*di Francesco Marrelli - Donne e uomini del lavoro e del non lavoro festeggiano il 1° maggio, la ricorrenza che si richiama alle lotte per i diritti, per l’emancipazione della classe lavoratrice e per le conquiste sindacali.
Festa vuol dire stare insieme, condividere, stare dalla stessa parte.
La festa dei lavoratori è un momento di comunanza, appartiene ad un collettivo ampio che crede nel lavoro come elemento di crescita e di dignità delle persone. Il lavoro che manca, povero, precario ne mina il significato e lo fa declinare verso lo sfruttamento.
Dopo due anni di pandemia, festeggiamo questo giornata con il pensiero rivolto alla vittime della guerra.
Emergenza dopo emergenza tutto appare raccontarci che per l’umanità non ci sia pace. Eppure, i sacrifici di donne ed uomini ci insegnano un’altra storia: la storia delle conquiste, delle rivendicazioni, del miglioramento delle condizioni umane. Una storia di costruzione di pace. Perché festeggiare il lavoro significa festeggiare la fratellanza e la sorellanza di milioni di esseri umani che nella rivendicazione dei diritti, delle libertà, della giustizia sociale, dell’uguaglianza e della ricerca perenne della pace hanno trovato una comunità di intenti ed una capacità di azione comune.
In questi mesi di belligeranza, abbiamo avuto sempre ben chiaro da che parte stare e come starci: noi stiamo dalla parte dell’umanità, la stessa che chiede il disarmo per tutte le nazioni, la costruzione di una pacifica convivenza tra i popoli, di collaborazione tra gli Stati per costruire finalmente il benessere delle comunità. Parole queste che richiamano all’utopia - direbbe qualcuno - ma l’utopia non appartiene a questo stato di cose, come non apparteneva all’idea di lotta operaia e contadina. Non c’è utopia se lotta vuol dire riappropriarsi della condizione di essere umano, poter lavorare e percepire un salario dignitoso per sé e per la propria famiglia, migliorare la qualità di vita, tendere al benessere delle classi subalterne.
Salvatore D’Albergo, giuspubblicista, scriveva riferendosi alla nostra Carta Costituzionale che “l’intreccio tra i principi fondamentali e gli istituti di carattere socio-economico della prima parte della costituzione fu concepito e accolto come asse di un processo innervato in una serie di vincoli a favore delle classi subalterne e dei loro nuovi diritti alla vita e al lavoro, in antagonismo con la tradizionale libertà delle forze dominanti di consolidare la loro spinta alla auto-organizzazione economica come potere sovrano nelle valutazioni dell’impatto dell’uso del potere di accumulazione, in nome della autonomia dell’impresa e dell’intangibilità dell’obiettivo del profitto. Dire, pertanto, che una costituzione di tale tipo è “di indirizzo” o “programmatica”, può avere un significato concludente se si precisa che è anche di lotta”.
Il portato di questa definizione lo ritroviamo nell’agire quotidiano del movimento operaio, come tante volte ci ha insegnato la storia, anche nella nostra provincia. Infatti, come scriveva Antonio Rosini narrando le vicende del Fucino “la reazione popolare all’arresto di Sandirocco (Segretario della Camera del Lavoro di Avezzano) dimostrano che le masse popolari erano vigili, come elettrizzate, pronte alla lotta per il lavoro e le riforme promesse dalla Costituzione, 'fondata sul lavoro'”.
La festa dei lavoratori non è e non può essere neutra, ha in sé una caratterizzazione che dobbiamo di nuovo ribadire: al lavoro e al salario, si contrappone il profitto; allo sfruttato si contrappone lo sfruttatore. Perché partire da qui vuol dire costruire le condizioni di cambiamento, comprenderne il significato e decidere come agire a difesa di interessi che in altra epoca avremmo chiamato di “classe”.
La vulgata post-modernista pone sullo stesso piano il profitto e il lavoro, ma i nostri padri costituenti vollero coglierne le profonde differenze, ponendo il lavoratore come parte debole del rapporto giuridico capitale-lavoro e non solo per i mezzi di cui dispone, ma riconoscendo il giusto valore al lavoro come elemento fondativo della Repubblica.
In questo 1° maggio non possiamo non pensare alla guerra in Ucraina che rappresenta una immane tragedia, in termini di lutti e sacrifici umani, ciò che il lavoro costruisce la guerra distrugge. Riteniamo che l’unica strada da perseguire sia quella della diplomazia fino ad una celere risoluzione del conflitto.
Siamo al secondo shock in due anni: pandemia e guerra. Crisi economica, emergenza e shock su una economia in continuo affanno non possono che generare ulteriori disuguaglianze e disoccupazione. L’aumento dei prezzi dei beni di consumo ed energetici e la contrazione dei salari rendono sempre più debole il nostro sistema sociale ed economico.
Abbiamo necessità di rilanciare una vertenza complessiva che parta dai salari, recuperando il potere di acquisto perso in questi anni, che vuol dire aprire un immediato confronto sulla redistribuzione della ricchezza accumulata, ponendo di nuovo l’accento su come si redistribuisce il lavoro attraverso la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
L’impoverimento delle famiglie sta determinando la necessità di rafforzare le misure di contrasto alla povertà. Nessuno e nessuna può essere lasciato solo e sola. Abbiamo la necessità di far sentire la presenza dello Stato, superando marginalità e disuguaglianze, riaffermando quei principi costituzionali di solidarietà, uguaglianza e giustizia sociale. Lavoro stabile e di qualità, superando definitivamente quel concetto ideologico che vuole i lavoratori precari e sotto ricatto, poveri e umiliati: ciò vuol dire riconsegnare dignità al lavoro per un corretto sviluppo materiale e spirituale della società.
Non si può continuare a morire di lavoro e per il lavoro; salute e sicurezza devono tornare ad essere un impegno comune e condiviso a cui bisogna garantire risorse e formazione continua. “Al Lavoro per la Pace” è il tema scelto per il 1° maggio 2022, che ci consente, con coerenza ideologica e programmatica, di continuare a pensare che la costruzione di un mondo di pace necessita di tutta la forza storica e la capacità di mobilitazione del movimento dei lavoratori e che da esso possa risorgere una società migliore.
*Francesco Marrelli, Segretario Generale della CGIL della Provincia dell’Aquila