Martedì, 19 Novembre 2019 14:02

Il clima è già cambiato, Legambiente: "E' tempo di nuove politiche urbane"

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Il clima è davvero già cambiato.

Le analisi confermano l'aumento della temperatura in ogni angolo del pianeta ed in parallelo il ripetersi, con sempre maggiore frequenza ed intensità, di fenomeni atmosferici di una dimensione tale che nessuno può più negare o far finta di non vedere. L'accelerazione dei processi e l'intensificarsi degli impatti devono portare quanto prima a prepararsi ed adattarsi ad un clima che è già cambiato e che cambierà ancora, con l'obiettivo di salvare le persone e ridurre l'impatto economico, ambientale e sociale dei danni provocati.

Il rapporto WMO (Organizzazione meteorologica mondiale) sul clima globale, che analizza il periodo 2015-2019, afferma che la temperatura media è aumentata di 1,1°C rispetto al periodo preindustriale e di 0,2°C rispetto al periodo 2011-2015. Anno dopo anno si ripetono record, quanto mai preoccupanti, che non possono lasciare indifferenti: gli anni più caldi, gli uragani più violenti di sempre, le ondate di calore più forti e prolungate.

Mentre si definiscono analisi sempre più attente e approfondite delle mutazioni atmosferiche in corso, si rincorrono fenomeni sempre più preoccupanti. In molte aree del pianeta, ad esempio in California, la siccità sta aumentando in modo rilevante il rischio di incendi. L'estate 2019 ha visto incendi senza precedenti nella regione artica; solo a giugno, questi incendi hanno emesso nell'atmosfera 50 milioni di tonnellate di anidride carbonica, più di quanto sia stato rilasciato dagli incendi dell'Artico nello stesso mese dal 2010 al 2018 messi insieme. In parallelo si riduce l'estensione media (estiva) del ghiaccio marino nell'Artico, ben al di sotto della media del 1981-2010, così come l'estensione media del ghiaccio marino invernale. I quattro record più bassi per l'inverno si sono verificati durante gli ultimi 5 anni. Allo stesso modo i valori di estensione minima (estate) e massima di settembre (inverno) dell'Antartico sono scesi ben al di sotto della media 1981-2010 e la quantità di ghiaccio persa ogni anno dalla calotta antartica è aumentata di almeno sei volte.

Secondo i dati del Cnr, nell'ultimo secolo, i ghiacciai delle Alpi hanno perso il 50% della loro copertura; di questo 50%, il 70% è sparito negli ultimi 30 anni. I ghiacciai delle Alpi sotto i 3.500 metri di quota sono destinati a sparire nel giro di 20-30 anni. L'IPCC stima che le regioni del mondo con i ghiacciai meno estesi, compresa l'Europa, perderanno più dell'80% della loro attuale massa di ghiaccio nel 2100. Le regioni che potrebbero perdere quasi tutti i loro ghiacciai sono Caucaso, Asia settentrionale, Scandinavia, Ande tropicali, Messico, Africa orientale ed Indonesia. Questo porterà ad altre conseguenze immediate, quali frane e valanghe, perché in molte aree di alta montagna il ritiro dei ghiacciai e la fusione del permafrost diminuiranno ulteriormente la stabilità dei pendii, mentre il numero e l'estensione dei laghi glaciali continueranno ad aumentare.

Tutti i dati indicano che le concentrazioni globali di CO2 potranno addirittura superare la soglia di 410 ppm entro la fine del 2019. Anche i mari diventano più caldi e si riduce la capacità di assorbimento di anidride carbonica. Il 2018 ha registrato i più alti valori di contenuto di calore oceanico nei primi 700 metri di profondità, con il 2017 al secondo posto ed il al 2015 terzo. Si è inoltre registrato un aumento complessivo dell'acidità del 26% dall'inizio della rivoluzione industriale a causa della CO2 assorbita dall'acqua di mare. La cattiva notizia è che i livelli di anidride carbonica hanno raggiunto nuovi record, con tassi di crescita della CO2 quasi del 20% superiori rispetto ai cinque anni precedenti.

Il bilancio degli eventi climatici estremi ci mostra come, anche per il 2019, non esistono regioni del Mondo risparmiate dall'impatto dei cambiamenti. Le ripercussioni economiche sono drammatiche. Le stime evidenziano come il costo delle catastrofi legate al clima sia pari ad almeno 520 miliardi di dollari all'anno. Nel 2018 si sono contati 850 disastri naturali mondiali, soprattutto alluvioni, inondazioni, frane (46%) ed uragani e tempeste (42%). In un confronto con gli ultimi 30 anni il 2018 è stato il quarto anno più oneroso in termini di perdite assicurate. I Continenti più colpiti dai disastri naturali sono stati l'Asia (43%), il Nord America (20%), l'Europa (14%) e l'Africa (13%).

Sono circa 10.400 le persone in tutto il mondo che nel 2018 hanno perso la vita in disastri naturali ed il 35% delle vittime è stato causato da alluvioni ed inondazioni, soprattutto in Asia ed Africa, una percentuale molto superiore alla media del periodo 1980-2017 che era stata del 14%. L'organizzazione mondiale della sanità ha stimato tra il 2030 e il 2050 circa 250mila decessi l'anno correlati ai cambiamenti climatici.

Una recente ricerca della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e dalla Pennsylvania State University ha analizzato i dati relativi ai danni determinati da disastri avvenuti in tutto il mondo tra il 1960 ed il 2014, prendendo in considerazione solamente quegli eventi estremi collegati dalla letteratura scientifica al cambiamento climatico, come tempeste, uragani, ondate di calore, siccità, incendi e frane: i risultati mostrano che l'impatto economico di questo tipo di disastri, quando particolarmente nefasti (tra l'1% dei più dannosi), è aumentato di circa 20 volte.

L'Osservatorio Cittàclima di Legambiente è nato con l'obiettivo di capire la dimensione degli impatti in corso nel territorio italiano. Il monitoraggio e la marcatura dei fenomeni meteorologici estremi hanno permesso di individuare 350 Comuni dove si sono registrati impatti rilevanti, dal 2010 ad oggi, con 563 eventi registrati sulla mappa del rischio climatico. 

Qui, la mappa del rischio climatico nelle città italiane.

E' nelle città che si corrono maggiori rischi rispetto al passato e a pagare il conto più salato degli impatti dei cambiamenti climatici saranno i poveri. Il nostro Paese deve decidere di affrontare le inedite sfide che lo scenario climatico che stiamo vivendo ci pone di fronte, e di affrontarle con politiche nuove per evitare che gli impatti siano ancora più rilevanti nei territori.

La prima questione è legata ai cambiamenti in corso nel mar Mediterraneo, un'area considerata dagli scienziati un "hot spot" del cambiamento climatico, ossia una delle più sensibili. La seconda è che viviamo in uno dei Paesi più delicati dal punto di vista idrogeologico del mondo. Lo raccontano i numeri del Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia di Ispra: sono 7.275 i Comuni (91% del totale) a rischio per frane e/o alluvioni, il 16,6% del territorio nazionale è a maggiore pericolosità, 1,28 milioni di abitanti sono a rischio frane e oltre 6 milioni di abitanti a rischio alluvioni.

Sono impressionanti gli scenari di allagamento delle coste italiane elaborati da Enea, in collaborazione con CNR e altri centri di ricerca universitari italiani ed esteri, che mostrano come a rischio inondazione ci siano 40 aree costiere, un territorio pari a quella della Liguria, tra cui la foce del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo. "Purtroppo il nostro Paese non dispone di alcun indirizzo strategico che individui l'adattamento come priorità delle politiche di intervento - spiega Giuseppe di Marco, presidente Legambiente Abruzzo - Nel 2014 è stata approvata la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e, per dargli attuazione, doveva essere approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Dopo cinque anni siamo ancora in attesa che si passi dal campo degli studi a una vera e propria pianificazione capace di fissare le priorità ed orientare in modo efficace le politiche e nel frattempo rincorriamo le emergenze con grande dispendio di risorse".

Occorre considerare che anche il non intervento per fermare gli impatti del clima è una scelta, le cui conseguenze oggi si iniziano a conoscere. Secondo alcune stime in Italia i danni economici potrebbero arrivare a ridurre fino al 7% il PIL procapite se l'Accordo di Parigi non sarà rispettato.

Se guardiamo alla spesa realizzata in questi anni per gli interventi programmati di messa in sicurezza e prevenzione emerge come dal 1998 al 2018 siano stati 5.661 gli interventi programmati lungo tutta la penisola per un importo di oltre 5,6 miliardi di euro (Fonte Ispra, piattaforma Rendis), con una media di 266 milioni di Euro l'anno, in un rapporto di 1 a 4 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni. Eppure sappiamo che 1 euro speso in prevenzione fa risparmiare fino a 100 euro in riparazione dei danni. "Occorre un rapido cambio di passo - aggiunge Di Marco - per accelerare le politiche di adattamento ad un clima che cambia, con nuove politiche urbane e anche la regione e le città abruzzesi sono chiamate a fare rapidamente la loro parte. In particolare queste ultime devono diventare la priorità degli interventi di queste politiche".

Qui, puoi scaricare il rapporto completo.

Ultima modifica il Martedì, 19 Novembre 2019 14:32

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