. Tanto che la regione, con legge n.4 del 9 febbraio 2000, decise di partecipare, con un mutuo ventennale da 222mila euro l'anno, all'acquisto di una sede di 5000mq a Collemaggio. Valore 6 milioni di euro.

I conti, però, non sono mai stati in ordine: si è iniziato con il mancato saldo di stipendi e contributi per i dipendenti. Sono mancati, poi, i finanziamenti regionali che hanno causato un’importante crisi di liquidità. La situazione, nel tempo, si è fatta sempre più preoccupante: nel 2009 i debiti dell'Accademia ammontavano a più di 1 milione e 200mila euro.

Il terremoto, insomma, ha solo aggravato una situazione già difficile, colpendo duramente la sede, inagibile da allora. L'attività si è, così, interrotta con i dipendenti collocati in cassa integrazione. La Carispaq, infatti, ha rifiutato di erogare un mutuo, già accordato il 2 di aprile del 2009, perché a garanzia c’era proprio il palazzo storico. I soldi sarebbero serviti a risanare i debiti.

L’Accademia, da allora, è scomparsa: ad oggi non c’è un legale rappresentante e non c’è un consiglio di amministrazione in carica. Se vi state chiedendo perché i 550mila euro stanziati nel maggio 2011 per stipulare la convenzione istitutiva del Centro sperimentale di cinematografia non sono stati erogati all'Accademia, la risposta è presto detta: per permettere agli studenti di proseguire l'attività culturale e didattica. La somma, infatti, sarebbe stata subito pignorata dai creditori.

L'assessore Stefania Pezzopane ha accusato più di una volta la Regione di non essersi mai interessata alla vicenda. Il decreto Bertolaso aveva stanziato 500mila euro per la sede dell'Accademia, soldi insufficienti senza l'aiuto della giunta guidata da Gianni Chiodi. L'intervento di recupero, poi, doveva essere programmato in modo integrale insieme agli altri stabili dell'azienda sanitaria, essendo all'interno della proprietà della Asl. Altro discorso spinoso, e pieno di lati oscuri. E c’erano i debiti da saldare.

La Regione, però, ha sempre sostenuto di non essere responsabile della chiusura dell'Accademia. Rispondendo ad una interrogazione presentata dal consigliere Walter Caporale nel novembre 2011, l'assessore De Fanis ha sottolineato come l'ente avesse stanziato contributi per 520mila euro nel 2008 e di 222mila euro per gli anni a seguire (la rata del mutuo, per intenderci).

Insomma, come si sia arrivati ad una situazione debitoria così disastrosa e all’abbandono del dopo terremoto è difficile da capire. Di chi sono le responsabilità? Possibile che nessuno si sia accorto di quanto stava accadendo? Ad oggi, dieci dipendenti sono ancora in cassa integrazione. Sono loro che stanno pagando, da anni, il conto di una amministrazione irresponsabile.
Ora, si attende la nomina del nuovo Cda che dovrebbe, quantomeno, sbloccare le somme stanziate dal Decreto Abruzzo per il recupero dell’immobile storico. Il nome più accreditato per guidare l'Accademia sarebbe quello di Beomonte Zobel, ora presidente del Centro Turistico Gran Sasso, ma con la nomina in scadenza, così come tutte quelle delle partecipate del Comune. I soliti noti, insomma.

Cosa accadrà poi, nessuno può prevederlo. Per assicurare un futuro all'istituzione bisognerà saldare i debiti e riprendere le attività culturali e didattiche. A quel punto, però, che fine farà il Centro sperimentale di cinematografia per cui sono stati spesi 550mila euro? Se dovesse essere confermata la sentenza di primo grado dei giudici del Tar, dobbiamo aspettarci la fine di questa esperienza con il serio rischio che l'Accademia non sia comunque in grado di far fronte ai debiti pregressi? L'Aquila perderebbe una grande ricchezza culturale. Ed altri posti di lavoro. Se, al contrario, i giudici di secondo grado dovessero ribaltare la sentenza di marzo e riconoscere la convenzione, come potranno convivere le due realtà? C'è un progetto organico di rilancio?

Il sindaco Massimo Cialente, intanto, ha mostrato la volontà di impugnare immediatamente la decisione del TAR al Consiglio di Stato ed ha esortato la regione Abruzzo, nella persona del Presidente del Consiglio regionale Nazario Pagano, a nominare o un presidente o un commissario. Troppo poco, però. Ci vogliono risposte certe, se L'Aquila non vuole perdere le competenze e le esperienze acquisite negli anni. Sarebbe davvero un brutto segnale, per la città che si candida a Capitale europea della cultura 2019.

Ultima modifica il Giovedì, 25 Luglio 2013 18:03

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