Lunedì, 29 Giugno 2020 14:15

Riperimetrazione Sirente-Velino, Morini (biologa): "Parco dai caratteri unici, è caposaldo della rete ecologica regionale"

di  Paola Morini*

Il dibattito sul Parco Sirente Velino è oramai quasi storico, dalla sua istituzione nel lontano 1989 già due volte sono stati ridefiniti i confini, nel 2000 e nel 2011, ma gli effetti della riperimetrazione non hanno portato a migliorarne il funzionamento, e soprattutto, a dare le risposte che il territorio chiede a gran voce: sviluppo, crescita, occupazione.

In un territorio affetto da secoli di isolamento e spopolamento.

Ricordo quando, oramai venticinque anni fa, iniziai a lavorare al Parco, dove da allora vivo con la mia famiglia. Visitando i piccoli centri abitati, che di tanto in tanto si incontrano immersi nei magici luoghi della natura, non erano presenti edicole e per chilometri e chilometri non era possibile acquistare un quotidiano. Oramai queste carenze sono supplite dalla rete anche se, a dirla tutta, la connessione a internet è una fortuna trovarla e bisogna conoscere bene il territorio per sapere da dove è possibile collegarsi o anche solo usare il cellulare.

Sono poche anche le scuole nei 22 comuni del Parco e frequentare le superiori impone agli studenti lunghi viaggi, che d’inverno iniziano a buio, su strade, spesso maltenute, che si snocciolano tra tornati innevati mentre si fa l’alba. Territori marginali, difficili, con pochi abitanti.

Che risposte può dare il Parco? E soprattutto il Parco può dare delle risposte? In questi territori sono tante le carenze, sotto gli occhi di tutti, a cui è necessario dare riscontro ma non è il Parco che può costruire le scuole, aumentare la rete del trasporto pubblico, il servizio sanitario, la copertura della rete e la connessione a internet.

Il Parco è un contenitore, un condensato e un portavoce di valori, uno strumento per la gestione solo se condiviso con le comunità locali.

Wilderness, uso sostenibile, conservazione, reti ecologiche, rappresentano elementi vincenti in un contesto di crescente richiesta di greening ed ecoturismo. Sempre più si sta diffondendo l’idea di ecoturista o turista responsabile che rispetta l’ambiente e la cultura dei luoghi che va a visitare.

Sono biologa ambientale ed il mio lavoro è la biodiversità. Negli anni ho molte volte accompagnato studiosi e ricercatori, che non conoscevano il Parco, a visitare il territorio. Ciò che colpisce un visitatore ed emerge con forza sono i valori della wilderness e della biodiversità, invarianti del territorio, valori significanti e identitari compenetrati agli usi tradizionali ed all’autenticità. Queste aree rispondono ad un immaginario nel quale il mondo selvaggio e le tradizioni sono reciprocamente pervase, come evocato dai racconti dei viaggiatori romantici dell’800, con ambienti montani che conservano una biodiversità a tratti tuttora inesplorata.

Questo territorio ben evidenzia come, in Appennino, nelle pratiche di conservazione non vi sia la classica separazione tra natura e cultura ma come queste siano storicamente compenetrate e come la wilderness vi sia conservata insieme con gli usi tradizionali del territorio.

Se la massima wilderness e l’elevata biodiversità sono valori propri dell’Appennino centrale, il territorio del Sirente Velino è un’area significativa per le sue caratteristiche ambientali ed ecologiche e ancor di più per il suo ruolo di connessione ecologica, anche legato alla sua posizione geografica, come documentato da numerosi studi specialistici che hanno individuato nel parco “Un ponte per la natura dell’Appennino”.

Il territorio del Sirente Velino, interessato da cinque Siti Natura 2000, risponde perciò a caratteri unici non solo per la sua wilderness e biodiversità ma anche per il suo ruolo di ponte per la natura dell’Appennino. L’area protetta regionale è dunque un caposaldo della rete ecologica regionale, e non solo, e costituisce un potenziale laboratorio per la sostenibilità.

Seppure rilevanti i punti di forza del territorio, il Parco - dalla sua nascita ad oggi - ha proceduto con passi malfermi anche e soprattutto per una continua difficoltà ad acquisire consapevolezza del suo enorme valore ambientale e quindi ad affermare con forza la rilevanza del suo ruolo strategico per la conservazione. Tante azioni concrete di conservazione sono state realizzate dal Parco con le poche unità di personale sul territorio, anche con il contributo di tanti volontari ogni anno impegnati in censimenti e monitoraggi della fauna, alcune portate avanti con fondi dei Progetti Life anche cofinanziati dalla Regione che però ha, per il resto, dotato il Parco di scarse e talora nulle risorse.

Ho visto negli anni ricostituirsi lentamente gli ecosistemi ed aumentare le popolazioni di specie in via di estinzione conservate nel Parco. Tante azioni concrete per la gestione dei conflitti, per un equilibrio tra le diverse istanze del territorio, per la valorizzazione.

Negli anni il Parco avrebbe maggiormente dovuto voler divulgare i tanti studi condotti e le risultanze che evidenziavano l’enorme ricchezza di valori, naturali e culturali, conservati. Sono state troppo limitate le iniziative di formazione rivolte al territorio, ai residenti, agli amministratori, che avrebbero potuto contribuire a far acquisire maggiore consapevolezza dei valori del territorio e di confrontarsi all’esterno con strumenti aggiornati, spendibili.

Tante realtà locali di giovani artigiani, imprenditori legati al turismo, aziende agricole di produzione e lavorazione di prodotti locali hanno compreso, come anche alcuni amministratori illuminati, che l’offerta green è la via del futuro.

Con gli strumenti di cui il Parco è stato finora dotato ciò che era possibile fare è stato fatto. Per migliorarne l’operato, se è ciò che si vuole davvero, occorre oggi un punto di svolta. Per far funzionare il Parco è necessaria una visione condivisa con le comunità locali, un progetto comune. E’ necessaria una regia regionale convinta dei valori propri del Parco e che, di conseguenza, ne accordi saggia tutela, che investa sull’unico Parco regionale abruzzese, che lo integri in una visione strategica di ponte per la natura dell’Appennino, che lo qualifichi come laboratorio per la sostenibilità, che lo individui come riferimento regionale per una “Scuola del territorio delle aree protette e dell’ambiente”.

*Paola Morini, biologa

Ufficio Scientifico Naturalistico-Ente Parco Regionale Sirente Velino

 

Ultima modifica il Lunedì, 29 Giugno 2020 14:42

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