In questi ultimi giorni, la famiglia dell’Anpi è stata esposta a numerosi attacchi.
Veniamo considerati amici di Putin, ci viene detto che la nostra è una posizione ambigua di equidistanza, per non parlare di altre polemiche, alcune davvero subdole e difficilmente comprensibili.
Ritengo che questi stimoli e queste provocazioni che ci vengono poste nascano da un manicheismo e dalla continua volontà di dividere il mondo in bianco e nero, affrontando temi complessi con la crudezza dell’accetta. La logica di amico-nemico non si addice al mondo che siamo chiamati a vivere. La nostra è una comunità plurale, aperta e democratica. Non possiamo permettere che venga a mancare quella libertà di espressione che abbiamo sempre difeso. Non possiamo permetterci di additare come nostro nemico chi non la pensa come noi, ma proprio per questo chiediamo lo stesso trattamento. Se siamo pro o contro l’invio delle armi dobbiamo discuterne rispettandoci e non per forza demonizzare l’una o l’altra posizione.
Prima ancora di entrare nel merito della discussione vorrei soffermarmi su una questione di metodo.
Negli ultimi anni, ancor più di prima, ci siamo abituati a vedere il dibattito pubblico eclissarsi dinanzi a macro-temi; è stato così con la pandemia, ed è così con la guerra. Che ciò accada è naturale, stiamo parlando di avvenimenti di ampia portata e di gravità inaudita, ma ciò non può comportare un’eclissi dei valori. In qualità di esseri pensanti, di militanti, di attivisti, di cittadine e cittadini del mondo siamo chiamati non solo a vivere il nostro tempo ma anche ad interpretarlo nel modo che crediamo più giusto cercando di aggiustare la prospettiva e contribuendo a costruire il futuro.
Dico questo perché la mia personale posizione come anche quella dell’Anpi nazionale coincidono con la storia della sinistra pacifista del nostro paese.
In questa guerra c’è un aggressore, Putin, al quale nessun appartenente alla nostra associazione è accostabile, con il quale non condividiamo nulla, che ha finanziato e flirtato con la destra e l’estrema destra e non con noi, e poi c’è un aggredito, il popolo ucraino.
Questo è chiaro, e se pure ci fosse da parte di qualcuno la volontà di contestarlo, ognuno di noi è chiamato a professare con decisione che tale affermazione è decisamente incontestabile.
Nessun “però”, dunque, ma solo una strada da perseguire dopo aver preso atto di questa situazione. Dinanzi ad un aggressore violento non possiamo mandare al macero i nostri valori e il nostro pacifismo: dobbiamo difendere gli ucraini, tendergli la mano e stargli accanto, perché noi la nostra parte l’abbiamo scelta ed è sempre quella degli oppressi, ma non possiamo cedere alle provocazioni che porterebbero al rischio di un conflitto che vedrebbe molti più vinti che vincitori, molti più sommersi che salvati.
Non possiamo permetterlo.
Quante volte abbiamo gridato “fuori la guerra dalla storia”?; ora la storia ci interpella e ci chiede se siamo disposti a mettere in pratica quelle parole.
La guerra non deve più essere un’opzione, dobbiamo spingere l’acceleratore sui negoziati, sulle sanzioni, sostenendo l’Ucraina ma non dimenticando che noi questo conflitto non lo vogliamo e non possiamo risolverlo con le cattive maniere; non in nome di una presunta superiorità morale, ma per rispondere allo spirito del tempo che viviamo.
Questa è la mia posizione e la posizione di tanti altri, ma non per questo dobbiamo lasciarci incattivire da questo tempo, non cediamo alla dicotomia che ci vuole in due parti contrastanti. Al bianco e al nero ho sempre preferito la molteplicità di colori dell’arcobaleno: dunque discutiamone, confrontiamoci e parliamone. Senza demonizzare niente e nessuno, senza dover cedere per forza ad una posizione per non dover correre il rischio di essere travolti dal diffuso maccartismo. Ognuno di noi ha una storia che deve essere rispettata, così come devono essere rispettate le posizioni che vogliamo assumere: l’importante è fare sintesi tra noi ricordando che il nostro nemico è la guerra.
Quella sporca malattia, quel cancro terribile che dobbiamo estirpare dall’umanità. Restiamo partigiani ma la resistenza a cui personalmente mi sento chiamato è quella contro l’ingiustizia la prevaricazione.
Siamo con il popolo ucraino e vogliamo che questa guerra finisca al più presto: chiediamoci qual è il modo più efficace.
*Tommaso Cotellessa, segretario Anpi L'Aquila