E' stata inaugurata all'Aquila, nei locali del Bar Olimpia, sul corso stretto, la mostra fotografica 'Carpe Diem' di Renato Vitturini che, in 10 struggenti scatti, racconta l'Afghanistan, paese che dal 1973, anno del colpo di Stato che abbattè la monarchia di Zair Shah e istituì la Repubblica, non ha più conosciuto la pace, ridotto ad un arido campo di battaglia da guerre interne, invasioni e poi guerre civili, e altre invasioni e poi di nuovo guerre.
"Una battaglia che non sembra finire mai e che gli afgani, siano essi pashtun, tagiki, hazarà, baluci, uzbeki o qualsiasi altra delle cento nazionalità del Paese, combattono da par loro. Cioé come un popolo che non si è mai lasciato conquistare davvero da nessuno, fosse Alessandro (ma lo chiamano Sikander), Temugin diventato Gengis Khan o lo Zoppo di Ferro, che noi conosciamo con la sua traslitterazione di Tamerlano. E men che meno gli inglesi e poi i russi", si legge nell'introduzione alla mostra firmata dal giornalista e reporter di guerra Marco Guidi.
"Raccontare l'Afghanistan è facile e, insieme, difficile. Raccontare il bum bum, i combattimenti, gli agguati, i missili, le bombe improvvisate o intelligenti, i kalashnikov, gli Rpg, i mortai non è difficile. Temo solo che sia inutilmente ripetitivo. Raccontare la speranza rischia di farci apparire come degli inguaribili illusi. Ma raccontare si deve e non solo con le parole, ma con la telecamera, con la macchina fotografica".
E le fotografie di Renato Vitturini raccontano per davvero, con lo sguardo di chi "fotografo lo è dentro" - così lo definisce Guidi - "capace di cogliere qualcosa che agli altri sfugge".
Vitturini ha 'viaggiato' l'Afghanistan nel 2008 e nel 2009, a cavallo del terremoto dell'Aquila, e l'idea era di provare a raccontare le due tragedie trovando un filo rosso, forse proprio la speranza: così vanno lette la foto di un militare, senza più le bardature da combattimento, che distribuisce dolcetti ai piccoli seduti in fila, o di quei due muratori che, come giocolieri, si passano al volo due mattoni alla volta.
Un filo rosso che il fotografo ha intrecciato inserendo nelle fotografie alcuni flash del post-sisma aquilano.
Fino ad oggi, il progetto era rimasto chiuso in un cassetto: "se oggi si è concretizzato - racconta a newstown Vitturini, emozionato - è per rendere omaggio ad Alvaro Spacca", che ci ha lasciato troppo presto, e che aveva spinto l'amico fotografo ad esporre quelle fotografie che tanto l'avevano colpito; e non è un caso che la mostra sia allestita al Bar Olimpia, "uno dei nostri luoghi di incontro" aggiunge Vitturini.
Che ci tiene, poi, a ringraziare i titolari del locale oltre che il IX Reggimento Alpini dell'Aquila: "nel 2008, quando feci la domanda per andare in Afghanistan sui teatri di guerra volevo raggiungerli, essendo stato il primo contingente italiano a raggiungere quel teatro di guerra; andarono via prima che arrivassi, però. Tuttavia, sono stati loro ad avermi dato la spinta a partire".