Di Enzo Fimiani* - Vi sono persone, anzi vi sono cervelli che, per naturale precipitato delle loro caratteristiche individuali e culturali, sono anche intelligenze raziocinanti, menti capaci di elaborare pensieri liberi, di costruire etiche civili incoercibili all’omologazione, all’acquiescenza, al luogo comune. Teste, dunque, necessarie, delle quali non si può fare a meno. Se mai ve ne fosse una nel nostro Abruzzo, non poi così ricco di indipendenza intellettuale e spessore civile, questa porta il nome di Raffaele Colapietra.
Ebbene, proprio in occasione dell’ottantanovesimo compleanno di un simile spirito magno abruzzese, ecco che torna a parlarci la sua voce pubblica. Solo le finezze grafiche delle edizioni Textus di Edoardo Caroccia – che non pubblicano semplicemente ma fanno cultura, il che è ben diverso – potevano regalarci un piccolo gioiello editoriale, quasi un regalo di genetliaco che Colapietra dona a noi tutti, piuttosto che, come d’uso, attenderne l’inverso.
Esce infatti alle stampe una sua Intervista sull’Aquila (raccolta da Marta Vittorini). Uno sguardo acuto sulla città che gli ha dato i natali, “il mercoledì 25 novembre 1931” – come egli stesso ha scritto in un volume a lui dedicato nel 2004 – “alle dieci di sera, in una delle vecchie case” di quel centro storico aquilano che oggi non c’è più, almeno nelle forme e nelle vite di allora.
In questa “Storia della città in sessanta risposte”, L’Aquila va ben oltre la dimensione urbana in sé. Essa è naturalmente centrale, nel suo rimanere tenacemente, da quasi un millennio, ferma nelle sue radici civiche, fedele al suo motto: “Immota manet”.
Non basta, però: dal libro elegantemente illustrato l’aquilanità ci appare sotto una doppia luce ulteriore. Da un lato, la città di Federico sembra il filtro, o la cartina di tornasole, dell’esistenza stessa di Colapietra, del suo lungo e accidentato percorso, delle sue medesime inclinazioni morali, direi. Dall’altro lato, di fronte all’Aquila si specchiano anche le umane sorti e collettive di decine di generazioni, assieme alle contraddizioni, alle luci e alle ombre di una vicenda abruzzese tutta immersa dentro una più grande storia, quella di un Sud che Colapietra ha saputo – molto meglio di tanti altri forse più inclini al compromesso culturale e alle seduzioni del potere, fosse esso accademico, politico, economico – studiare, interpretare e far conoscere nei cinque o sei secoli d’età moderna e contemporanea dal tardo medioevo alla nostra attualità.
E proprio l’attitudine a muoversi entro un arco temporale così straordinariamente ampio, è uno dei segni caratteristici di Colapietra. Ci dice dei suoi interessi, degli studi di una vita, che lo hanno condotto dalla prima pubblicazione nel 1953, da studioso giovane eppure già capace di interloquire con alcuni dei protagonisti più prestigiosi della cultura italiana, fino a questo compleanno, dopo quasi settant’anni di impegno culturale, di libri e saggi fondamentali, di battaglie civili e testimonianze e polemiche.
E la polemica non manca, per lui e attorno a lui, anche e forse soprattutto quando si parla della sua città natia. Una città amata sul serio, di un amore però sobrio e serio, senza fare sconti al rapporto emotivo ma spesso miope e acritico che si crea con le proprie origini. Egli, al contrario, da sempre osserva e vive con spirito critico la dimensione sociale dell’Aquila, del tutto lontano dalla tara antica degli Abruzzi, al plurale, quel “campanilismo” che tanti lutti addusse e, ahinoi, adduce alle cose abruzzesi. Per Colapietra, ricordiamolo, “C’è modo e modo di essere aquilano” – come recitava il titolo di due volumi (da lui, credo, gelosamente ritenuti tra i preferiti) che decise di editare nel 2006, raccogliendo “Frammenti di cultura, politica, costume”, sotto forma di invettive civili e di diario più intimo.
Da queste inclinazioni, dunque, ci scorrono sotto gli occhi tornanti storici, questioni, personaggi di una “città di fondazione” che dalla metà del Duecento costituisce un ineludibile punto di riferimento dell’Italia centro-meridionale. Soprattutto, però – e qui torna il regalo che Colapietra ogni volta ci fa – tutto questo finisce, vivaddio, per transitare dagli occhi al cervello.
*Storico e bibliotecario, è direttore della biblioteca centrale dell'Università di Chieti-Pescara ed è stato direttore della Biblioteca provinciale di Pescara. Docente di storia moderna e contemporanea, ha al suo attivo oltre centocinquanta pubblicazioni. Per Textus ha curato i volumi Dizionario della grande guerra e Le Costituzioni italiane 1796-1948.