Domenica, 06 Settembre 2020 18:04

L'Aquila e la cultura come leva di sviluppo sostenibile: l'intervista ad Alessandro Crociata

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Ci siamo domandati spesso, su queste pagine, come si ‘misurino’ gli effetti della produzione culturale su un territorio; ce lo siamo domandati partendo dalla riflessione che, in questi anni, su L’Aquila e il cratere sono ‘piovuti’ milioni di euro, fondi della ricostruzione destinati alla rinascita del territorio che, si è intuito, deve passare, anche, dallo sviluppo delle potenzialità culturali. Ma i milioni spesi fino ad oggi che cosa hanno lasciato sul territorio? E come si può fare in modo che la cultura diventi davvero un driver di sviluppo?

Per avviare una riflessione ci siamo rivolti ad Alessandro Crociata, Ricercatore in Economia della cultura al Gran Sasso Science Institute, tra coloro che hanno lavorato al dossier di candidatura dell’Aquila a Capitale italiana della cultura. Una intervista che, ne siamo convinti, offre diversi spunti interessanti per stimolare una discussione informata su una dimensione del nostro vivere comunitario che riteniamo fondamentale per immaginare compiutamente la città di domani. E vi invitiamo a scoprire perché.

“Mi occupo di verificare empiricamente e di studiare l’impatto dell’accumulazione di capitale culturale, in termini di accessi e consumi, sui comportamenti degli individui; l’idea alla base dei miei studi è che l’accumulazione di capitale culturale induca gli individui ad essere più aperti mentalmente e in grado di sostenere comportamenti pro-attivi nei confronti del mondo che li circonda”, spiega a newstown Alessandro Crociata.

Uno studio che non si interessa, insomma, degli impatti diretti della cultura, in termini economici, bensì di quelli indiretti, più difficili da rilevare ma assai più rilevanti e scalabili su tante dimensioni della realtà.

“Per fare un esempio, tra gli altri: abbiamo rilevato che la principale componente della spesa pubblica in sanità è legata a patologie depressive (la cura del cancro è al secondo posto); dunque, ci siamo domandati: quanto l’accesso culturale può impattare su queste patologie? Ebbene, da una prima verifica empirica ci sono evidenze che all’accumulare del capitale culturale diminuiscono i tassi di ospedalizzazione. Questo per dire che gli effetti indiretti dell’accesso e del consumo culturale, in simili casi, hanno una rilevanza ad un livello macro-economico, di politiche economiche. Rilevare che all’aumento dell’accumulazione culturale corrisponde una diminuzione della spesa pubblica in sanità, significa fornire una indicazione importante su come andrebbero allocate le risorse. Ecco spiegato l’impatto economico, sebbene indiretto”.

Vale lo stesso per ciò che attiene le politiche correttive del disequilibrio ambientale: “la gestione non corretta dei rifiuti incide pesantemente sulle risorse pubbliche; ciò che stiamo rilevando è che all’aumentare dell’accumulazione culturale aumentano i comportamenti pro-attivi in senso ambientale”.

Insomma, “la cultura è un potente driver di sviluppo, ha un impatto positivo su diverse dimensioni che hanno concretezza e che sono riferibili al comportamento degli individui”. Si potrebbero fare altri esempi: tanto più si ‘consuma’ cultura, tanto più si è inclini ad utilizzare la mobilità pubblica e così via.

E’ questo l’oggetto degli studi che sta portando avanti Alessandro Crociata.

Studi importantissimi che hanno policy implications decisive: “da politiche mirate all’incentivo del consumo culturale derivano vantaggi misurabili su dimensioni concrete, dalla sanità all’ambiente. Per fortuna, la comunità Europea lo ha capito e l’agenda culturale sta andando esattamente in questa direzione. Uno degli ultimi progetti europei chiedeva di misurare il rapporto tra cultura e benessere che, come ovvio, è una variabile multidimensionale”.

Evidentemente c’è un tema forte legato anche all’economia urbana, a come, cioè, la cultura impatti sui processi di trasformazione urbana orientandola verso traiettorie di sviluppo sostenibile. Una questione che riguarda da vicino L’Aquila e, più in generale, il nostro territorio se è vero che l’Ocse, all’indomani del sisma, aveva già indicato la cultura come leva di sviluppo, stante le peculiarità geografiche e socio-economiche; di qui, i fondi destinati al settore col progetto Restart e la nascita stessa del GSSI, se è vero che più si accumula cultura più si è orientati ad essere pro-attivi nella formazione.

“Dal mio punto di vista, per il concetto eco-sistemico che ho della cultura, è impensabile far crescere una città senza puntare sulla cultura proprio per gli effetti che questa stimola su altre dimensioni; d’altra parte, quasi vent’anni di frequentazione dell’economia culturale mi hanno insegnato che la produzione culturale è trasversale e produce effetti multi-dimensionali”, ribadisce Crociata.

Sia chiaro però, e qui sta il punto: non si tratta di meccanismi ‘plug and play’, cioè non basta investire sulla cultura per mettere in moto determinati meccanismi. Spiega Crociata: “La cultura è soltanto uno degli elementi caratterizzanti una struttura socio-spaziale-relazionale; ci sono i settori produttivi, dei servizi, le piccole e medie imprese, il commercio al dettaglio e così via. In un sistema del genere, la pubblica amministrazione è il meccanismo di regolazione che deve garantirne il corretto funzionamento. Le città sono sistemi sociali partecipati dall’uomo: la governance deve regolarne i meccanismi verso gli obiettivi che ci si attende di avere, per evitare che il sistema possa esplodere”.

In altre parole, il meccanismo di regolazione deve rendere possibile la connessione dell’elemento cultura con tutti gli altri elementi del sistema.

Crociata ci racconta del progetto che si sta portando avanti a Parma, scelta come Capitale Italiana della cultura 2020 (e lo sarà anche nel 2021, considerati gli effetti dell’emergenza sanitaria sull’organizzazione degli eventi). “Stiamo studiando il rapporto tra l’accumulazione culturale e l’innovazione dei sistemi produttivi concentrandoci, in particolare, sulle imprese che non producono cultura ma possono beneficiare della produzione culturale per migliorare una serie di performance. Un esempio, tra gli altri. Elica produce cappe: ha attivato un percorso per portare l’arte dentro l’azienda facendo fare workshop ai lavoratori, mettendoli a contatto con gli artisti, così da fargli accumulare capitale culturale che, sta emergendo, rende i dipendenti più orientati al problem solving, allo sviluppo della creatività per la soluzione dei problemi che è poi la chiave dell’innovazione”.

Si stanno facendo esperimenti simili anche in aziende che producono prosciutti o laterizi.

Che cosa significa? “Significa che il sistema culturale deve essere lasciato libero di produrre, com’è ovvio, imparando però a ragionare in termini più ampi di ‘pubblici’ della cultura, portando la produzione culturale a contatto con altre dimensioni, con gli altri pezzi che fanno parte del sistema”.

E’ questo il senso dello sviluppo a base culturale. Non basta investire milioni di euro sugli eventi culturali, ragionando semplicemente in termini di pubblico che ‘consuma’ cultura nei termini classici cui siamo abituati, al teatro assistendo ad uno spettacolo o davanti ad un palco per un concerto.

“Non bisogna ragionare per compartimenti stagni, per politiche settoriali: se si investe nel settore culturale, dentro un disegno ampio di coinvolgimento della base sociale, con un’idea di sviluppo micro-fondato, basato sul comportamento dell’individuo, si ottengono impatti rilevanti su altre dimensioni. Ecco il motivo per cui è importante sostenere anche la domanda, dare incentivi alla partecipazione, fare progetti culturali che sappiano mettere insieme più attori del sistema. A Parma, l’attore culturale è l’attore produttivo”.

Se investendo in cultura si ragiona su ritorni diretti in termini di occupazione, di promozione turistica e così via, si sta sbagliando in partenza. “Se si pensa al ritorno immediato in termini di posti di lavoro, allora è meglio aprire un centro commerciale piuttosto che un museo; se si punta sulla cultura per avere un ritorno in termini economici, monetari, si è fuori strada. Il tema, piuttosto, è ragionare sulla infungibilità della cultura: cosa può fare la cultura che altri settori non possono fare? Può dar vita a comportamenti pro-attivi, e dunque fruttuosi, che hanno effetti positivi sulle altre dimensioni di un sistema”.

La parola sviluppo resta vuota se non la si riempie di questi significati. “Che cosa significa sviluppo sostenibile? Nient’altro che uno sviluppo capace di prendere in considerazione tutte le dimensioni del vivere”.

Ed ecco perché la cultura è fondamentale per uno sviluppo che sia davvero sostenibile, a patto che la si consideri come elemento di un sistema complesso capace di avere effetti positivi sugli altri elementi con cui va messa in stretta relazione. E in un sistema sociale come la città, la pubblica amministrazione ha un ruolo rilevante.

E’ su questi principi, su queste linee guida che si è costruito il dossier di candidatura dell’Aquila a Capitale Italiana della cultura 2022, sull’impatto che la cultura può avere su altre dimensioni, dall’innovazione alla salute, dal benessere alla qualità ambientale. E’ su questi concetti che bisognerebbe lavorare per disegnare una strategia di sviluppo sostenibile basato sulla cultura.

Ultima modifica il Lunedì, 07 Settembre 2020 16:30

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